LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3608 del ruolo generale dell’anno 2011 R.G. proposto da:
***** spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Emanuele Coglitore e Luigi Ferdinando Berardi per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avv. Emanuele Coglitore;
– ricorrente –
e Curatela del Fallimento della società ***** s.p.a., in persona del curatore, rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Ferdinando Berardi per procura speciale allegata all’atto di intervento, elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avv. Emanuele Coglitore;
– interveniente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata n. 281/01/2010, depositata in data 19 novembre 2010;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la società l’Avv. Luigi Ferdinando Berardi, e per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili.
FATTI DI CAUSA
La società ***** s.p.a., ricorre con sette motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, in epigrafe, con la quale è stato accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e riformata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza che aveva accolto il ricorso della società contribuente e annullato l’avviso di accertamento impugnato.
Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: con l’atto impugnato l’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla società ***** s.p.a. un avviso di accertamento con il quale aveva determinato, per l’anno di imposta 2004, una maggiore IVA indebitamente portata a detrazione. L’Agenzia, in particolare, aveva proceduto al recupero dell’IVA di cui alle fatture emesse dalla Ceramica Stilitaly s.r.l. e Tecnica Costruzioni s.r.l., quali appaltatrici dei lavori di costruzione di un opificio industriale in *****, tenuto conto che, sebbene l’IVA era stata addebitata alla società ***** s.p.a., la stessa non era stata mai versata dalle società emittenti, e, inoltre, avendo ritenuto l’inesistenza delle società Ceramica Stilitaly s.r.l. e Tecnica Costruzioni s.r.l. e che tra le stesse e la società ricorrente vi fosse un legame determinato dalla configurazione di un unico centro decisionale rappresentato dalla compagine sociale e dai soggetti preposti all’amministrazione, sostanzialmente coincidenti tra le società; la ***** s.p.a. aveva proposto ricorso avverso il suddetto atto impositivo, contestando il difetto di motivazione dell’atto impugnato e la sussistenza dell’asserito legame tra le società indicate, peraltro deducendo che l’esistenza di più soggetti proprietari o amministratori di più società tra loro interessate alla fornitura di servizi per la costruzione di un opificio industriale era da considerarsi fenomeno del tutto lecito; l’Ufficio si era costituito contestando i motivi di ricorso; la Commissione tributaria provinciale di Potenza aveva accolto il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle Entrate, nel contraddittorio con la società contribuente che, a propria volta, aveva proposto appello incidentale condizionato relativamente al ritenuto vizio di motivazione dell’atto impugnato, disatteso dal giudice di primo grado.
La Commissione tributaria regionale della Basilicata ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, in punto di diritto, ha ritenuto che la nozione di fatture inesistenti andava riferita non solo alle ipotesi di mancanza assoluta delle operazioni fatturate ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e l’espressione documentale di essa, sicchè nella categoria della inesistenza soggettiva dovevano ricomprendersi anche le ipotesi in cui, pur risultando che i beni erano entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, veniva accertato che uno o entrambi i soggetti fossero inesistenti.
In punto di fatto, inoltre, la sentenza censurata ha ritenuto che: le società emittenti, seppure formalmente esistenti, erano da considerarsi prive di capacità organizzativa e industriale idonea alla realizzazione delle opere alle stesse commissionate; che, sebbene era stato documentato che, a propria volta, le società appaltatrici avevano stipulato dei contratti di subappalto, gli atti prodotti erano privi di una quantificazione finale; che non era stata offerta dalla contribuente prova idonea a contrastare la presunzione di una sovrafatturazione da parte della società emittenti le fatture rispetto a quanto dalle stesse, a propria volta, commissionato ai subappaltatori, sicchè la fatturazione risultava irrealistica e spropositata; che era comprovata la sussistenza di un disegno criminoso volto alla realizzazione di un indebito rimborso IVA.
Infine, la pronuncia impugnata ha rigettato le eccezioni e l’appello incidentale condizionato proposti dalla società contribuente.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la ***** s.p.a., affidato a sette motivi di censura.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Con atto del 15 gennaio 2013, depositato il 29 gennaio 2018, è intervenuta in giudizio la curatela del Fallimento della società ***** s.p.a..
La ***** s.p.a., in liquidazione, e la Curatela del Fallimento della società ***** s.p.a. hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per ragioni di coerenza logica in ordine ai motivi di ricorso proposti, devono essere esaminati prioritariamente il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, ponendo i motivi terzo e quinto la questione della inammissibilità dell’atto di appello, sia per essersi formato il giudicato interno sul difetto di legittimazione passiva della società ricorrente sia per mancanza di richiesta di assistenza per la difesa tecnica dell’Avvocatura generale dello Stato da parte del Direttore dell’Agenzia, ed il quarto la questione del vizio di motivazione dell’atto impugnato.
In particolare, con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 329 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36,53 e 56, in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, art. 25, comma 1 e art. 30 e per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di appello tenuto conto della formazione del giudicato interno sulla pronuncia di difetto di legittimazione passiva della società contribuente, non avendo la controricorrente proposto alcuna censura, in sede di appello, su tale statuizione della sentenza del giudice di primo grado.
Il motivo è inammissibile.
Il giudice del gravame ha ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per giudicato interno formatosi sulla questione della legittimazione passiva della contribuente, precisando che l’affermazione contenuta nella sentenza del giudice di primo grado, relativa all’erronea individuazione della medesima contribuente quale soggetto legittimamente destinatario della pretesa tributaria, non implicava in alcun modo una pronuncia sulla mancanza di legittimazione a contraddire, essendo la reale destinataria dell’atto impositivo impugnato.
La ricorrente, con il presente motivo di ricorso, non coglie l’esatta ratio decidendi della statuizione della pronuncia in esame, che, come detto, si fonda sulla considerazione che la contribuente, rispetto all’atto impugnato, fondato sulla ritenuta inesistenza soggettiva della società commissionarie dei lavori e, quindi, della illegittima detrazione dell’IVA operata, era stata correttamente individuata quale destinataria della pretesa tributaria esercitata.
Con il motivo di ricorso in esame, invero, la ricorrente si limita a evidenziare di avere correttamente provveduto a contabilizzare le fatture ed a provvedere al pagamento dell’IVA e, inoltre, la contraddittorietà della pronuncia del giudice del gravame, senza tuttavia, prospettare ragioni di doglianza specifiche sul contenuto della statuizione in esame.
Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, nonchè per omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice di appello genericamente motivato sulla questione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento parziale.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza del giudice di appello ha dato specifica motivazione sulla questione in esame, ritenendo che l’atto impugnato conteneva pienamente l’iter logico giuridico seguito per l’adozione dell’atto e nella stessa parte in fatto della pronuncia si ricostruisce specificamente il percorso seguito dall’Ufficio finanziario ai fini della contestazione dell’indebita detrazione dell’IVA, pervenendo alla successiva affermazione che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, era consentito procedere secondo una diversa ripartizione dell’onere probatorio e sulla base degli elementi riscontrati, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54.
Rispetto al contenuto della decisione sopra indicato, con il presente motivo parte ricorrente si limita a prospettare la questione del difetto di motivazione dell’atto impugnato, senza tuttavia provvedere a riprodurre il testo del medesimo, al fine di consentire a questa Corte la verifica della fondatezza della doglianza in esame, sicchè, sotto tale profilo, non solo la motivazione della pronuncia censurata risulta sufficiente, ma difetta il necessario requisito dell’autosufficienza del motivo di ricorso, come invece richiesto dalla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72 e dell’art. 43 del T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52,comma 2, per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice del gravame ritenuto, con riferimento al motivo di appello condizionato proposto dalla contribuente, che l’atto di appello era stato regolarmente proposto pur in assenza di una specifica richiesta di assistenza tecnica all’Avvocatura dello Stato da parte del Direttore dell’Agenzia.
Il motivo è infondato.
Le Agenzie fiscali possono avvalersi, per la rappresentanza in giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (R.D. n. 1611 del 1933, art. 43) senza la necessità di speciali autorizzazioni (Cass. Civ., 18 marzo 2005, n. 12152 e 20 novembre 2006, n. 24623), restando i rapporti tra il Direttore dell’Agenzia e l’Avvocatura erariale in ambito puramente interno.
Riprendendo, quindi, i motivi di ricorso, secondo la sequenza prospettata dalla ricorrente, con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, n. 4), in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 1, art. 17,comma 1, art. 18, comma 1 e art. 19, comma 1, artt. 1655 e 1656 c.c., D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a), nonchè per insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo è fondato.
Va premesso che l’avviso di accertamento era stato emesso sul presupposto che la Tecnica costruzioni s.r.l. e la Ceramica Stilitaly s.r.l. dovevano essere considerate società soggettivamente simulate e che le fatture erano state emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente indetraibilità dell’IVA. Nel suo percorso motivazionale, la sentenza impugnata ha affermato, in diritto, che la nozione di fatture inesistenti deve essere ricondotta anche all’ipotesi dell’inesistenza soggettiva, nella quale vanno ricompresi i casi in cui, pur risultando che i beni sono entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, sia accertato che uno o entrambi i soggetti non siano esistenti.
Questa ricostruzione di base, dunque, sembra opportunamente delineata al fine di dare alla pretesa impositiva dell’Ufficio finanziario un supporto in diritto circa la sua legittimità, tenuto conto che, come detto, l’impianto motivazionale dell’atto di accertamento si fondava sulla ritenuta inesistenza delle società cui la contribuente aveva commissionato l’esecuzione dei lavori e, quindi, sulla conseguente illegittimità della operata detrazione IVA sulle fatture emesse dalle società ritenute fittizie.
Questa prima parte dell’impianto motivazionale, tuttavia, risulta contraddittoria rispetto a quanto poi statuito dalla pronuncia impugnata in materia di riparto dell’onere della prova.
In particolare, va in primo luogo osservato che la sentenza censurata dà atto che l’ufficio aveva ritenuto che le società emittenti fossero sì dotate di personalità giuridica e che quindi fossero formalmente esistenti, ma ritiene che le stesse fossero prive della capacità organizzativa necessarie per la realizzazione delle opere, e, pur tuttavia, dà atto che erano stati prodotti contratti relativi ad opere realizzate mediante subappalti.
Con specifico riferimento alla circostanza riscontrata dalla documentazione probatoria offerta in ordine alla esistenza di contratti di subappalto stipulati tra le società emittenti le fatture e altre società subappaltatrice, la sentenza impugnata precisa che non è stata fornita la prova contraria dell’esistenza di una sovrafatturazione da parte della società Stilitaly e Tecnica Costruzioni rispetto a quanto dalle stesse commissionato ai subappaltatori, evidenziando che la fatturazione delle società suddette resta nel caso concreto e per le motivazioni innanzi riportate assolutamente irrealistica e idonea invece a creare a favore della ***** un indebito credito IVA da chiedere a rimborso. Inoltre, in un successivo passaggio argomentativo, la pronuncia richiama l’orientamento di questa Corte in materia di riparto dell’onere della prova nei casi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, gravando sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni.
Questi ulteriori passaggi, come è dato vedere, riguardano specificamente la materia delle operazioni oggettivamente inesistenti: l’ipotizzarsi di una sovrafatturazione, infatti (con il conseguente regime probatorio che da essa ne deriva) implica l’indicazione in fattura di un importo superiore a quello effettivamente corrisposto, ma, in quanto tale, la stessa rivela un’operazione solo parzialmente inesistente, cioè limitata alla parte eccedente rispetto a quella effettiva.
Questo profilo, quindi, unito anche alla considerazione di cui alla sentenza in ordine al regime probatorio in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, si pone in termini di contraddittorietà con l’affermazione iniziale della sussistenza, nel caso di specie, di una operazione soggettivamente inesistente e, soprattutto, con la ragione di contestazione contenuta nell’atto di accertamento impugnato, considerato che, nell’argomentare in ordine all’appello incidentale condizionato (relativo all’asserito vizio di motivazione dell’atto impugnato), la pronuncia censurata considera valido l’iter logico – giuridico seguito dall’Ufficio nell’adozione dell’atto impugnato che, tuttavia, per come sopra precisato, si fondava sulla ritenuta esistenza di una illegittima detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti.
Ne consegue che il motivo deve essere considerato fondato per contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla sussistenza, nel caso di specie, di operazioni soggettivamente inesistenti, come contestate con l’atto impugnato, avendo il giudice di appello chiaramente osservato che le operazioni sarebbero state effettivamente realizzate, sebbene mediante subappalto, ed avendo, piuttosto, ritenuto esistente una sovrafatturazione rispetto a quanto commissionato dalla Tecnica costruzioni s.r.l. e la Ceramica Stilitaly s.r.l..
Dall’accoglimento del motivo di ricorso in esame consegue l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, art. 13, comma 1, art. 14, comma 1, art. 17, comma 1, art. 18, comma 1, art. 19, comma 1, art. 30, comma 2, in relazione del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60, comma 2, per non avere riconosciuto la corretta applicazione dell’imposta IVA e mancato rispetto del principio della certezza del diritto.
Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cc., artt. 112,324e 329 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, artt. 53 e 56, in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 1 e art. 17, comma 1, atteso che, avendo il giudice di primo grado annullato totalmente l’atto impugnato, l’Agenzia delle Entrate, con l’atto di appello, non aveva formulato alcuna specifica contestazione in ordine all’annullamento delle sanzioni, con conseguente acquiescenza sulla questione in esame.
Il motivo è infondato.
La sentenza di primo grado ha ritenuto illegittima la pretesa impositiva fatta valere dall’Ufficio per mancanza dei presupposti di legge, ritenendo, implicitamente, di dovere confermare anche la parte relativa all’avviso di accertamento concernente l’irrogazione delle sanzioni.
Tuttavia, ai fini della valutazione della fondatezza del motivo di ricorso in esame, sotto il profilo della formazione del giudicato interno, era necessario che parte ricorrente specificasse che la questione della illegittimità delle sanzioni era stata proposta come autonomo motivo di contestazione in sede di ricorso in primo grado, poichè solo in tal caso si sarebbe potuto prospettare una acquiescenza parziale dell’Ufficio sulla questione della non applicabilità delle sanzioni.
Nel motivo in esame nessuna specifica indicazione in tal senso è dato riscontrare, nè può dirsi operabile tale riscontro con riferimento a quanto indicato nel settimo motivo, in quanto si limita a riferire che sia in primo che, in via devolutiva, in secondo grado, aveva fatto rilevare l’illegittimità delle sanzioni, ma riporta, a tal proposito, solo la domanda subordinata proposta in sede di appello.
Con il settimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), per non avere il giudice di appello tenuto conto della domanda di pronuncia della illegittimità dell’applicazione delle sanzioni per difetto dell’elemento soggettivo e su tale punto risulta omessa ogni statuizione del giudice di appello.
Le considerazioni espresse in sede di esame del primo e sesto motivo di ricorso comporta l’assorbimento del presente motivo.
Per quanto sopra esposto, va accolto il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il terzo e quarto motivo, infondati il quinto e sesto, assorbiti gli altri motivi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata sul motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il terzo e quarto motivo, infondati il quinto e sesto, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata sul motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018