LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3224/2014 proposto da:
Holding Invest S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito n.41, presso lo studio dell’avvocato Cacciavillani Ivone, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cacciavillani Chiara, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Oderzo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Confalonieri n.5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Luigi, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cittolin Cristina, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Holding Invest S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito n.41, presso lo studio dell’avvocato Cacciavillani Ivone, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cacciavillani Chiara, giusta procura a margine del ricorso principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
contro
S.C., S.E., S.M.C., S.P., S.G. di C.R.
& C. S.a.s.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1383/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/09/2018 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 13 ottobre 2010, la Holding Invest s.p.a. impugnava, dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, il lodo arbitrale emesso il 15 luglio 2009, con il quale erano state dichiarate improcedibili le domande di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni proposta dal Comune di Oderzo nei confronti della Holding Invest s.p.a. e della S.G. di Cappellotto R. & C. s.a.s. – parti della convenzione del 25 maggio 2001, per la realizzazione della nuova sede municipale nonchè la domanda della Holding Invest s.p.a. di risoluzione, ex art. 1467 c.c., di detta convenzione. Il medesimo lodo aveva, inoltre, rigettato nel merito le altre domande proposte dalla Holding s.p.a. nei confronti del Comune di Oderzo.
2. Con sentenza n. 1383/2013, depositata il 10 giugno 2013, la Corte d’appello di Venezia respingeva sia l’impugnazione principale proposta dalla Holding, sia l’impugnazione incidentale avanzata dal Comune di Oderzo. La Corte condivideva la decisione arbitrale circa la limitazione della declaratoria di improcedibilità alle domande proposte dall’ente pubblico ed alla domanda ex art. 1467 c.c., avanzata dalla Holding, e riteneva infondata, alla stregua della convenzione suindicata e degli atti amministrativi a monte, la domanda di quest’ultima di fare obbligo al Comune di assumere a proprio carico i costi dell’opera eccedenti la somma di Lire 2.700.000.000.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso la Holding Invest s.p.a. nei confronti della S.G. di C. R. & C. s.a.s., di S.M.C., di S.E., di S.P., di S.C., quali ex socie della predetta società e quali eredi legittime di S.G. e C.R., nonchè del Comune di Oderzo, affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.. Il Comune di Oderzo ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva.
4. La ricorrente ha controdedotto al ricorso incidentale con controricorso, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo e secondo motivo di ricorso, la Holding Invest s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 816 quater c.p.c., e art. 111 Cost., nonchè l’omesso esame di un fato decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
1.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello – nel pronunciarsi sull’impugnazione, ex art. 828 c.p.c., del lodo arbitrale emesso tra le parti (Holding Invest s.p.a., Comune di Oderzo e S.G. di C. R. & C. s.a.s.) – abbia erroneamente dichiarato improcedibile l’arbitrato, ai sensi dell’art. 816 quater c.p.c., comma 3, per la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra le parti e non vertendosi in nessuna delle ipotesi di cui al primo comma della disposizione citata, limitatamente alle domande proposte dal Comune di Oderzo, di risoluzione per inadempimento della convenzione stipulata inter partes in data 25 maggio 2001 e di risarcimento danni, ed alla domanda di risoluzione della medesima convenzione ex art. 1467 c.c., avanzata dalla Holding.
Erroneamente la Corte avrebbe ritenuto – a parere della esponente – che fosse sottratta alla pronuncia di improcedibilità dell’arbitrato la domanda – impropriamente rigettata nel merito dagli arbitri, in violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 – proposta dalla Holding nei confronti del Comune, avente ad oggetto l’accertamento che il proprio obbligo di realizzare la nuova sede comunale, nell’adempimento della convenzione suindicata, fosse limitato all’importo di Lire 2.700.000.000. Ed invero, anche in relazione a quest’ultima domanda – sebbene non proposta specificamente anche contro la S., ed ancorchè avanzata nel corso del giudizio arbitrale – sussisterebbe un’ipotesi di litisconsorzio necessario, atteso che la domanda della Holding di accertamento del proprio corretto adempimento contrattuale e di condanna del Comune al pagamento della somma eccedente quella di Lire 2.700.000.000, convenzionalmente stabilita, sarebbe specularmente opposta a quella di risoluzione per inadempimento proposta dall’ente pubblico. Di talchè tra le due pretese sussisterebbe un vincolo inscindibile, che darebbe luogo ad una fattispecie di cd. litisconsorzio processuale.
1.2. In ogni caso, ad avviso della istante, anche a voler considerare la domanda di adempimento della Holding – in relazione al corrispettivo per le opere superiori all’importo di Lire 2.700.000.000, che sarebbe dovuto andare a carico del Comune scindibile da quelle a litisconsorzio necessario, la prosecuzione della lite, in applicazione dell’art. 816 quater, comma 2, avrebbe dovuto comportare la separazione dei procedimenti con la nomina di un secondo collegio arbitrale distinto, consentendo, in tal modo alla Holding di nominare un proprio arbitro; in tal modo assicurando – in applicazione dell’art. 111 Cost. – il rispetto del principio della “parità delle armi” nel processo.
2. Le doglianze sono fondate.
2.1. Va osservato, invero, che ricorre l’ipotesi di dipendenza di cause allorchè la decisione di una controversia si estende necessariamente ad altra/e, costituendone il presupposto logico. Esse vanno trattate unitariamente anche (ma non solo) in fase di gravame, ove siano state decise in un unico processo di primo grado, determinandosi tra di esse un litisconsorzio necessario processuale (Cass., 03/04/2003, n. 5138; Cass., 24/01/2006, n. 1314; Cass., 11/07/2006, n. 15686).
2.2. Ebbene, non può revocarsi in dubbio che, nel caso di specie, tra la domanda di risoluzione della convenzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., proposta dal Comune, e quella di accertamento dell’avvenuto adempimento della stessa convenzione e di condanna dell’ente al pagamento del compenso dei lavori eseguiti, vi sia un rapporto di dipendenza. La suddetta relazione di inscindibilità può, per vero, sussistere anche nel caso in cui – come nella specie – confluiscano nella stessa causa, e nello stesso grado del giudizio, la domanda dell’attore e quella riconvenzionale del convenuto, se esse abbiano per fondamento la medesima situazione giuridica ex art. 36 c.p.c. (Cass., 16/12/1974, n. 4295).
In siffatta evenienza pertanto – non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art. 816 quater c.p.c., comma 1, stante il disaccordo tra le parti private (Holding e S.) in relazione alla nomina degli arbitri, per l’insanabile conflitto di interessi esistente tra gli stessi, che aveva dato luogo alla nomina di un arbitro da parte del Presidente del Tribunale di Treviso – la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario, in relazione a tutte le domande delle parti, avrebbe dovuto comportare una pronuncia di improcedibilità dell’intero arbitrato, ai sensi dell’art. 816 quater c.p.c., comma 3.
Ed invero, la finalità di realizzare un simultaneus processus, nel caso di pluralità di parti vincolate dalla medesima convenzione arbitrale, perseguita dall’art. 816 quater, comma 1, non può essere raggiunta a discapito della volontà delle parti ed alla loro uguaglianza nella formazione del collegio arbitrale. Il che si verifica quando non ricorre una delle tre condizioni enunciate dall’art. 816 quater c.p.c., comma 1, perchè possa essere attuato il simultaneus processus: 1) devoluzione ad un terzo della nomina degli arbitri; 2) accordo di tutte le parti per la nomina degli arbitri; 3) accordo delle parti diverse dall’attore, che ha già nominato il proprio arbitro, per la nomina di un eguale numero di arbitri, o per l’affidamento della nomina ad un terzo.
2.3. E’, pertanto, errata la decisione della Corte territoriale che in assenza di tutte e tre le condizioni indicate dal primo comma non ha dichiarato l’improcedibilità dell’intero arbitrato, a norma dell’art. 816 quater c.p.c., comma 3, ed ha deciso la domanda di adempimento nel merito, in violazione dell’art. 816 quater c.p.c., commi 1 e 3, e dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4.
2.4. Ad ogni buon conto – e, sotto tale profilo, anche il secondo motivo di ricorso si palesa fondato – se anche fosse da reputarsi corretta la affermazione della Corte d’appello che la domanda di adempimento della Holding era scindibile dalle domande di risoluzione suindicate, in siffatta ipotesi, dal momento che vi era già stata la costituzione del collegio arbitrale unico, all’atto della proposizione della domanda considerata scindibile unitamente a quelle ritenute a litisconsorzio necessario, con nomina giudiziale di un unico arbitro per i privati, sebbene in contrasto insanabile di interessi tra loro, la scissione dei giudizi – come sostenuto dalla dottrina dominante – avrebbe dovuto costituire oggetto di un lodo interlocutorio che avrebbe riportato la controversia alla fase antecedente alla costituzione del collegio arbitrale originario.
In tal caso, ciascuna parte – in luogo di restare vincolata dalla nomina giudiziale di un arbitro unico, nonostante il conflitto insanabile di interessi tra le stesse esistente – avrebbe, invero, potuto provvedere alla nomina del proprio arbitro, uno per ciascun centro di interessi, con piena esplicazione del proprio diritto di difesa, ai sensi degli artt. 24 e 111 Cost.. E’, difatti, evidente che – in siffatta ipotesi – l’esigenza di consentire il coordinamento delle decisioni e l’economia dei giudizi, posta a fondamento della disposizione di cui al primo comma dell’art. 816 quater c.p.c., non può andare a discapito della volontà delle parti e della loro uguale possibilità – esplicazione del diritto di difesa di ciascuna – di contribuire alla formazione del collegio arbitrale.
In alternativa, gli arbitri nominati avrebbero potuto procedere alla nomina degli altri arbitri necessari a comporre i diversi collegi. Ma in nessun caso la controversia, considerata scindibile, avrebbe potuto essere demandata all’originario collegio arbitrale unico.
Va osservato, invero, al riguardo, che la cd. clausola compromissoria binaria, che devolva – come nella specie determinate controversie alla decisione di tre arbitri, due dei quali da nominare da ciascuna delle parti contrapposte, può trovare applicazione in una lite con più di due parti quando, in base ad una valutazione da compiersi “a posteriori” – in relazione al “petitum” e alla “causa petendi” – risulti il raggruppamento degli interessi in gioco in due soli gruppi omogenei e contrapposti, sempre che tale raggruppamento sia compatibile con il tipo di pretesa fatta valere (Cass., 20/01/2014, n. 1090; Cass., 15/03/1983, n. 1900).
Tale situazione non può, per contro, ritenersi sussistente nella presente lite con pluralità di parti (il Comune e le due imprese appaltatrici), stante l’evidenziata – dalla stessa decisione di appello (pp. 8 e 12) – situazione di conflitto di interessi all’interno della stessa parte privata, che avrebbe dovuto provvedere alla nomina di un solo arbitro.
2.5. La decisione di appello – nel condividere il lodo arbitrale che non ha operato siffatta scissione dei collegi arbitrali, ma solo una separazione delle domande dinanzi allo stesso, originario, collegio, pure in presenza di un conflitto di interessi all’interno di una delle parti – si pone, pertanto, in palese violazione anche dell’art. 814 quater c.p.c., comma 2.
3. L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo, avente ad oggetto la dedotta erronea interpretazione della domanda, considerata scindibile, proposta dalla Holding Invest s.p.a..
4. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune di Oderzo, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, l’ente pubblico denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello abbia rigettato l’eccezione preliminare, proposta dall’amministrazione, di inammissibilità del primo motivo di nullità del lodo, articolato dalla Holding s.p.a., con la quale quest’ultima si doleva della mancata declaratoria di improcedibilità di tutte le domande oggetto dell’arbitrato. Durante il giudizio arbitrale, invero, la società predetta – non solo non avrebbe sollevato tale eccezione di nullità – ma si sarebbe addirittura opposta alla stessa eccezione avanzata dalla S. s.a.s.. Talchè l’eccezione in parola – sollevata dalla Holding s.p.a. solo in sede di impugnazione del lodo – sarebbe, ad avviso del Comune, preclusa, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2.
4.2. La censura è infondata.
4.2.1. L’eccezione proposta dalla Holding non mirava, invero, a censurare una violazione di regole procedimentali suscettibile di essere proposta già nel corso del procedimento, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 2, bensì l’errore in cui sarebbe incorso l’organo giudicante nel non pronunciare l’improcedibilità dell’intero arbitrato, ossia il ragionamento logico-giuridico posto a fondamento del lodo conclusivo del procedimento. Di talchè è del tutto evidente che il vizio di tale ragionamento – come correttamente rilevato dalla Corte territoriale – non poteva essere di certo rilevato prima della pronuncia del lodo.
4.2.2. La censura va, di conseguenza, rigettata.
5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il Comune di Oderzo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10.
5.1. L’ente pubblico si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto applicabile il disposto dell’art. 816 quater c.p.c., dichiarando parzialmente improcedibile l’arbitrato, benchè il contraddittorio si fosse articolato – nella specie – con la presenza di due sole parti (il Comune da un lato, e le imprese appaltatrici, dall’altro), in violazione del primo comma della norma succitata, che richiede più di due parti. Ne conseguirebbe che le domande proposte dall’ente pubblico nei confronti delle parti private sarebbero state procedibili nel giudizio arbitrale, per cui l’impugnazione incidentale proposta, al riguardo, dall’amministrazione avrebbe dovuto essere decisa, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 10, ed accolta.
5.2. La doglianza è infondata.
5.2.1. Come si è in precedenza osservato, infatti, non è possibile, nella specie, considerare le due società private come un unico centro di interessi, essendo ciò escluso dalle clausole contrattuali che specificavano gli obblighi dell’una e dell’altra società, dal mancato accordo sulla nomina di un arbitro unico, e dalla domanda di garanzia proposta – nel corso del giudizio arbitrale – dalla S. s.a.s. nei confronti della Holding s.p.a..
5.2.2. Il mezzo va, di conseguenza, disatteso.
6. L’accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso principale comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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