Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28321 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13955-2010 proposto da:

D.S.A.M., domiciliata in ROMA VIA CESARE FEDERICI 2 presso lo studio dell’Avvocato MARIA CONCETTA ALESSANDRINI che la rappresenta e difende (rinuncia al mandato);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che 1R rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 137/2009 della COMM.TRIB.REG. del Lazio, depositata il 08/04/2009;

relazione della causa svolta nella camera di del 13/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

FATTO E DIRITTO

D.S.A.M., nella qualità di coerede della madre B.T., propone ricorso per cassazione, con sette motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello – nel giudizio introdotto con l’impugnazione della cartella di pagamento, notificata all’odierna ricorrente, con la quale veniva iscritta a ruolo l’IRPEF relativa a redditi di fabbricati non dichiarati, recuperati a tassazione con l’avviso di accertamento emesso nei confronti della contribuente dante causa e divenuto definitivo per mancata impugnazione -, ha confermato il fondamento della pretesa dell’Agenzia delle entrate.

Il giudice d’appello ha infatti escluso la lamentata carenza di motivazione della cartella, la quale era stata legittimamente notificata alla odierna ricorrente in qualità di erede della Baldassarre, medio tempore deceduta. Nè si era rivelata fondata l’eccezione di decadenza dell’iscrizione a ruolo, che era stata invece tempestiva, considerata la proroga biennale del termine disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 10 per coloro che, come nella specie, non avevano aderito al condono.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, eccependo anzitutto l’inammissibilità dei sette motivi di ricorso perchè privi dei quesiti di diritto o della chiara enunciazione dei fatti in relazione ai quali la ricorrente lamenta l’insufficienza della motivazione, in violazione di quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c..

Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 15 settembre 1990, n. 261, art. 3, comma 4, anche in relazione all’omessa; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè violazione dell’art. 137 c.p.c. e ss.; nullità della notifica dell’avviso di accertamento.

Col secondo motivo denuncia violazione ed errata applicazione ed interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, anche con riferimento agli artt. 3,24 e 53 Cost.; ulteriore nullità assoluta ed insanabile della notifica della cartella di pagamento.

Col terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20; della L. n. 431 del 1998, artt. 1 e 13.

Col quarto motivo denuncia error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c..

Col quinto motivo denuncia omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio con riguardo alla nullità della registrazione del contratto verbale di locazione.

Col sesto motivo denuncia error in procedendo in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c., con riguardo all’eccepita inapplicabilità agli eredi della proroga biennale disposta dalla L. n. 289 del 2002.

Col settimo motivo denuncia omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio.

I sette motivi del ricorso per cassazione, quattro dei quali involgenti denunce di violazione di legge, due dei quali involgenti denunce di vizi di motivazione, ed uno dei quali, il primo, relativo ad entrambi, si rivelano inammissibili – come eccepito dalla controricorrente – in quanto non corredati, rispettivamente, del quesito di diritto e del cd. momento di sintesi, secondo quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.400 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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