LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7766-2017 proposto da:
F.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato OLIVIA MAMMARELLA TOSE’, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO PROIETTI giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
SIXTY ITALY RETAIL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 57, presso lo studio dell’avvocato LUIGI SPAZIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNA CAVACIUTI giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 191/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/01/2017 R.G.N. 3688/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato PROIETTI FABRIZIO per delega verbale Avvocato MAMMARELLA TOSE’ OLIVIA;
udito l’Avvocato LAMONICA FRANCESCO per delega verbale Avvocato SPAZIANI LUIGI.
FATTI DI CAUSA
1.La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, rigettando l’opposizione proposta da F.V., aveva accertato la legittimità del licenziamento comunicatole dalla Sixty Italy Retail s.r.l. in data 21 luglio 2015, adottato all’esito della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria.
2. La Corte territoriale ha premesso che la tesi originaria della ricorrente era volta a contestare la legittimità del licenziamento individuale sotto il profilo formale della omissione della procedura conciliativa L. n. 604 del 1966, ex art. 6e con riguardo alla mancanza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento e che solo in sede di opposizione era stata denunciata la simulazione del licenziamento collettivo. Ha poi evidenziato che tale deduzione era stata ritenuta infondata perchè non sorretta da sufficienti allegazioni e comunque contraddetta dall’ accertata genuinità del licenziamento collettivo e che in sede di reclamo, senza contestare gli argomenti utilizzati dal Tribunale, era stata mutata la causa petendi, prospettata la natura discriminatoria del recesso e riletta la fattispecie alla luce del diritto Europeo, e, mutando altresì il petitum, era stata chiesta la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 56 e della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 1 e ss.mm. in luogo della condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria (6-12 mesi di retribuzione) ed al risarcimento del danno (12 – 24 mensilità) ai sensi dell’art. 18, commi 5 e 6 dello Statuto nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre F.V. articolando tre motivi ai quali resiste con controricorso la Sixty Retail s.r.l.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 e ss in correlazione con l’art. 2696 c.c. del D.Lgs. n. 195 del 1991, art. 4, comma 5 e dell’art. 115 c.p.c..
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente omesso di considerare, ai fini della decisione, aill’esistenza di una domanda telematica di congedo parentale rilevante, in una lettura costituzionalmente orientata e conforme ai principi dell’ordinamento Europeo, per valutare la denunciata illegittimità del recesso anche in una prospettiva antidiscriminatoria. Sottolinea che nell’opposizione era stata allegata la strumentalità del recesso rispetto alla posizione della lavoratrice che pure si era dichiarata disponibile a riprendere l’attività anche in una sede più lontana da quella di originaria destinazione. La valorizzazione in sede di reclamo dei profili discriminatori del recesso si basava su allegazioni già presenti nel ricorso. Erroneamente, perciò, la Corte territoriale, nel verificare la legittimità del licenziamento, non avrebbe valorizzato il silenzio mantenuto dalla società con riguardo alla disponibilità della lavoratrice a prestare servizio anche in una sede diversa e lontana da quella di originaria destinazione. Tale circostanza, non contestata e perciò accertata, sarebbe stata del tutto trascurata dal giudice di appello che avrebbe del pari omesso di considerare che era risultata provata l’esistenza, all’esito della procedura di licenziamento collettivo, di altre posizioni lavorative presso le quali la lavoratrice avrebbe potuto essere ricollocata al momento del rientro dal congedo parentale. Sottolinea che, anche con riguardo al disposto dell’art. 3 Cost., non vi sarebbero ragioni per trattare in maniera diversa la lavoratrice in maternità e quella collocata in congedo parentale, fruibile fino all’ottavo anno di vita del bambino.
5. Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con riguardo alla rilevanza del congedo parentale fruito. La violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. La mancata considerazione della pregiudiziale di diritto dell’U.E. prospettate nel reclamo con riferimento alla trasposizione della direttiva 2010/18/UE e della Direttiva 96/34/CE con riguardo al D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115, art. 4 contenente correttivi al d.lgs. n. 151 del 2001, ed alla questione di legittimità costituzionale del citato D.Lgs. n. 115 del 2003, art. 4,comma 2 viziato da eccesso di delega rispetto alla L. n. 53 del 2000 per violazione degli artt. 3,37,38,76 Cost. e per violazione degli artt. 8, 24 della Carta Sociale Europea e degli artt. 21,23,30,33,47,51,52,53 e 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in contrasto con l’art. 10 Cost..
6. Con il terzo motivo di ricorso, infine, è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 e 437 c.p.c. e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 e ss. con riguardo all’ampiezza della revisione, alla sussistenza di un divieto di nova in sede di reclamo ed alla conseguente erroneità della declaratoria di inammissibilità dei profili di discriminatorietà del recesso già sollevati in fase di opposizione e reiterati nel reclamo.
7. Le censure, da trattare congiuntamente, sono destituite di fondamento per le ragioni che di seguito si espongono.
7.1. La Corte di appello ha verificato che la domanda di accertamento della illegittimità del recesso era stata fondata, nella fase sommaria, sul mancato rispetto della procedura conciliativa prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 5 come modificata dalla L. n. 92 del 2012 e comunque in relazione alla mancanza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ed al mancato rispetto dell’obbligo di repechage. A fronte della documentata esistenza di una procedura di licenziamento collettivo, poi, in sede di opposizione, erano state ribadite le già allegate ragioni di nullità deducendo l’esistenza di una simulazione. Solo con il reclamo la ricorrente aveva denunciato la nullità del recesso, ai sensi della L. n. 151 del 2001, art. 56 in relazione alla sua natura discriminatoria, per violazione del divieto di licenziamento della lavoratrice madre in congedo parentale. In relazione a tale diversa prospettazione della domanda la Corte ha poi accertato che, solo davanti a lei, era stato chiesto che l’avvenuta presentazione della domanda di congedo parentale prima del licenziamento fosse confermata anche mediante l’audizione dei rappresentanti sindacali.
7.2. Osserva al riguardo il Collegio che sebbene in virtù del principio iura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1 al giudice sia data la facoltà di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite ed all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame e ponendo a fondamento della sua decisione le norme disciplinatrici della fattispecie diverse da quelle erroneamente richiamate dalle parti (cfr. in tal senso Cass. n. 10009 del 2003; Cass. n. 7620 del 2006; Cass. n. 11470 del 2004), tuttavia l’esclusione dello ius novum nel giudizio di appello, e ciò vale anche per il reclamo avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale in giudizio regolato dalla L. n. 92 del 2012, comporta la preclusione del mutamento in secondo grado degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa, restando consentita solo una diversa qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio in relazione agli elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 22/08/2017 n.20241 e n. 25140 del 2010).
7.3. Va in proposito evidenziato che la domanda con la quale si intende denunciare il carattere discriminatorio del licenziamento e chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012 integra un ulteriore, e non già compreso, motivo di illegittimità del recesso, che presuppone l’accertamento di circostanze di fatto diverse che, pur allegate, non sono comprese nel tema di indagine proprio della domanda originariamente formulata poichè presuppongono la specifica allegazione, ed il conseguente accertamento, che il licenziamento è intervenuto nell’arco temporale di interdizione dal lavoro tutelato per legge e che è stato cagionato proprio dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore (con riguardo alla non rilevabilità d’ufficio dell’esistenza di un licenziamento per giusta causo o giustificato motivo in controversia avente ad oggetto la natura discriminatoria del recesso v. Cass. 22/06/2016 n. 12898 ed anche Cass. 03/07/2015 n. 13673).
8. In conclusione, per le ragioni esposte, va confermata la correttezza della pronuncia con riguardo all’accertata inammissibilità della domanda di nullità del licenziamento in relazione alla sua discriminatorietà e non rileva, perciò, nella controversia l’esame delle ulteriori questioni formulate.
9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis..
PQM
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della non ssussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2018
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