Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.28341 del 07/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24932/11 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente – controricorrente incidentale –

contro

Unicredit S.p.A., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Gabriele Escalar e dall’avv. Livia Salvini, presso cui è

elettivamente domiciliata in Roma al viale Giuseppe Mazzini n.11;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e Equitalia Nomos S.p.A., in persona del l.r.p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n.100/21/10 emessa in data 12 luglio 2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione 21, depositata in data 16 luglio 2010 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18/9/2018 dal Consigliere Dott. Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo accoglimento del ricorso principale ed assorbimento del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato dello Stato Maria Pia Camassa per l’Agenzia delle Entrate e l’avv. Gabriele Escalar della Unicredit s.p.a..

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi avverso l’Unicredit S.p.A. ed Equitalia Nomos S.p.A. per la cassazione della sentenza n. 100/21/10 emessa in data 12 luglio 2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione 21, depositata in data 16 luglio 2010 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza della C.T.P. di Verona, che aveva accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che per l’anno 2004 l’aliquota dell’imposta Irap doveva considerarsi ferma alla misura del 4,25%, in base a quanto disposto dalla Legge Finanziaria n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a) con cui era stato sospeso il potere delle Regioni di utilizzare lo spazio di autonomia del prelievo tributario loro concesso.

2. Con il ricorso, l’Agenzia delle Entrate ribadisce la correttezza del proprio operato, nell’avere proceduto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis; inoltre deduce l’errore commesso dalla C.T.R. veneta per avere ritenuto che la sanatoria prevista dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22 non si applicasse anche alla sospensione che il precedente comma 21 della medesima legge aveva introdotto sulla maggiorazione prevista dalla legge regionale, dovendosi, invece, applicare l’aliquota del 5,25%, o, in subordine quella del 4,75%, già in vigore nel 2002.

3. A seguito del ricorso, Equitalia Nomos è rimasta intimata, mentre l’Unicredit S.p.A. resiste con controricorso ed avanza ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento di quello principale, chiedendo dichiararsi la nullità della sentenza impugnata per l’omessa pronuncia sull’eccezione, avanzata in primo grado e riproposta in appello, relativa alla carenza di motivazione della cartella impugnata.

4. L’Agenzia delle Entrate a sua volta resiste con controricorso.

5. L’Unicredit Sp.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e documentazione relativa allo sgravio integrale dell’iscrizione a ruolo recata dalla cartella di pagamento oggetto di impugnativa; chiede, quindi, dichiararsi cessata la materia del contendere.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve rilevarsi che non può ritenersi inammissibile il ricorso dell’Amministrazione nè che sia cessata la materia del contendere a seguito dello sgravio. Invero “lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente – comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione – non produce, di per sè solo, alcun effetto sull’avviso di liquidazione, nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela” (Sez. 5, Sentenza n. 24064 del 28/12/2012; Sez. 5, Sentenza n. 6334 del 01/04/2016 con specifico riferimento alla cartella emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis).

Inoltre, la stessa Agenzia delle Entrate ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, con ciò chiarendo di avere ancora interesse alla decisione.

1.1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis – l’Agenzia delle Entrate ribadisce la correttezza del proprio operato, nell’avere proceduto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, le argomentazioni svolte, al proposito, dalla C.T.R. del Veneto, in ordine alla “complessità delle questioni”, tale da non legittimare il ricorso alla procedura di cui al citato art.36 bis sarebbero inconferenti in quanto, a fronte dell’imponibile dichiarato dalla società, l’esposizione di un’imposta diversa da quella risultante dall’applicazione dell’aliquota del 5,25% (ritenuta corretta dall’Ufficio a fronte di quella applicata dalla Società del 4,25%) costituiva il frutto di un mero errore materiale o di calcolo.

1.2. Il motivo è fondato.

1.3. Nella specie, a fronte dei meri dati numerici emergenti dalla dichiarazione dei redditi, l’Ufficio ha provveduto a correggere il rilevato errore di calcolo, non rettificando la base imponibile, ma riliquidando l’imposta mediante automatizzata applicazione di una diversa aliquota. Ha, pertanto, errato il Giudice di merito nel ritenere illegittimo il ricorso alla procedura di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis attesa la “complessità della questione”, in quanto la relativa valutazione giuridica non è stata effettuata ex ante, dall’Amministrazione finanziaria nel riliquidare l’imposta, ma è conseguita alle eccezioni svolte dalla contribuente al fine di contestare il rilevato errore nell’applicazione di un’ aliquota diversa (vedi Cass. sent. nn. 13453, 13454 e 13455/2014).

2.1. Con il secondo motivo -rubricato violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, della L.R. Veneto n. 38 del 2002, art. 2, della L.R. Toscana n. 43 del 2000, art. 2, della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), della L. n. 350 del 2003, art. 2, commi 21 e 22, della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 61 e 75 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – l’Agenzia delle Entrate deduce l’errore commesso dalla C.T.R. veneta per avere ritenuto che la sanatoria prevista dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22 (a mente del quale, nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di IRAP in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti, l’applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni e sino al periodo di imposta decorrente dal 1 gennaio 2010) non si applicasse anche alla sospensione che il precedente comma 21 medesima legge aveva introdotto sulla maggiorazione prevista dalla L.R., dovendosi, invece, applicare l’aliquota del 5,25%.

2.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

2.3. Preliminarmente, deve rilevarsi che in ordine all’illegittimità dell’iscrizione a ruolo relativa alla maggiorazione dell’aliquota Irap deliberata dalla Regione Toscana si è formato un giudicato interno, poichè la sentenza della C.T.P. di Verona risulta impugnata dall’Ufficio limitatamente alle maggiorazioni deliberate dalla Regione Veneto.

Come è noto, la Regione Veneto, avvalendosi del potere attribuito alle Regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, (come modificato dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. “I”, n. 2) fissò l’aliquota Irap applicabile ai soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 6 e 7 nel 5,25% tanto per l’anno 2003 quanto per l’anno 2004. Tale fissazione fu effettuata per il 2003 con la L.R. 22 novembre 2002, n. 34, art. 2 (che utilizzò la formula “Per l’anno 2003 è aumentata di un punto percentuale l’aliquota”, cosicchè la determinazione dell’aliquota al 5,25% risulta dall’aumento di un punto sull’aliquota ordinaria del 4,25% fissata nel testo all’epoca vigente del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 1) e per il 2004 con la L.R. 24 novembre 2003, n. 38, art. 2 (che utilizzò la formula, più diretta e chiara, “Per l’anno 2004, è fissata nel 5,25% l’aliquota”). La Legge Statale 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), all’art. 3, comma 1, lett. “a”, per contro, stabili, “in funzione dell’attuazione del titolo 5" della parte seconda della Costituzione e in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale”, che gli aumenti delle addizionali Irpef e la maggiorazione dell’aliquota dell’Irap di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, “deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sono sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale”. Tale sospensione delle maggiorazioni Irap regionali fu poi confermata fino al 31.12.04, per quanto qui interessa, con la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 21, (finanziaria 2004), ai sensi del quale “Fino al 31 dicembre 2004 restano sospesi gli effetti degli aumenti delle addizionali e delle maggiorazioni di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a) eventualmente deliberati; gli effetti decorrono, in ogni caso, dal periodo d’imposta successivo alla predetta data”.

Dalla semplice lettura della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. V, e L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, emerge che gli incrementi dell’aliquota Irap previsti dalle Regioni per gli anni 2003 e 2004 sono sospesi – vale a dire, non sono applicabili – a meno che “non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”.

Gli effetti delle disposizioni incrementative dell’aliquota Irap dettate dalle L.R. Veneto n. 34 del 2002 e L.R. Veneto n. 38 del 2003 non sono fatti salvi dal disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, che recita: “Nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. b), nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di IRAP in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti in materia dalla normativa statale, l’applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni legislative e fino al periodo di imposta decorrente dal 1 gennaio 2010, sulla base di quanto stabilito dalle medesime disposizioni nonchè, relativamente ai profili non interessati dalle predette disposizioni, sulla base delle norme statali che disciplinano il tributo”. Tale ultima disposizione, infatti, concerne gli effetti di norme che siano state emanate dalle Regioni “in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti”, laddove le maggiorazioni dell’aliquota Irap di cui si discute sono state disposte dalla Regione Veneto in conformità ai poteri alla stessa attribuiti dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16. Questa conclusione emerge dalla stessa sospensione di dette maggiorazioni recata dalla L. n. 289 del 2002, art. 3 e ribadita dalla L. n. 350 del 2002, art. 2, comma 21, “essendo intuitivo che si può sospendere solo un potere effettivamente (ancora) esistente” (così Cass. 2012/5867, in motivazione; per tutte vedi Cass. n. 26263/14).

3.1. Con il terzo motivo – rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 2 e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – si deduce l’errore commesso dalla C.T.R. del Veneto nell’avere ritenuto inammissibile la domanda, proposta dall’Amministrazione in via subordinata nell’atto di appello, di applicare al caso di specie l’aliquota del 4,75% (invece di quella del 4,25%) già in vigore nell’anno 2002 per la Regione Veneto e del 4,40% per la Regione Toscana.

3.2. Il motivo, inammissibile con riferimento all’aliquota applicabile per la Regione Toscana, sulla quale si è formato il giudicato per difetto di impugnazione, per il resto è fondato e va accolto.

3.3. Secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R. aveva errato nel ritenere inammissibile ed infondata la domanda, perchè “ampliava indebitamente l’oggetto della pretesa tributaria”, mentre avrebbe dovuto, in applicazione del principio iura novit curia, accoglierla.

Ed, invero, va escluso che la domanda avanzata, in subordine, dall’Agenzia delle Entrate costituisse inammissibile ampliamento della pretesa tributaria, poichè era onere della Commissione, ferma restando l’identità del petitum e della causa petendi, l’esame della questione afferente la corretta aliquota cui commisurare l’imposta, che il giudice tributario doveva affrontare (così come giustamente ha affrontato) anche d’ufficio, a misura della individuazione della giusta imposizione dovuta per legge (cfr. Cass. sent. n.9076/2015).

Secondo la ricorrente, avendo la C.T.R. ritenuto che l’aliquota “regionale” non poteva essere quella massima del 5,25% perchè l’art. 3, comma 1, lett. a) della L. n. 289 del 2002 aveva sospeso a partire dal 2003 le leggi regionali di incremento delle aliquota, avrebbe anche dovuto considerare che quella stessa disposizione aveva previsto un limite alla presunta sospensione, nella misura in cui la legge regionale di incremento delle aliquote comportasse la conferma da parte della Regione delle aliquote vigenti nell’anno precedente; con conseguente salvezza dell’aliquota per l’anno 2002 del 4,75%.

La tesi, sostenuta nel mezzo di ricorso in esame, trova riscontro nell’ormai consolidato indirizzo maggioritario di questa Corte, secondo cui “il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 16, comma 3, dà facoltà alle Regioni di incrementare la relativa aliquota fino ad un massimo di un punto percentuale e deve essere interpretato coerentemente con l’intento del legislatore di perseguire obiettivi di autonomia e di decentramento fiscale delle Regioni medesime; che nella stessa ottica deve essere coerentemente interpretato anche il disposto della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a), che, nel sospendere l’efficacia degli aumenti dell’aliquota Irap deliberati dalla Regione successivamente al 29 settembre 2002, in ragione della mancanza di una legge quadro sul federalismo fiscale, ha inteso comunque limitare l’effetto sospensivo a quelle maggiorazioni che determinassero, o nella misura in cui determinassero, il superamento delle aliquote in vigore nel 2002, al fine di non pregiudicare del tutto l’obiettivo finale suindicato” (Sez. 5, Sentenza n. 19838 del 14/11/2012, vedi anche, ex multis, n.ri 21237/13, 17017/14, 13453, 13454 e 13455/2014, 26263/14, 3574/15, 18003/16).

L’effetto sospensivo deve, quindi, intendersi limitato a quelle maggiorazioni che determinavano il superamento dell’aliquota in vigore per l’anno 2002 e, in quanto tali, erano non confermative di tale aliquota, con riferimento alla percentuale effettivamente vigente nel 2002 (derivi essa da una previa determinazione regionale, adottata nell’esercizio del potere assegnato alle Regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, o, in difetto di determinazione regionale, direttamente dalla disposizione transitoria statale dettata nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45, comma 2).

Inoltre, come previsto dallo stesso L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. “a”, la sospensione fu disposta “in funzione dell’attuazione del titolo 5 della parte seconda della Costituzione e in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale”; in ragione, quindi, di una moratoria che, giustificata dalla mancanza di una legge quadro sul federalismo fiscale, non pregiudicasse però del tutto l’obiettivo finale dell’autonomia e del decentramento fiscale delle Regioni, obiettivo che sarebbe rimasto certamente ridimensionato dall’applicazione generale e indifferenziata – cioè comune ad ogni altro contribuente – dell’aliquota ordinaria anche a banche e società finanziarie, soggetti invece già destinatari per legge di possibili e specifici incrementi dell’aliquota ordinaria stessa, come determinato dalla disciplina statuale e deliberato, in senso maggiorativo, con altri atti normativi dalle Regioni (così in motivazione Cass. sent. n. 26263/2014).

Alla luce di tali principi, nel caso di specie appare applicabile l’aliquota del 4.75%.

4.1. Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato dell’Unicredit S.p.A. sulla nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la motivazione sull’eccezione, avanzata in primo grado e riproposta in appello, relativa alla carenza di motivazione della cartella impugnata, esso è inammissibile.

4.2. Ed invero, questa Corte ha chiarito come “la figura dell’assorbimento, che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, in senso proprio, quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, quando la decisione cd. assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande” (cfr., fra quelle recenti, Sez. 2, 9 ottobre 2012, n. 17219; sez. 5, 16 maggio 2012, n. 7663).

Nel caso di specie, la C.T.R. del Veneto non ha esaminato espressamente l’eccezione di carenza di motivazione della cartella di pagamento, ritenendola evidentemente assorbita dall’accoglimento dell’appello in ordine alla necessità di un vero e proprio avviso di accertamento ed all’illegittimità, sotto tale profilo, della cartella di pagamento emessa a seguito del procedimento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis.

“In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato, allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza, che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza” (Cass. sent. n. 22095/2017).

Non sussiste, quindi, l’omessa pronuncia del giudice di appello, poichè la decisione in ordine all’eccezione relativa al difetto di motivazione della cartella di pagamento era superflua, atteso l’accoglimento della domanda più ampia, relativa all’inadeguatezza del provvedimento emesso dall’Amministrazione (la cartella di pagamento) all’esito del procedimento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis.

In seguito all’accoglimento del primo motivo di ricorso, con cui questa Corte ha ritenuto che sia stato legittimo, da parte dell’Amministrazione, il ricorso al procedimento di accertamento automatizzato, l’eccezione (relativa alla carente motivazione della cartella di pagamento) assume attualità e rilevanza e potrà essere esaminata in sede di giudizio di rinvio.

4.3. In conclusione, quindi, il ricorso principale va accolto, nei limiti del primo e del terzo motivo; il ricorso incidentale condizionato va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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