Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27932 del 31/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giuulia – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25505/2014 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in Roma, via Tuscolana n. 946, presso lo studio dell’avvocato Lombardo Carmine, rappresentato e difeso dall’avvocato Massella Michele, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., per incorporazione della Banca Antonveneta s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, piazza Verbano n. 22, presso lo studio dell’avvocato Della Gatta Gianluca, rappresentata e difesa dall’avvocato Ripa Marco, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

R.S., V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1866/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 28/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/05/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTO E DIRITTO

1.- La controversia giunta ora all’esame di questa Corte prende avvio, sotto il profilo processuale, da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Padova, su ricorso della Banca, nei confronti di S.I., R.S. e V.A., quali fideiussori della s.r.l. ***** (società di lì a poco fallita).

Opponendosi al decreto, i predetti signori, sollevate talune eccezioni preliminari, per il merito hanno chiesto che fosse dichiarato che “nulla era dovuto nè dai signori R., S. e V., nè dalla fallita società”; e che comunque fosse accertata, in particolare, l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1956 c.c. con riferimento ai debiti derivanti dall’avere la Banca versato alla società le somme corrispondenti a due assegni bancari tratti a favore della medesima, ma tornati protestati, perchè rimasti insoluti.

La Banca si è costituta in giudizio, chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’emesso decreto. Con specifico riferimento alla pretesa liberazione dalla fideiussione, essa ha rilevato che gli opponenti “non avevano fornito la prova che la banca avrebbe tenuto un comportamento che avrebbe leso i diritti dei fideiussori permettendo l’operazione di versamento dei due assegni, ritornati poi protestati”.

2.- Non ammesse le prove richieste dagli opponenti, il Tribunale di Padova ha respinto l’opposizione con sentenza n. 2950/2008. Con riferimento alla richiesta liberazione ex art. 1956 c.c., in particolare, il Tribunale ha escluso che nella specie ricorressero i presupposti di applicazione della stessa, rilevando, da un lato, la mancanza di prova che gli importi di cui agli assegni “fossero stati pagati direttamente e non accreditati in conto corrente con relativo prelievo” e, dall’altro, che comunque il “pagamento immediato era legato al buon fine dell’operazione”.

La Corte di Appello di Venezia ha poi confermato integralmente la pronuncia di primo grado. Con riguardo alla lamentata violazione della norma dell’art. 1956 c.c., la sentenza, riportate le trascritte considerazioni del Tribunale, ha dichiarato che tale soluzione risulta “condivisibile, dovendosi escludere che il pagamento di un assegno intestato a un soggetto terzo integri la concessione di un finanziamento”.

3.- Avverso quest’ultima pronuncia ricorre S.I., svolgendo quattro motivi per la sua cassazione.

La Banca resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

4.- I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in ragione della loro sostanziale omogeneità.

Gli stessi fanno infatti riferimento a un unico tema, come rappresentato da “errate informazioni fornite” dalla Banca “circa l’esistenza di benefondi degli assegni presentati all’incasso” dalla società ***** (debitore principale che si avvantaggia della fideiussione). Più nello specifico, questi motivi di ricorso propongono il seguente riferimento fattuale: “***** aveva procrastinato la consegna della merce ordinata dal cliente (che aveva pagato con i due assegni) sino al momento in cui la Banca non avesse confermato la presenza del benefondi. Quest’ultima, a mezzo del proprio addetto, aveva garantito all’incaricato di *****, che si era recato allo sportello per verificare quanto sopra e incassare gli assegni de quibus, l’intera disponibilità della cifra portata dai titoli. A seguito di tale conferma… ***** aveva utilizzato la somma portata dai titoli. L’esame dei due assegni dimostrava tale assunto. La sigla apposta sui titoli rappresentava la dimostrazione e la garanzia della verificata presenza del benefondi”.

Ciò posto, il primo motivo denunzia vizio di nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4), per non avere questa pronunciato su una delle domande formulate dall’attuale ricorrente. Il secondo e il terzo motivo lamentano, invece, vizio di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5.- Il primo motivo, il secondo motivo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.

Come si evince dalla semplice lettura del brano del ricorso appena sopra riportato (nel n. 4), questi motivi richiamano tutti una responsabilità della Banca – per “errate informazioni” o comunque per violazione di altro obbligo contrattualmente assunto -, con conseguente configurazione di un obbligo risarcitorio a suo carico. Ora, tutto questo suppone, all’evidenza, la formulazione di una apposita domanda giudiziale: da presentarsi, va da sè, nel rispetto delle forme e dei termini prescritti dall’ordinamento vigente.

Ciò che non risulta essere avvenuto nel caso in esame. In effetti, per replicare alla contestazione mossa in proposito dal controricorso (“la questione… è completamente nuova e attiene a una eventuale responsabilità nei confronti del fallimento”), il ricorrente si limita a riportare delle frasi tratte dall’atto di citazione in appello e, per di più, di taglio meramente descrittivo (se il ricorso assume in via espressa che la “circostanza era stata ampiamente denunciata già in primo grado”, la memoria dichiara invece che sono “questioni sollevate anche avanti la Corte d’appello”). Sarebbe occorsa, per contro, una precisa richiesta in sede di atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.

6.- Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione della norma dell’art. 1956 c.c..

Assume in specie il ricorrente che la sentenza della Corte di Appello ha errato nel negare l’applicazione di tale disposizione – e quindi nell’ escludere la liberazione del fideiussore ivi prevista -” in ragione del rilievo che il “pagamento di un assegno intestato a un soggetto terzo” non può in ogni caso integrare gli estremi della “concessione di finanziamento”, che è presa in considerazione dalla norma.

“Nel momento in cui la Banca ha ritenuto di pagare al correntista due assegni… senza la previa e necessaria verifica della copertura degli stessi” – così osserva il ricorrente – “il pagamento effettuato assume le caratteristiche di un finanziamento il cui rischio non può gravare sull’ignaro fideiussore”.

7.- Il motivo è fondato.

Nelle sue linee essenziali e basiche, la fattispecie proposta all’attenzione della Corte rappresenta il caso di una banca che versa al correntista una somma di danaro corrispondente all’importo di un assegno tratto a favore del correntista che nel contempo lo presenta per l’incasso: in difetto di una sufficiente provvista del conto e prima che l’operazione di incasso venga avviata. In una simile situazione, in effetti, la banca “anticipa” una somma di denaro al correntista: nel senso che quest’ultimo risulta senz’altro tenuto a restituirgliela, ove poi l’incasso dell’assegno non vada a buon fine.

A seconda dei segmenti che in concreto verranno a completare questa struttura di base, l’operazione potrà configurare un’ipotesi di sconto di assegni, secondo una prospettiva del resto suggerita dalla norma dell’art. 1859 c.c.; o, altrimenti (ove manchi, cioè, una previa deduzione degli interessi compensativi), una figura prossima al detto tipo di sconto o comunque, e in via residuale, un contratto di sconfinamento, secondo un’operatività conosciutissima dalla pratica degli intermediari bancari (e che oggi risulta considerata anche dalla normativa del testo unico bancario).

Comunque sia, la banca, che “anticipa” (nel senso appena sopra chiarito) la somma di cui all’assegno, viene a “far credito” al proprio correntista, secondo quanto propriamente previsto dalla norma dell’art. 1956 c.c..

Non può essere dubbio, in effetti, che la nozione di “far credito”, a cui si richiama tale disposizione, non è limitata a specifiche, date forme di finanziamento – come per contro sembrerebbe, al fondo, ritenere la Corte d’appello -, ma si estende a tutte le ipotesi in cui il creditore garantito dalla fideiussione venga ad aumentare l’esposizione di rischio corrente del debitore.

Come ha rilevato la sentenza di Cass., 27 ottobre 2010, n. 21730 nel sottolineare, tra l’altro, il nesso che lega la regola in discorso sia con il canone fondamentale della buona fede oggettiva, sia pure con il principio generale espresso dalla norma dell’art. 1461 c.c. -, la disposizione dell’art. 1956 c.c. incide su tutti i casi in cui il creditore mette il proprio debitore “nella possibilità di disporre di somme di danaro da restituire”, abbracciando per intero il “modo” secondo il quale, in ragione di tutela del fideiussore che lo garantisce, il creditore ha l’onere di gestire il relativo rapporto obbligatorio.

8.- In conclusione, i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili; va accolto, invece, il quarto motivo di ricorso. Di conseguenza, va cassata per quanto di ragione la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del primo motivo, del secondo motivo e del terzo motivo di ricorso; accoglie il quarto motivo di ricorso. Cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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