LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23280/2013 proposto da:
Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza di Sant’Andrea della Valle n.6, presso lo studio dell’avvocato D’Ercole Stefano, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Palombi Nicola, Passeggio Filomena, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Eutelia S.p.a., in Amministrazione Straordinaria, in persona dei commissari straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Vescovio n.21, presso lo studio dell’avvocato Manferoce Tommaso, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di AREZZO, depositato il 17/09/2013;
lette le memorie ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. depositate da entrambe le parti;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha chiesto che la Corte di Cassazione respinga il primo ed il secondo motivo, con accoglimento del terzo motivo di ricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2018 dal cons. VELLA PAOLA.
FATTI DI CAUSA
1. La società Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a., dopo aver ottenuto l’ammissione al passivo di Eutelia S.p.a. in Amministrazione Straordinaria dei crediti (previe compensazioni L. Fall., ex art. 56) di Euro 341.253,10 in prededuzione e di Euro 2.588.619,88 in via chirografaria – con esclusione dell’importo di una fattura già pagata e degli interessi di mora ex D.Lgs. n. 231 del 2002 – proponeva ricorso in opposizione D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 53, per ottenere l’ammissione in prededuzione dell’intero credito di Euro 3.259.841,79, oltre che della somma di Euro 6.508.705,00 a titolo di differenza per il mancato adeguamento del canone per il periodo 01/08/200831/12/2011 (o in subordine in prededuzione solo per la parte maturata successivamente al 01/06/2010), nonchè della ulteriore somma di Euro 768.350,00 a titolo di canone per l’anno 2011 ed infine gli interessi maturati e maturandi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, formulando altresì ulteriori richieste in via subordinata.
2. Con il decreto impugnato il Tribunale di Arezzo, in parziale accoglimento dell’opposizione, ha ammesso al passivo l’ulteriore credito di Euro 51.201,75 per interessi legali maturati sino alla dichiarazione di insolvenza e di Euro 3.591,94 per spese del giudizio monitorio, rigettando o dichiarando inammissibili tutte le ulteriori domande.
3. Avverso detta decisione la Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la Eutelia S.p.a. in Amministrazione Straordinaria ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 53,L. Fall., artt. 98 e 99, art. 345 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3” – la ricorrente censura la statuizione di inammissibilità della richiesta di ammettere l’intero credito in prededuzione poichè nell’originaria istanza “tale collocazione era stata espressamente limitata ai canoni maturati post insolvenza”, osservando che in realtà si era trattato non di una mutatio, bensì di una semplice emendatio libelli.
1.1. La censura è infondata, in quanto la richiesta del titolo della prededuzione per un credito precedentemente insinuato in via chirografaria integra una inammissibile domanda nuova, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui “Nel giudizio di opposizione allo stato passivo che ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda, non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo. E’, pertanto, inammissibile la richiesta di riconoscimento della prededucibilità del credito, insinuato originariamente in via privilegiata, implicando tale richiesta l’introduzione nel giudizio di un diverso tema di discussione e d’indagine, in quanto credito privilegiato e credito prededucibile hanno presupposti differenti” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5167 del 30/03/2012, Rv. 622179). Analogamente, è stato di recente ribadito che “Nel giudizio di verificazione dello stato passivo, l’indicazione del titolo del privilegio di cui si chiede il riconoscimento non attiene alla semplice qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio, bensì integra la “causa petendi” della domanda di ammissione. Ne consegue che, ove l’indicazione del titolo del privilegio venga mutata o specificata per la prima volta in sede di opposizione, la relativa domanda è inammissibile per il suo carattere di novità” (Sez. 1, Sentenza 19/01/2017, n. 1331, Rv. 643707 – 02).
2. Con il secondo mezzo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 50 e 51, L. Fall., art. 74, e D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 20, ex art. 360 c.p.c., n. 3” – la ricorrente ribadisce che la richiesta di prededuzione era stata effettuata solo in un secondo momento a causa della comunicazione dei Commissari datata 30/03/2012, contestando l’interpretazione del Tribunale per cui, al contrario, il relativo tenore avrebbe mostrato “chiaramente come le parti fossero entrambe già da tempo consapevoli della continuazione del rapporto”.
2.1. La censura è inammissibile in quanto investe un giudizio di fatto, che peraltro nel quadro argomentativo della decisione gravata non assurge a vera e propria ratio decidendi, risultando formulato dal giudice di merito solo ad abundantiam.
2.2. Deve al riguardo farsi applicazione del consolidato orientamento di questa Corte, per lo più elaborato in tema di interpretazione del contratto, per cui “il sindacato di legittimità non può investire un risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati” (Sez. 1, 31/07/2017, n. 19010; Cass. conf. Cass. 10891/2016e n. 2465/2015).
3. Il terzo motivo attiene alla “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 1 e 4, ex art. 360 c.p.c., n. 3”, per avere il giudice a quo ritenuto tout court inapplicabili nell’ambito delle procedure concorsuali gli interessi moratori, sulla base del tenore letterale dell’art. 1, D.Lgs. cit. in base al quale “Le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per: a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore…”.
3.1. Il motivo è fondato, alla luce del recente consolidarsi dell’orientamento di questa Corte per cui il D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 1, comma 2, lett. a), (con cui è stata data attuazione alla Direttiva 2000/35/CE) – a norma del quale “le disposizioni del presente decreto non trovano applicazione per: a) debiti oggetto di procedura concorsuale aperta a carico del debitore” – dev’essere interpretato nel senso che, conformemente alla regola dettata in via generale dalla L. Fall., art. 55, l’esclusione del tasso d’interesse maggiorato previsto dagli artt. 4 e 5, del D.Lgs. cit. opera soltanto a decorrere dalla data della dichiarazione di fallimento, fermo restando il diritto al riconoscimento di quelli già maturati in epoca anteriore all’accertamento dello stato d’insolvenza del debitore (Cass. n. 8979/2016, n. 3300/2017; conf. da ultimo, Cass. Sez. I, Ordinanza 06/06/2018, n. 14637 – ud.15/03/2018).
3.2. Può dunque ritenersi superato il diverso orientamento che interpretava la menzionata previsione nel senso che “è da escludere in sede fallimentare il debito per interessi di mora al tasso c.d. commerciale (di cui all’art. 5), potendo quindi il creditore essere ammesso al passivo del fallimento per gli interessi sui crediti commerciali scaduti anteriormente alla dichiarazione di insolvenza solo nei limiti del tasso legale di cui all’art. 1284 c.c., fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui la debenza di detti interessi sia affermata da un titolo giudiziale passato in giudicato”, e ciò sul rilievo che non avrebbe avuto senso “una diversa ricostruzione dell’istituto, come delimitativo della produzione degli interessi postfallimentari, in quanto si tratta di effetto normativo già posto con la L. Fall., art. 55, con la mera instaurazione della procedura” (Cass. Sez. 1, Sentenza 18/02/2016, n. 3193); argomento cui si è replicato che la L. Fall., art. 55, mantiene comunque la sua utilità, stabilendo non solo la regola generale della sospensione del corso degli interessi, ma anche quella della scadenza anticipata dei debiti del fallito ai fini del concorso e, soprattutto, il protrarsi del decorso degli interessi per i crediti privilegiati o garantiti da pegno o ipoteca.
4. All’accoglimento del terzo motivo segue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo per il calcolo degli interessi moratori commerciali maturati ante procedura, oltre che per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa il decreto impugnato per quanto di ragione e rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018