LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17610-2017 proposto da:
TRA.SPED SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 55, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA BERTOCCHINI, rappresentata e difesa dagli avvocati ALBERTO PASTA, EMILIO ANTONIO SELLITTI;
– ricorrente –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI LAVORO, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la sede DELL’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati GIANDOMENICO CATALATO, LORELLA FRASCONA’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 378/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 04/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/10/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RITENUTO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 4.5.2017, la Corte d’appello di “Forino ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato decaduta TRA.SPED. s.r.l. dai benefici di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, in ragione della tardività della richiesta di rimborso;
che avverso tale pronuncia TRA.SPED. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;
che , ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1, (conv. con L. n. 17 del 2007), in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto che la mancata tempestiva presentazione della domanda di rimborso dei contributi e premi versati implicasse la decadenza dal diritto di ottenerli in restituzione, in contrasto con i principi in tema di ripetizione d’indebito e in violazione dei principi costituzionali di solidarietà ed eguaglianza fra imprenditori ugualmente danneggiati dagli eventi alluvionali del 1994;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1, (conv. con L. n. 17 del 2007), e dell’art. 3 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale attribuito in tal modo un privilegio eccessivo agli enti pubblici destinatari del pagamento di contributi e premi, non considerando che il corretto bilanciamento tra le esigenze di contenimento della spesa e le finalità solidaristiche della disposizione agevolativa potevano essere contemperate riconoscendo i benefici non oltre il limite del danno subito;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, nonchè di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito ritenuto che la proroga dei termini disposta dalla disposizione cit. per la regolarizzazione dei versamenti di contributi e premi prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, per i soggetti colpiti dal sisma siciliano del 1990, non si applicasse anche ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali piemontesi del 1994, beneficiari delle analoghe disposizioni di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90;
che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata aver dato un’interpretazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1, (conv. con L. n. 17 del 2007)” in contrasto con i principi del diritto comunitario e l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6, comma 1 CEDU, e art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU;
che, con il quinto motivo, la medesima doglianza di cui al motivo precedente è argomentata in relazione al contrasto tra l’interpretazione fatta propria dai giudici di merito e il divieto di discriminazioni di cui all’art. 2 TFUE e all’art. 14 CEDU;
che i motivi possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure rivolte alla sentenza impugnata;
che questa Corte ha ormai consolidato il principio secondo cui il termine del 31.7.2007, risultante per la presentazione delle domande di regolarizzazione L. n. 330 del 2003, ex art. 4, comma 90, a seguito della proroga dell’originario termine del 31.7.2004 da parte del D.L. n. 300 del 2006, dell’art. 3-quater, comma 1, (conv. con L. n. 17 del 2007), si applica anche alle imprese abbiano già versato i contributi previdenziali, dovendosi ritenere irragionevole una distinzione tra coloro che non abbiano corrisposto i contributi e coloro che, invece, abbiano già effettuato il pagamento, in quanto la locuzione “regolarizzare la posizione”, di cui all’art. 4, comma 90, cit., include tanto l’ipotesi in cui la definizione della posizione previdenziale intervenga mediante il pagamento del 10% del dovuto, quanto quella in cui avvenga mediante il rimborso del 90% del versato (cfr. Cass. n. 12603 del 2016, cui hanno dato continuità, tra le altre, Cass. nn. 24988 del 2016 e 20740 del 2018);
che altrettanto consolidato è il principio secondo cui il termine in questione, benchè non espressamente qualificato dal legislatore come perentorio, costituisce nondimeno un termine di decadenza di ordine pubblico, tutelando l’interesse alla certezza delle determinazioni concernenti l’erogazione di spese gravanti sui bilanci degli enti previdenziali, che a sua volta è correlato ai vincoli di carattere sovranazionale cui il bilancio pubblico è assoggettato in forza dei Trattati Europei e dei criteri politico-economici e tecnici adottati dagli organi dell’Unione Europea per controllarne l’osservanza (cfr. Cass. n. 24933 del 2016, espressamente richiamata da Cass. n. 20740 del 2018, cit.);
che del pari consolidato è il principio secondo cui l’acclarata struttura unitaria del beneficio della regolarizzazione L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90, esclude che possano trovare in specie applicazione le disposizioni concernenti la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., giacchè in mancanza di (tempestiva) domanda di rimborso non può logicamente configurarsi alcun pagamento indebito, essendo la domanda amministrativa condizione necessaria per lo stesso sorgere del diritto al beneficio (così, espressamente, Cass. nn. 24933 e 24998 del 2016);
che, sulla scorta dei superiori principi, si è precisato che i benefici disposti dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, per i soggetti colpiti dall’alluvione piemontese del 1994, non sono soggetti alla riapertura dei termini prevista dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, atteso che tale disposizione concerne soltanto i beneficiari della regolarizzazione L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 17, vale a dire i soggetti colpiti dal sisma siciliano del 1990 (cfr. Cass. nn. 24933 e 24988 del 2016, nonchè Cass. n. 20740 del 2018, già cit., che hanno espressamente disatteso il contrario avviso espresso per obiter dictum da Cass. nn. 6685 e 6686 del 2015);
che, a seguito di ordinanza interlocutoria n. 6106 del 2018 di questa Sesta sezione civile, si è infine chiarito che su tale complessiva disciplina non hanno inciso le disposizioni di cui alla L. n. 205 del 2017, art. 1, commi 771-774, non avendo esse introdotto modifiche alla precedente normativa nè avendo la finalità di interpretarla autenticamente ma riferendosi alle sole imprese che non abbiano potuto ottenere tempestivamente la restituzione dei contributi o premi da esse versati in misura superiore al dovuto e per le quali però sussistano i requisiti definitivamente individuati dalla decisione della Commissione UE del 14.8.2015 (Cass. nn. 20740 e 21708 del 2018);
che, con specifico riguardo alle doglianze di cui al quarto e quinto motivo del ricorso, va ulteriormente ribadito che il legislatore Europeo non preclude al legislatore nazionale di fissare al danneggiato un termine per presentare una domanda per fruire di un beneficio di diritto interno, giacchè la predeterminazione di un termine garantisce anche il diritto Europeo della fruizione a ridosso di eventi naturali, garantendo in tal modo il controllo delle autorità nazionali in ordine ai requisiti necessari per fruire dello sgravio (così Cass. n. 21708 del 2018, cit.);
che, sotto tale profilo, deve escludersi che il diritto al rimborso dei contributi sia sorto in dipendenza della citata decisione della Commissione UE avendo la Corte di giustizia dell’Unione Europea affermato che la decisione della Commissione circa la compatibilità dell’aiuto non ne inibisce la concessione ancorchè l’aiuto medesimo sia stato (come nella specie) istituito in violazione degli obblighi di comunicazione preventiva e di c.d. standstill, solo dovendo ordinarsi al beneficiario dell’aiuto il pagamento degli interessi per il periodo della illegalità (GCUE, 12.2.2008 n. 199, C-199/06, richiamata da Cass. n. 2843 del 2018);
che siffatta conclusione non è sospettabile di confliggere con l’art. 6, comma 1 CEDU, essendosi chiarito che la sua finalità risiede nell’evitare il verificarsi di un effetto sorpresa derivante da mutamenti giurisprudenziali che portino, con esiti irreversibili e non assecondati da una normativa di salvaguardia, a considerare come termine decadenziale un termine già esistente e pacificamente non ritenuto tale, ciò che nella specie non può dirsi avuto riguardo all’insussistenza di un orientamento giurisprudenziale di segno favorevole a quello patrocinato da parte ricorrente (v. in tal senso Cass. n. 21634 del 2018);
che analogamente deve dirsi con riguardo alla paventata violazione dell’art. 1, Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, essendosi precisato che esso tutela sul piano convenzionale i soli crediti già accertati nonchè liquidi ed esigibili, ossia quelli che possano ritenersi parte del patrimonio dell’individuo (cfr. da ult. Cass. n. 25464 del 2018), mentre, costituendo nel caso di specie la (tempestiva) domanda amministrativa condizione necessaria per lo stesso sorgere del diritto al beneficio (così Cass. nn. 24933 e 24998 del 2016, già citt.), nessun diritto in sua assenza poteva dirsi sorto in capo all’odierna ricorrente;
che, alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso va conclusivamente rigettato;
che le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti, in ragione della straordinaria complessità della disciplina e, in specie, del ius superveniens che ha dato luogo all’ordinanza interlocutoria n. 6106 del 2018, cit.; che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018