Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.28323 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24860-2010 proposto da:

L.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato PIERLUIGI PALMA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI VELLETRI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 3124/2010 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 21/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

FATTO E DIRITTO

L.M., farmacista, propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria centrale, sezione di Roma, collegio *****, n. 3124, depositata il 21 maggio 2010, che, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle entrate, nel giudizio introdotto con l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale venivano determinati, ai fini dell’IRPEF per l’anno 1977, un maggior reddito derivante da corrispettivi non contabilizzati, e, ai fini dell’ILOR per lo stesso anno, un maggiore imponibile a tassazione separata derivante dalla cessione della farmacia in ***** per un valore dichiarato di Lire 7.000.000 contro quello accertato di Lire 70.000.000, ha confermato la fondatezza dell’atto impositivo, rigettando la domanda del contribuente diretta ad estendere a tali contestazioni il condono perfezionato in relazione all’imposta di registro.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Preliminarmente il Collegio osserva che il ricorso è improcedibile, non risultando depositata la copia autentica della sentenza impugnata, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso improcedibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 2.300 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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