LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14048/2013 proposto da:
A-Leasing s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Luigi, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Cogo Vittorio, Vascellari Marcello, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** s.r.l., in persona del curatore fallimentare dott.ssa C.M.C. pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Vescovio n. 21, presso lo studio dell’avvocato Manferoce Tommaso, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pavarin Paolo, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROVIGO, depositato il 06/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- La s.p.a. A-Leasing ha presentato domanda di insinuazione in chirografo allo stato passivo fallimentare della s.r.l. *****, affermando di essere creditore di una somma di denaro derivante da un’operazione di leasing immobiliare, già in precedenza risolta, sulla base di un’apposita clausola risolutiva espressa, in ragione dell’inadempimento dell’utilizzatore. Nel formulare la domanda per “ottenere il pagamento dell’intero credito”, la società si è richiamata alla norma dell’art. 72 quater L.Fall., come pure alla clausola risolutiva dell’art. 14 del contratto di leasing, e nel contempo ha dichiarato il proprio “obbligo di imputare la somma che dovesse ricavare dalla vendita o reimpiego in leasing del bene oggetto del contratto”.
La domanda è stata respinta dal giudice delegato, che ha motivato il provvedimento rilevando in particolare: “l’opzione per la risoluzione del contratto impedisce alla società di leasing di agire per l’adempimento del contratto e di avvalersi dell’art. 72 quater L.Fall., il quale risulta unicamente operativo nei casi di scioglimento del contratto intervenuto dopo la dichiarazione di fallimento. Si applica nel caso di specie il disposto dell’art. 1526 cod. civ. avendo il contratto le caratteristiche del leasing traslativo. In caso di inadempimento dell’utilizzatore e conseguente risoluzione con restituzione del bene, l’utilizzatore ha diritto alla restituzione dei canoni pagati mentre il concedente ha diritto a un equo compenso per l’utilizzo del bene e al risarcimento del danno. Tali domande non sono state, tuttavia, proposte dall’istante. Si ritiene, in ogni caso, che i canoni percepiti dal concedente siano sufficienti a remunerarlo per l’uso del bene da parte dell’utilizzatore”.
2.- Nel prosieguo, il Tribunale di Rovigo ha rigettato l’opposizione presentata dalla società e così confermato il provvedimento del giudice delegato.
In proposito il decreto ha, prima di ogni altra cosa, rilevato che il contratto concretamente posto in essere configura un “vero e proprio leasing traslativo”, sì che “l’avvenuta risoluzione trova più compiuta regolamentazione analogica nella norma di cui all’art. 1526 cod. civ. e non può più originare il meccanismo richiamato dall’art. 72 quater L.Fall.”.
Una volta che si sia già verificata la risoluzione del contratto, al fallimento “restano da regolare solo le conseguenze tralatizie della risoluzione che sono sorte in capo alle parti quali posizioni giuridiche soggettive ormai statiche”; d’altro canto, la norma dell’art. 72 quater L.Fall. “suppone non già un’iniziativa del concedente, ma quella dell’utilizzatore (seppur soggettivamente identificato nel curatore) seppur condizionata all’autorizzazione del comitato dei creditori” e si sostanzia nel predisporre una regolamentazione propriamente orientata al fine della migliore tutela, a livello concreto, dell'”interesse concorsuale”.
Con riferimento poi alla disciplina pattizia di cui alla clausola dell’art. 14, pure invocata dalla società, il decreto ha premesso – in modo esplicito richiamandosi all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte – che la disposizione dell’art. 1526 cod. civ. esprime una regola disciplinare senz’altro inderogabile. Nel merito, ha escluso l’eventualità di applicazione della clausola dell’art. 14, osservando che, se questa tende a “riproporre surrettiziamente proprio la disciplina di cui all’art. 72 quater e, a bene vedere, anche altro”, la disciplina dettata dalla norma dell’art. 1526 cod. civ. si preoccupa per contro di “evitare locupletazioni ingiustificate” in danno dell’utilizzatore.
3.- Avverso il decreto emesso dal Tribunale di Rovigo ha presentato ricorso la società di leasing, formulando tre motivi per la sua cassazione.
Il Fallimento ha resistito, con controricorso.
Entrambe le parti hanno anche depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.- Il primo e il terzo motivo di ricorso vanno trattati in modo congiunto, in ragione della loro stretta contiguità. Secondo quanto riscontra in via esplicita la stessa società ricorrente il terzo motivo, che si dichiara venire svolto “in via subordinata prudenziale”, ripropone – “se pure visto da un differente angolo visuale” – quanto già trattato nel primo motivo.
Entrambi i motivi lamentano violazione di legge art. 360 cod. proc. civ., ex n. 3: il primo la assume “dell’art. 1372 c.c., comma 1 e art. 1322 c.c., comma 2; inoltre dell’art. 1526 inapplicabile alla fattispecie”; il terzo, “degli artt. 72 e 72 quater L.Fall., dell’art. 1526 e dell’art. 1384 cod. civ.”.
Il primo motivo denunzia, altresì, vizio di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.
5.- Nel merito, i due motivi – che, per la verità, non seguono un percorso argomentativo propriamente lineare – rilevano che il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione l’obbligo della concedente di riconoscere all’utilizzatore quanto eventualmente percepito dalla vendita o reimpiego del bene, pur invece sussistente e esplicitato dalla richiamata clausola dell’art. 14.
Solo una simile “trascuratezza” – argomenta la società ricorrente può stare alla base della rilevazione del decreto, per cui la disciplina dettata dalla ridetta clausola viene a comportare delle ingiustificate locupletazioni a favore della società concedente.
In realtà, la disciplina dettata nell’art. 14 – così si prosegue – risulta non diversa, ma in buona sostanza coincidente con quella dettata nell’art. 72 quater L.Fall.: posto appunto che entrambe si focalizzano nell’obbligo del concedente di imputare a deconto del debito quanto eventualmente realizzato dal bene di cui al leasing. Nella clausola, “come del resto nella disciplina dell’art. 72 quater L.Fall.”, il bene dato in leasing “funge solo da garanzia impropria per l’adempimento delle obbligazioni dell’utilizzatrice: anche in base alla clausola risolutiva espressa l’esponente è tenuta a riallocare il bene e a quanto ricavato dalla sua vendita o reimpiego a decurtazione del proprio credito e di restituire l’eventuale eccedenza”.
“In presenza di una clausola risolutiva espressa quale quella contenuta nell’art. 14 delle condizioni generali del contratto di leasing, giammai è applicabile l’art. 1526 cod. civ., comma 1 ma semmai il secondo”; “ma è proprio il congegno della clausola risolutiva espressa” conformata dalla clausola dell’art. 14 si conclude – “a far sì che la società di leasing non possa ottenere alcuna ingiusta locupletazione dall’applicazione della stessa”.
6.- Incrociando le norme di legge indicate nelle intestazioni dei motivi (sopra, n. 4) con il sintetizzato contenuto degli stessi (sopra, n. 5), ne esce che, pur nella tortuosità delle sue enunciazioni, la società ricorrente viene in definitiva a sostenere che la clausola dell’art. 14 contiene una disciplina, equivalente a quella dettata dall’art. 72 quater L.Fall., che perciò la stessa non determina locupletazioni ingiustificate ed è meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., comma 2, in via correlata comportando l’estraneità della norma dell’art. 1526 c.c., comma 1, dal plesso normativo deputato a regolamentare la fattispecie concretamente in esame.
Quanto poi al fatto per cui si lamenta omesso esame ai sensi dell’art. 360, n. 5 un’attenta disamina del ricorso mostra che la censura risulta riferita alla prescrizione della clausola dell’art. 14, secondo cui “l’utilizzatore avrà però diritto di ricevere dal concedente l’eventuale ricavo dalla vendita o da reimpiego in locazione finanziaria” dell’immobile di cui al leasing.
7.- La ricostruzione operata dalla società ricorrente poggia per intero sulla asserita equivalenza sostanziale della disciplina dettata dalla clausola dell’art. 14 con quella accolta nella norma dell’art. 72 quater L.Fall..
Quest’assunto, tuttavia, non risulta in alcun modo condivisibile. Tra le due discipline corrono, in effetti, differenze di estremo rilievo.
Anche al di là dell’evidente diversità di presupposti (il mero fatto del sopravvenire del fallimento dell’utilizzatore su un contratto di leasing in corso di esecuzione, da un lato; dall’altro, il riscontro di un inadempimento dell’utilizzatore a fronte del quale la società concedente decide di risolvere il contratto), di contesti e di prospettiva (che, nel caso dell’art. 72 quater L.Fall., si fissa propriamente sulla maggiore convenienza concreta per il fallimento della scelta tra prosecuzione del contratto e suo scioglimento, con opzione che non può non tenere conto anche dell’eventuale esercizio provvisorio dell’impresa fallita), che sono state messe puntualmente in luce dal decreto del Tribunale rodigino (cfr. in particolare, il terzo capoverso del precedente n. 2).
8.- Secondo il disposto dell’art. 72 quater, comma 2, L.Fall., “in caso di scioglimento del contratto, il concedente… è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene… rispetto al credito residuo in linea capitale”.
Per contro, secondo i termini predisposti nell’art. 14 (nel testo riportato dalla società ricorrente a p. 24), il diritto dell’utilizzatore a percepire il ricavato della vendita o del reimpiego è destinato ad avvenire “al netto”, altresì, di “tutte le spese e oneri, anche se giudiziali e non ripetibili, e comunque a qualsiasi titolo sostenuti dal concedente, anche se connessi al recupero e alla vendita o reimpiego in locazione finanziaria dell’immobile o nello svolgimento delle pratiche anche legali dirette a conseguire indennizzi assicurativi o risarcimenti da parte di terzi”. Tutto questo senza che sia neppure previsto, nel corpo della clausola, il dovere di dare documentazione e conto delle dette sottrazioni.
Per altro verso, la clausola in discorso, se prevede una “restituzione immediata” del bene dato in leasing, come pure stabilisce la norma della legge fallimentare, a differenza di quest’ultima, peraltro, stabilisce nel contempo che nel montante del credito “coperto” dalla vendita o riallocazione del bene rientrano pure “tutti gli importi contrattualmente previsti” a carico dell’utilizzatore “fino alla data di scadenza originaria del contratto di locazione finanziaria” (con addizione di interessi moratori convenzionali).
9.- Secondo quanto prescrive sempre l’art. 72 quater L.Fall., comma 2 la vendita o rimpiego del bene posta in essere dalla società concedente deve di necessità avvenire “a valori di mercato”, pena altrimenti la responsabilità della società stessa (se non altro).
Diversamente, il tenore della clausola dell’art. 14 lascia del tutto libera la società concedente di procedere o meno all’operazione di riallocazione, secondo le proprie insindacabili determinazioni: la clausola neppure ipotizza, per la verità, che l’azione liquidatoria della concedente vada a tenere conto, a curarsi della presenza di interessi altrui (che siano quelli dell’utilizzatore o degli altri suoi creditori).
10.- Posta di fronte a una clausola di tenore assai prossimo a quello dell’art. 14 – che, del resto, riprende un modello particolarmente valorizzato dalla pratica attuale delle società di leasing – la decisione di Cass., 19 settembre 2017, n. 21476 ha ritenuto trattarsi di una “previsione contrattuale tendente a eludere la disciplina legislativa (contenuta nell’art. 1526 cod. civ.), la quale – secondo la giurisprudenza di questa Corte – ha stabilito l’applicabilità di quel dispositivo di legge nell’ipotesi di risoluzione del contratto di leasing traslativo anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore” (anche in quella specie, informa la citata decisione, la clausola si pone come “patto di addebito”, con “previsione di addebito di tutte le somme pretese: quelle già scadute e non pagate e quelle non ancora scadute”).
Più in particolare, la detta pronuncia ha ritenuto che “il c.d. detto patto di deduzione – per mezzo del quale deve essere riconosciuto al concedente l’importo complessivo dovuto dall’utilizzatore, a titolo di ratei scaduti e a scadere, nonchè quale prezzo di riscatto del bene, maggiorato degli interessi moratori convenzionali, anche se decurtato del prezzo di riallocazione del bene oggetto del contratto – è nullo per contrarietà all’ordine pubblico economico e, in particolare, alla previsione di cui all’art. 1526 cod. civ., applicabile in via analogia a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto”.
Con riferimento alla clausola dell’art. 14, qui fatta oggetto di esame, il Collegio ritiene di condividere, per le ragioni specificamene illustrate nei precedenti nn. 7, 8 e 9, l’impostazione e la soluzione adottata dalla citata pronuncia di Cass., n. 21476/2017.
11.- In definitiva, il primo e il terzo motivi di ricorso risultano infondati e quindi non meritevoli di accoglimenti.
Nessuna violazione di legge può essere imputata al decreto del Tribunale di Rovigo. Nè questo può ritenersi incorso nel vizio di cui al n. 5 dell’art. 360: le considerazioni svolte mostrano ampiamente, infatti, che la presenza di un mero dovere della società concedente di trasferire all’utilizzatore l’eventuale “residuo” del ricavato della riallocazione del bene dato in leasing non è – in sè – punto decisivo per il giudizio.
12.- Il secondo motivo di ricorso – inteso a predicare l’applicazione per analogia della norma dell’art. 72 quater L.Fall. al caso della risoluzione anteriore all’eventuale fallimento dell’utilizzatore (e dunque a prescindere dal fallimento dell’utilizzatore) – è stato fatto oggetto di espressa rinuncia da parte della società ricorrente in sede di memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ..
13.- Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 15.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, secondo quanto previsto dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 12 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018