Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.28336 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 29884/2011 R.G. proposto da:

DO.MI. Formazione e sviluppo ONLUS, rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Rijli, con domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Maldari in Roma, via Filippo Corridoni n. 4, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria sez. staccata di Reggio Calabria n. 119/13/10, depositata il 4 novembre 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 giugno 2018 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

Udito l’Avv. dello Stato Raffaela Ferrando che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

DO.MI. Formazione e sviluppo ONLUS impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno 2003 per Ires, Irap e per Iva in conseguenza del disconoscimento della qualifica di ONLUS e dell’attribuzione della natura di ente commerciale.

Il giudice di primo grado rigettava l’impugnazione; la sentenza era confermata dalla CTR della Calabria.

La contribuente ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, per aver la CTR dichiarato inammissibile la produzione di nuova documentazione in appello.

1.1. Il motivo – seppure la CTR abbia evidentemente errato atteso che, per costante e consolidato orientamento della Corte, “il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza” (Cass. n. 22776 del 06/11/2015; Cass. n. 27774 del 22/11/2017) – è inammissibile.

La ricorrente, infatti, non ha, in carenza di autosufficienza, nè riprodotto la documentazione invocata e su cui il ricorso si fonda, nè indicato specificamente il luogo ove ne era avvenuta la produzione, sì da poterne verificare in sede di legittimità l’attinenza e la decisività.

La censura è comunque irrilevante, avendo la CTR ugualmente valutato e considerato l’esistenza della citata documentazione (certificati di disoccupazione), escludendone, peraltro, la sufficienza e la rilevanza ai fini della sussistenza della condizione di svantaggio.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 2, essendo sufficiente il ricorrere di una delle condizioni di svantaggio previste dalla norma per il riconoscimento dei benefici fiscali, tale dovendosi ritenere la condizione di disoccupazione dei destinatari delle prestazioni.

2.1. Il motivo è inammissibile non cogliendo la ratio della decisione impugnata.

La CTR, infatti, non ha sostenuto la necessità della ricorrenza di una pluralità di situazioni specifiche di svantaggio per l’integrazione della fattispecie normativa, limitandosi a rilevare che “l’unica condizione di svantaggio accertata sulla maggioranza dei corsisti partecipanti ai corsi è costituita dallo stato di disoccupazione accertata dal relativo certificato di disoccupazione rilasciato dall’ufficio del collocamento”, ma evidenziando, con accertamento di merito, qui non censurabile, nè, comunque, censurato, che “tale stato di svantaggio” non è “riscontrabile nei destinatari o nella gran parte di essi che hanno partecipato ai corsi di formazione”.

3. Il terzo motivo denuncia motivazione contraddittoria: la CTR da un lato ha ritenuto inammissibile la produzione dei nuovi documenti attestanti lo stato di disoccupazione e, dall’altro, li ha ugualmente valutati.

3.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse: la CTR, al di là dell’enunciata inammissibilità, ha, in concreto, ritenuto di procedere all’esame della documentazione, sicchè non sussiste nè contraddittorietà (operando le due valutazioni su ambiti diversi), nè, comunque, alcun pregiudizio per la difesa della parte, del resto neppure dedotto.

4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sull’eccepita violazione del D.P.R. n. 460 del 1997, art. 10 in relazione alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 10, ossia sull’illegittimità della ripresa Iva per l’attività di formazione svolta in favore di un ente pubblico.

4.1. Il quinto motivo denuncia nuovamente violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sull’eccepita violazione dell’art. 73, commi 4 e 5 tuir, nonchè della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 187 ossia sull’illegittima ripresa fiscale ai fini Irpeg, dovendosi comunque qualificare l’ente come non commerciale.

4.2. Entrambe le doglianze sono inammissibili.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, infatti, “E’ inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. n. 14561 del 17/08/2012; Cass. n. 17049 del 20/08/2015; Cass. n. 11738 del 08/06/2016).

5. Il ricorso va pertanto respinto per inammissibilità dei motivi, con aggravio di spese processuali giusta regola di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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