LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15329/2016 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Haier Europe Trading Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Tullio Elefante, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Cardinal de Luca, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5459/2015, depositata il 16 dicembre 2015.
Udita la relazione svolta nella Pubblica udienza del 5 giugno 2018 dal Cons. Dott. Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’Avv. dello Stato Rafaela Ferrando che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Haier Europe Trading Srl impugnava l’avviso di accertamento per il 2007 per maggior Ires, Irap e per Iva, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione la differenza rispetto al valore normale in relazione a transazioni di beni con altre società del gruppo non residenti in Italia, irrogando le conseguenti sanzioni ai fini Ires ed Irap.
L’impugnazione, ritenuta fondata dalla Commissione tributaria provinciale di Varese limitatamente all’irrogazione della sanzione, era integralmente accolta dal giudice d’appello.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con otto motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, per aver la CTR accolto l’appello della contribuente sul fondamento che, con riguardo ai beni acquistati dalle consociate estere, il prezzo sul mercato nazionale fosse superiore o non inferiore, circostanza non dedotta in primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
Come risulta dal ricorso in primo grado (pag. 18), allegato dall’Agenzia ricorrente, la società contribuente aveva sin dall’inizio evidenziato “una marginalità di profitto positiva per le transazioni infragruppo rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 110, comma 7 T.U.I.R., realizzate con le controparti estere del gruppo” e, dall’altro, “una redditività negativa derivante dalla rivendita dei prodotti acquistati dalla consociata italiana” e, dunque, che le cessioni infragruppo estere avvenivano per un importo superiore a quelle nazionali, ancorchè limitate a quelle relative alla consociata nazionale.
2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al medesimo profilo, motivazione apparente per non aver la CTR precisato le fonti e le ragioni del convincimento.
2.1. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per non aver la CTR indicato gli elementi probatori su cui si basava la decisione.
2.2. Il quarto denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 110 T.U.I.R., per aver la CTR ritenuto che non sussista violazione della disciplina sul transfer pricing ove il prezzo di acquisto delle medesime merci sul mercato interno sia superiore a quello per le cessioni infragruppo estere, omettendo altresì di considerare il valore normale del prezzi di trasferimento.
2.3. Il quinto motivo denuncia, sul medesimo profilo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per motivazione apparente.
3. Va esaminato per priorità logico-giuridica il quarto motivo, che è fondato, restando assorbiti gli altri motivi.
3.1. Occorre premettere, in primo luogo, che la normativa in esame non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sè considerato, sicchè la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall’art. 9, comma 3 T.U.I.R. (v. Cass. n. 11949 del 2012; Cass. n. 10742 del 2013; Cass. n. 18392 del 2015; Cass. n. 7493 del 2016).
Tale conclusione, del resto, risponde alla ratio della normativa che va rinvenuta “nel principio di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE””, sicchè la valutazione in base al valore normale investe la “sostanza economica dell’operazione” che va confrontata “con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti” (v. in particolare Cass. n. 27018 del 15/11/2017 che, nel ricomporre le diverse opzioni interpretative emerse nella giurisprudenza della Corte, ha espressamente affermato “la ratio della disciplina di cui all’art. 110, comma 7 T.U.I.R., va individuata nel principio di libera concorrenza, esclusa ogni qualificazione della stessa come norma antielusiva”).
L’art. 9, comma 3, del citato decreto, inoltre, prevede che sono da intendersi normali i prezzi di beni e servizi praticati “in condizioni di libera concorrenza”, al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi e con riferimento “in quanto possibile” a listini e tariffe di uso, non escludendosi pertanto l’utilizzabilità, al descritto fine, di altri mezzi di prova (vedi in senso analogo, Cass. n. 11949 del 2012; n. 10739 e n. 10742 del 2013; n. 8849 del 2014).
3.2. Orbene, nella vicenda in esame, la CTR afferma che “nel caso in esame, come dimostrato, i prezzi corrisposti sono corretti ed in linea (ovvero più bassi) di quelli del mercato nazionale”.
A tale statuizione, peraltro, segue il rilievo che il versamento di contributi monetari (per Euro 11.612.189,50) da parte della controllante cinese “a parziale rettifica dei prezzi di trasferimento” era funzionale “per supportarne i risultati economici e fare in modo che la redditività della società contribuente corrisponda a quella di mercato”.
In altri termini, da un lato sembra affermata una apparente congruenza dei prezzi di trasferimento rispetto ai valori di mercato – e dunque ad un asserito valore “normale”, valore che, peraltro, è ragguagliato agli acquisti dalla sola consociata sul mercato interno e non in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti mentre dall’altro il conseguimento di una redditività corrispondente a quella di mercato esige un sostanzioso contributo monetario da parte della casa madre, contributo la cui concreta ripartizione e finalità resta in concreto oscura.
3.3. Ne deriva, dunque, che il giudice d’appello, nel valutare la congruità dei trasferimenti, ossia se essi avvenivano ad un prezzo normale, non ha tenuto conto che l’asserita normalità avveniva non in una condizione di concorrenzialità ed in assenza di alcun adeguato correttivo ed ha applicato, in realtà, un criterio di normalizzazione “a posteriori”, avendo ritenuto il prezzo “normale” in forza non della sua rispondenza ai criteri di legge ma perchè esso è stato integrato, successivamente, dalla società capogruppo.
Va ribadito, del resto, che per la consolidata giurisprudenza “il “valore normale” dei corrispettivi, nelle transazioni tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo multinazionale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76 (ora art. 110), deve essere desunto da una comparazione fortemente contestualizzata sotto il profilo qualitativo, commerciale, temporale e locale, finalizzata ad individuare un valore medio da cui deve essere espunto solo il fattore destabilizzante della non concorrenzialità, sicchè costituiscono criteri prioritari i listini o le tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, le mercuriali o i listini delle camere di commercio e le tariffe professionali, tenuto conto degli sconti d’uso, o, in caso di prezzi imposti, i provvedimenti in vigore, ed, infine, in assenza di tali elementi, i dati oggettivamente significativi e numericamente apprezzabili, che è onere del contribuente allegare” (Cass. n. 17953 del 19/10/2012).
3.4. La CTR, dunque, ha errato nell’applicare l’art. 110, comma 7, tuir e i criteri fissati dall’art. 9, comma 3 T.U.I.R., restando del tutto incomprensibile se il valore delle transazioni corrispondesse o meno al valore normale.
4. Il sesto, il settimo e l’ottavo motivo denunciano vizi in ordine alla sanzione irrogata D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 1,comma 2, in relazione al riconoscimento dell’esimente prevista dal successivo comma 2 ter, ratione temporis applicabile.
Le doglianze restano assorbite dall’accoglimento del quarto motivo.
5. La sentenza, pertanto, va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018