Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28310 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2260/2017 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO DE ZAN, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati IRENE ANNA D’ONGHIA, ROBERTO CORDINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTIGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERLE DELLOSTATO, CHE LO rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1147/2016 della CORTe D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

RITENUTO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 22.7.2016, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da L.M. avverso l’ordinanza ingiunzione con cui la Direzione Territoriale del Lavoro di Modena gli aveva richiesto il pagamento di sanzioni per la mancata denuncia di numerosi rapporti di lavoro subordinati dissimulati come collaborazioni autonome;

che avverso tale pronuncia L.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura;

che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non ha depositato controricorso, limitandosi a richiedere di partecipare alla discussione nell’eventualità che fosse stata disposta la trattazione in pubblica udienza;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, per avere la Corte di merito ritenuto che, nonostante il Tribunale avesse deciso la causa con ordinanza letta in udienza invece che con sentenza, il provvedimento decisorio doveva comunque considerarsi legittimo;

che, con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa fatti decisivi per avere la Corte territoriale ritenuto la regolarità della notifica dell’ordinanza ingiunzione opposta, nonostante che la velata di notifica non facesse menzione dell’ufficio postale per mezzo del duale la copia dell’atto gli era stata inviata e della riferibilità all’atto notificato dell’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito del piego presso l’ufficio postale, ciò per cui egli aveva sollevato specifico motivo di gravame;

che, con il quarto motivo, il ricorrente si duole di violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, per avere la Corte di merito ritenuto irrilevante la circostanza che nell’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito mancassero le firme del destinatario o della persona abilitata alla ricezione;

che il primo motivo è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 2, non precisandosi in ricorso in che modo la censura concernente la violazione di uno dei “principi regolami del giusto processo” (ossia delle regole processuali la cui violazione è astrattamente denunciabile ex art. 360 c.p.c., n. 4) avrebbe avuto carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e tale da arrecare un effettivo pregiudizio alla parte denunciante e che la mancanza di tale specifica indicazione (già ritenuta necessaria da Cass. n. 22341 del 2017) appare vieppiù rimarchevole nel caso di specie, ove si consideri che la Corte di merito ha accertato che il provvedimento del giudice di primo grado è stato letto in udienza;

che parimenti inammissibili per difetto di specificità sono i restanti tre motivi, atteso che gli atti e i documenti del cui omesso o erroneo esame ci si duole anche ai tini della corretta sussunzione della fattispecie entro il paradigma normativo di riferimento non sono stati trascritti in ricorso, nemmeno nelle loro parti rilevanti, nè si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte essi sarebbero reperibili (cfr. in tal senso, tra le innumerevoli, Cass. nn. 5748 del 2018, 14784 e 23575 del 2015, 8569 del 2013);

che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non aver svolto il Ministero in epigrafe attività difensiva;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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