Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.28408 del 07/11/2018

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In tema di distanze fra costruzioni, la facoltà del vicino prevenuto di arretrare fino alla distanza legale la propria costruzione illegittima, ovvero di avanzarla fino a quella del preveniente, si traduce sul piano processuale nel potere del giudice, ancorchè sollecitato dalla parte interessata, di disporre l’eliminazione della situazione illegittima, ordinando con la sentenza di condanna in via alternativa l’arretramento della costruzione illegittima ovvero l’avanzamento di essa secondo i principi dell’aderenza.

In tema di distanze fra costruzioni, nel caso in cui il proprietario preveniente realizzi la sua costruzione a distanza dal confine inferiore a quella prescritta dai regolamenti locali e lo strumento urbanistico consenta al confinante che costruisce per primo di spingere la propria costruzione sino al confine del fondo contiguo non edificato, la situazione di illegittimità può essere rimossa, in via alternativa, mediante arretramento della costruzione fino alla distanza regolamentare, ovvero mediante il suo avanzamento fino al confine.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22425-2014 proposto da:

F.R., S.A. e S.D., rappresentati e difesi dall’Avvocato MARCELLO SCURRIA ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Andrea Accardo in ROMA, VIA GIUNTO BAZZONI 3;

– ricorrenti –

contro

SP.RO.MA., rappresentata e difesa dall’Avvocato MARIA STELLA FAZIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giovanni Marcangeli in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 298/14 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/06/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

SP.RO.MA. conveniva innanzi al Tribunale di Patti F.R., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori S.A. e S.D.. Esponeva di essere proprietaria di un fabbricato sito in *****, che aveva di recente demolito e ricostruito in conformità alla concessione edilizia rilasciatale nel 1987. Lamentava che la F., proprietaria del fabbricato limitrofo, nel maggio 1988 aveva proposto denuncia di nuova opera per presunta violazione di distanze da parte dell’attrice, ottenendo dal Pretore un provvedimento di sospensione dei lavori. Deduceva di avere pieno diritto a proseguire nell’opera in forza di una convenzione, stipulata nel febbraio 1982 e registrata il 17.5.1988, tra essa istante e S.S., dante causa dei convenuti, con la quale – dopo aver dato atto che lo S., che stava procedendo a lavori di demolizione e ricostruzione del suo fabbricato, non avrebbe potuto realizzarlo in quanto si sarebbe dovuto distanziare almeno 10 metri dalle pareti finestrate del fabbricato Sp. -, era stato convenuto che la Sp. avrebbe consentito la costruzione e in cambio lo S. avrebbe trasferito la proprietà del muro in aderenza alla casa Sp. per tutta la sua lunghezza e gravato il suo terreno di servitù di vedute di qualsiasi tipo e di qualsiasi altezza che l’istante avrebbe potuto aprire anche in caso di demolizione e costruzione di altro fabbricato. Si prevedeva l’impegno per lo S. a nulla opporre per distanze o violazioni alle norme urbanistiche e a rimuovere qualunque ostacolo fosse insorto a proprie spese sì da consentire alla Sp. di costruire liberamente sul confine con le relative aperture. Chiedeva, pertanto, che fosse riconosciuta l’efficacia della scrittura privata e il proprio diritto a realizzare la costruzione con la condanna della convenuta, in proprio e nella qualità, a demolire quella parte del fabbricato eventualmente ostativa, ai fini delle distanze legali, alla realizzazione del proprio fabbricato e quelle parti poste non a distanza legale dal confine, oltre al risarcimento del danno.

Si costituiva F.R., in proprio e nella qualità, deducendo che la realizzazione del nuovo fabbricato da parte della Sp., limitatamente alla parte in cui fuoriusciva oltre il muro comune e cioè sul confine tra i due fondi, era illegittima perchè in contrasto con le norme di attuazione del P.P., che prevedevano una distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Rilevava altresì la nullità della scrittura privata perchè in contrasto con norme imperative. Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande dell’attrice e, in via riconvenzionale, la riduzione in pristino della parte di fabbricato in contrasto con l’art. 6 del Regolamento Edilizio del Comune di Sant’Agata Militello e, comunque, la declaratoria di nullità della suddetta scrittura.

Con ordinanza del 13.6.1989, il G.I. revocava l’ordine di sospensione dei lavori e disponeva la restituzione della cauzione. Disposta CTU e proseguito il giudizio con la costituzione di S.A. e S.D., nel frattempo divenuti maggiorenni, il GOA del Tribunale, con sentenza del 17.11.2006, dichiarava la nullità dell’accordo del febbraio 1982, stipulato tra la Sp. e lo S.; dichiarava l’esistenza del diritto di servitù di veduta relativo a due finestre meglio indicate nelle planimetrie redatte dal CTU e condannava i convenuti a regolarizzare la distanza del proprio immobile dalle finestre dell’immobile della Sp., arretrando la parete per la parte in cui era frontale alle finestre di m 10, compensando le spese tra le parti.

Avverso detta sentenza proponevano appello i convenuti, insistendo per il rigetto delle domande avanzate dall’attrice e l’accoglimento delle domande proposte in via riconvenzionale, con la condanna della Sp. alla demolizione della parte di fabbricato costruito a distanza non legale.

Si costituiva l’appellata, la quale invocava la conferma della sentenza impugnata, insistendo con l’appello incidentale per il riconoscimento dell’efficacia delle obbligazioni assunte con la scrittura privata e la condanna al risarcimento dei danni subiti.

Con sentenza n. 298/2014, depositata il 29.4.2014, la Corte d’Appello di Messina condannava Sp.Ro.Ma. ad arretrare la parete finestrata del proprio fabbricato fino a 5 metri dal confine con il fondo appartenente a F.R., S.A. e S.D., o, in alternativa, a renderla cieca, mantenendola sul confine; condannava F.R., S.A. e S.D. ad arretrare il proprio fabbricato fino a 5 metri dal confine con il fabbricato appartenente a Sp.Ro.Ma., confermando nel resto la sentenza impugnata; rigettava le domande riproposte dagli appellati con l’appello incidentale, compensando tra le parti le spese del giudizio.

Avverso della sentenza propongono ricorso per cassazione F.R., S.A. e S.D. sulla base di due motivi; resiste con controricorso Sp.Ro.Ma., che propone a sua volta appello incidentale sulla base di un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di tardività del ricorso per asserita violazione (ex art. 325 c.p.c.) del termine perentorio di sessanta giorni dalla notifica della sentenza per la proposizione del giudizio di Cassazione.

Non è contestato tra le parti che la sentenza impugnata è stata notificata a mani di F.R. e S.A. in data 20 maggio 2014; il termine per la proposizione del ricorso scadeva dunque il (sabato) 19 luglio 2014 e, dalla relata di notifica a mezzo del servizio postale, si evince che il ricorso per cassazione è stato spedito ai predetti, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., il successivo (lunedì) 21 luglio 2014 (primo giorno utile non festivo) come risulta dal timbro dell’ufficio postale. L’impugnazione si considera tempestiva quando l’atto con il quale va proposta è consegnato per la notifica entro il temine perentorio, non rilevando il tempo di effettiva ricezione dell’atto medesimo da parte del destinatario.

1.2. – Va ugualmente rigettata l’eccezione di “violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 con esplicito riferimento al restrittivo principio di autosufficienza”, in quanto i ricorrenti avrebbero disatteso il basilare principio che impone la esposizione ragionata e complessa delle critiche alla motivazione della sentenza impugnata con i corretti e specifici argomenti ad essa attinenti.

Anche a prescindere dalla confusione in ordine alla evocazione del solo art. 366 c.p.c., n. 6 con riferimento al principio di autosufficienza, il cui vulnus risulta piuttosto motivato con argomentazioni riferite anche al violazione del principio di specificità dei motivi ai sensi del precedente n. 4, va rilevato che (nella specie) la valutazione della sussistenza o meno dei requisiti di contenuto del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c. deve essere condotta, semmai, con riguardo ai singoli motivi di impugnazione.

2. Per pregiudizialità logico-giuridica, deve essere esaminato il motivo di ricorso incidentale proposto dalla controricorrente.

2.1. – Essa lamenta la contemporanea “violazione e/o falsa applicazione della normativa inerente le distanze legali dalla parete finestrata preesistente del fabbricato Sp.; (1a) insussistenza della violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al PRG del Comune di S. Agata Militello come prospettata dai ricorrenti; l’error in iudicando ed error in procedendo per gli omessi pronunciamenti di merito proposti dalla Sp. per i quali si chiede la cassazione della sentenza con rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 1”. La controricorrente ricostruisce la intera vicenda processuale, evidenziata nei singoli passaggi, condivisi e non, dolendosi del fatto che la Corte d’Appello sia giunta all’erronea e contraddittoria conclusione che il diritto alle vedute preesistenti del fabbricato Sp. sia venuto meno con la demolizione dello stesso. Il risultato raggiunto nella sentenza (chiusura delle due finestre Sp. o arretramento della parete) risulta abnorme consentendo ai ricorrenti di violare le distanze legali dal fabbricato preesistente Sp.; sicchè la controricorrente conclude, chiedendo che sia cassata la sentenza impugnata.

2.2. – Il motivo di ricorso incidentale è inammissibile.

2.3. – Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso (principale e/o incidentale) deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014; cfr. Cass. sez un. n. 17931 del 2013). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).

Pertanto, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni – senza nemmeno (come nella specie) l’indicazione delle norme asseritamente violate e dei parametri di cui all’art. 360 c.p.c. – sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016).

2.4. – Il motivo di ricorso, così come formulato, si connota viceversa per una confusa articolazione di una pluralità di censure eterogenee – riferite tutte congiuntamente ed indistintamente ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di non specificate norme di legge e di omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti – prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il preciso contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno. Esse, viceversa, appaiono contraddistinte dall’evidente scopo di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018). Il motivo è, quindi, integralmente costruito sulla sostanziale richiesta di una nuova ed autonoma valutazione delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito e quindi su una inammissibile nuova e diversa ricostruzione, da parte di questa Corte, dell’intero impianto decisorio del medesimo (Cass. n. 1916 del 2011; Cass. n. 10862 del 2018); spettando viceversa solo a questo di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. n.6064/2008; Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Con il primo motivo, i ricorrenti principali deducono la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare del combinato disposto dalle norme di attuazione del PRG del Comune di S. Agata Militello con l’art. 873 c.c.(art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello avrebbe errato nel qualificare illegittima la costruzione a causa della parete cieca, edificata dallo S. a m 4,20 dal confine e per una lunghezza di ml 2 circa, in quanto, come affermato dalla stessa Corte territoriale, nel momento successivo della demolizione del fabbricato Sp. non residuava alcun obbligo di rispetto della distanza dal confine per le pareti cieche. Per cui la Corte avrebbe dovuto tenere conto di quanto previsto dall’art. 873 c.c., disposizione rispettata dal fabbricato S. che, per la parte non finitima, è posto a metri 4,20 dal confine e, quindi, ben oltre i 3 metri previsti dal codice civile. Si evidenzia l’errore nell’applicazione della norma prevista dal Regolamento Edilizio del Comune di S. Agata Militello e, in particolare, l’erronea applicazione della disposizione che stabilisce la distanza di 5 metri dal confine tra fronti finestrate e metri zero in caso di testate cieche. Invero, nella sentenza impugnata, si dà atto che la parete frontistante l’edificio Sp., di proprietà dei ricorrenti, situata a metri 4,20, è comunque cieca.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – La Corte di merito (premessa la correttezza valutazione in termini di nuove costruzioni effettuata dal giudice di prime cure con riferimento agli intervanti edilizi posti in essere tanto dall’appellante quanto dagli appellati: Cass. n. 17176 del 2008), osserva conseguentemente, ed altrettanto correttamente, che tali interventi devono rispettare le distanze legali così come imposte dalla normativa urbanistica vigente al momento della ricostruzione, non operando più il criterio della prevenzione riferito alle costruzioni originarie. Ed afferma che “lo S., nel demolire e ricostruire tra il 1980 e il 1982 il suo immobile (che già fronteggiava una delle due vedute del fabbricato Sp. ad una distanza di metri 3,20) avrebbe dovuto arretrarsi a metri 10 da detta parete come imposto dall’art. 6 del Regolamento edilizio”; cosa non avvenuta per effetto della invalida convenzione inter partes, con la quale si era consentito allo S. di costruire, “alla distanza di metri 4,20 (dal confine), un corpo di fabbrica frontalmente alla veduta del fabbricato Sp.” (sentenza impugnata, pag. 8), in violazione del PRG del Comune di S. Agata, che prevede per le nuove costruzioni con pareti finestrate in zona B la distanza di metri 5 dal confine, da considerarsi integrative rispetto alla disciplina dettata dal codice civile (cfr. Cass. n. 17390 del 2004).

Non si ravvisa, pertanto, la dedotta violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto delle norme di attuazione al PRG del Comune di S. Agata di Militello e dell’art. 873 c.c.

3.3. – Va altresì, sotto diverso profilo, esclusa la lamentata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La denuncia di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non è riconducibile al modello introdotto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 29 aprile 2014. Prevede, infatti, il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Orbene è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

3.3.1. – Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Ma, della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia. Sicchè, alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale, riguardante la più angusta latitudine della nuova formulazione rispetto al previgente vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dalla ricorrente.

4. – Con il secondo motivo, i ricorrenti principali deducono nuovamente la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare del combinato disposto dalle norme di attuazione del PRG del Comune di S. Agata Militello con l’art. 873 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”. La Corte di merito avrebbe altresì errato nella parte della sentenza in cui ha previsto, per la Sp., la possibilità di arretrare la parete finestrata di 5 metri dal confine o, in alternativa, di mantenerla sul confine, ma rendendola cieca, condannando invece gli appellanti all’arretramento del proprio fabbricato fino a 5 metri dal confine. Nella specie, non risulta legittima la condanna degli appellanti poichè, qualora la Sp. dovesse optare per il mantenimento del fabbricato sul confine rendendo cieca la parete, il fabbricato F.- S. risulterebbe conforme sia al disposto di cui all’art. 873 c.c. (frontista con parete cieca), sia alle norme di PRG e del Regolamento di attuazione. La conseguenza è che, in tale caso, nessun obbligo di demolizione di 80 cm andava imposto agli odierni ricorrenti. In conclusione, consentendo solo alla resistente la misura alternativa alla demolizione, cioè di mantenere la costruzione sul confine (rendendola cieca) si è determinata un’illogica e contraddittoria motivazione circa la corretta applicazione delle disposizioni che si assumono violate.

4.1. -Il motivo non è fondato.

4.2. – Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di distanze fra costruzioni, la facoltà del vicino prevenuto di arretrare fino alla distanza legale la propria costruzione illegittima, ovvero di avanzarla fino a quella del preveniente, si traduce sul piano processuale nel potere del giudice, ancorchè sollecitato dalla parte interessata, di disporre l’eliminazione della situazione illegittima, ordinando con la sentenza di condanna in via alternativa l’arretramento della costruzione illegittima ovvero l’avanzamento di essa secondo i principi dell’aderenza (…). Per analoghe ragioni, deve ritenersi che, nel caso in cui il proprietario preveniente abbia realizzato la sua costruzione a distanza dal confine inferiore a quella prescritta dai regolamenti locali e lo strumento urbanistico consenta al confinante che costruisce per primo di spingere la propria costruzione sino al confine del fondo contiguo non edificato, la situazione di illegittimità possa essere rimossa, in via alternativa, mediante arretramento della costruzione fino alla distanza regolamentare, ovvero mediante il suo avanzamento fino al confine (Cass. n. 21455 del 2015).

Il motivo viene basato sul presupposto della asserita piena legittimità del fabbricato F.- S., in quanto conforme al disposto di cui all’art. 873 c.c. (frontista con parete cieca), ed alle norme di PRG e del Regolamento di attuazione. Ma, alla stregua delle considerazioni svolte (e sopra esaminate) in ordine al fatto che il fabbricato F.- S. non risulta conforme nè al disposto di cui all’art. 873 c.c. (frontista con parete cieca), nè alle norme di PRG e del Regolamento di attuazione, la Corte di merito ha correttamente ritenuto che la già disposta condanna degli appellanti (odierni ricorrenti) andasse “invece limitata al necessario arretramento di cm 80, così da costituire la distanza di cinque metri dal confine anche per questi ultimi”. Peraltro, se la Sp. dovesse scegliere di mantenere la sua costruzione sul confine, rendendola cieca, allora anche il fabbricato S. potrebbe avanzare sul confine senza pareti finestrate per evitare l’arretramento, in conformità al R.E. che consente di costruire pareti cieche sul confine (v. sentenza impugnata, pag. 11).

4.3. – Va altresì, sotto diverso profilo, esclusa la lamentata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (per gli stessi motivi già rilevati sub 3.31.

5. – Il ricorso in via principale deve essere dunque rigettato; quello incidentale va dichiarato inammissibile. Stante la reciproca soccombenza le spese vanno integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per ciascuna delle parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti e del controricorrente, ciascuno, dell’ulteriore importo titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018

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