LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITI Stefano – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26560/2012 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro
ITW ITALY HOLDING SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Manzi, dall’avv. Emanuele Coglitore e dall’avv. Paolo Centore, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Manzi, in Roma, via Confalonieri n. 5.
– controricorrente, ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, sezione n. 12, n. 27/12/12, pronunciata il 12/01/2012, depositata il 4/05/2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.
RILEVATO
che:
1. ITW ITALY HOLDING SRL (in seguito, anche: “ITW”), nel 2007, venne sottoposta a verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza che, al termine dei controlli, contestò alla società, per gli anni dal 2002 al 2006, l’omessa fatturazione e l’omesso versamento di ritenute, a titolo d’imposta, da un lato, su royalties passive, dall’altro, su interessi passivi, corrisposti (royalties e interessi passivi) a società residenti all’estero;
il 24/11/2008 vennero, quindi, notificati alla società cinque avvisi di accertamento, per gli anni 2002-2006 (nella specie, si controverte degli anni d’imposta 2004-2005), per infedele presentazione della dichiarazione a causa dell’erronea determinazione delle ritenute sulle royalties corrisposte alla tedesca ITW DEUTSCHLAND GMBH e dell’omessa applicazione di ritenute su interessi passivi corrisposti alla lussemburghese CS FINANCE EUROPE SARL;
2. ITW impugnò gli avvisi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino che, con sentenza n. 77/09/10, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarò che fosse applicabile la misura del 5% per le ritenute sulle royalties, mentre respinse la domanda con riferimento alle ritenute sugli interessi passivi;
3. avverso tale pronuncia interposero appello sia la contribuente che l’Ufficio e la Commissione tributaria regionale del Piemonte (in seguito: “CTR”), con la sentenza in epigrafe, ha confermato la sentenza impugnata, con ciò quantificando nella misura del 5% la ritenuta sulle royalties dovute a favore di ITW DEUTSCHLAND GMBH e nella misura del 12,5% la ritenuta sugli interessi passivi corrisposti a CS FINANCE EUROPE SARL;
il giudice d’appello, innanzitutto, ha rilevato che la Convenzione Italia Germania contro le doppie imposizioni, definisce, agli artt. 10 e 11, i requisiti per essere qualificati “beneficiari effettivi” delle royalties; in base a tale prescrizione non è condivisibile l’asserto del giudice di primo grado, secondo cui ITW DEUTSCHLAND GMBH era una società conduit dell’americana ILLINOIS TOOL WORKS INC (ITW USA), anche in considerazione del fatto che l’Agenzia, con due circolari (circ. Agenzia entrate n. 22/E del 26/05/2011 e n. 32/E dell’8/07/2011), in tema di regime fiscale dei dividendi corrisposti da società italiane a società ed enti residenti nell’Unione europea, aveva chiarito che l’accertamento, da parte degli Uffici, della sussistenza dei requisiti per beneficiare delle ritenute ridotte doveva avvenire sulla base di idonee certificazioni prodotte dalla contribuente;
in altri termini, ai sensi di queste circolari: “il soggetto italiano può limitarsi ad assumere la certificazione fiscale rilasciata dal Paese estero quale valido elemento di prova della sussistenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiesti dalle medesime disposizioni commerciali per beneficiare di regimi fiscali di favore. Nel caso in esame la società contribuente ha esibito le certificazioni fiscali delle autorità tedesche che hanno indubbia valenza probatoria.” (cfr. pag. 6 della sentenza);
da questa premessa, la CTR desume l’infondatezza delle ragioni dell’accertamento fiscale e dell’appello dell’Agenzia;
per quanto riguarda le ritenute sugli interessi passivi, la decisione di primo grado, impugnata dalla contribuente con appello incidentale, è confermata in quanto ITW, al tempo delle dichiarazioni, non era in possesso della certificazione attestante la residenza fiscale in Lussemburgo e l’assenza di stabile organizzazione in Italia da parte di CS FINANCE EUROPE SARL; difatti, tale certificazione venne rilasciata dall’autorità del Granducato solo in data 2/03/2007, dopo la presentazione delle dichiarazioni “Mod. 770” per gli anni 2004 e 2005, da parte di ITW che, pertanto, non aveva dimostrato i fatti costitutivi dell’invocata agevolazione fiscale;
4. l’Agenzia ricorre per la cassazione, con due motivi; la società resiste con controricorso, nel quale svolge ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo del ricorso principale, rubricato: “1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 Convenzione Italia – Germania contro le doppie imposizioni, ratificata e resa esecutiva con L. n. 459 del 1992, art. 2697 c.c. e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25, comma 4 e art. 32, commi 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, Omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, anche come omesso esame di documenti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, l’Agenzia censura la CTR per avere indebitamente annullato il recupero fiscale controverso con una motivazione non congruente rispetto alla corretta interpretazione delle norme di riferimento;
la ricorrente rileva, innanzitutto, che ITW ITALY HOLDING SRL ha corrisposto a ITW DEUTSCHLAND GMBH delle royalties passive operando una ritenuta del 5%, in luogo di quella del 30% di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 4, in applicazione della detta Convenzione Italia – Germania, art. 12, per la quale i canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato, con la precisazione che, tuttavia, tali canoni possono essere tassati nello Stato contraente dal quale essi provengono secondo la legislazione di detto Stato, ma se la persona che percepisce i canoni ne è il “beneficiario effettivo”, l’imposta così applicata non può eccedere il 5% dell’ammontare lordo dei canoni;
assume che, durante la verifica fiscale, pur valutati, da parte dell’Organo di controllo, i documenti esibiti dalla contribuente (relazione dell’istituto di certificazione; dichiarazione dell’autorità fiscale tedesca), non erano emersi elementi sufficienti per affermare che ITW DEUTSCHLAND GMBH fosse il “beneficiario effettivo” delle royalties; anzi, da tale documentazione, si evinceva che, in Germania, rimaneva soggetta a tassazione un’esigua quota di royalties, pari alla differenza tra le royalties corrisposte da ITW ITALY HOLDING SRL a ITW DEUTSCHLAND GMBH e quelle che, a sua volta, la società tedesca corrispondeva alla “casa madre” statunitense (ILLINOIS TOOL WORKS INC), effettiva proprietaria dei marchi e dei brevetti, il cui sfruttamento (a partire dal 2001) era stato concesso alla società italiana, in virtù di un accordo denominato “License Agreement”, verso il corrispettivo delle menzionate royalties (passive), sicchè l’attività dell’ente tedesco (“società conduir) era configurabile come una mera intermediazione, nel cui ambito ciò che veniva sottoposto a tassazione in Germania non era altro che la provvigione spettante alla compagine con sede legale a Dinslaken;
conclude il proprio ragionamento evidenziando come la CTR, limitandosi ad asserire che le “certificazioni fiscali delle autorità tedesche” avevano un’indubbia valenza probatoria, avrebbe omesso di verificare se, nel caso concreto, la società tedesca fosse il “beneficiario effettivo”, in senso sostanziale, e non avrebbe considerato che la relazione della società di revisione Deloitte & Touche (prodotta dalla contribuente in allegato al ricorso introduttivo) – documento decisivo del giudizio – attestava che, in Germania, rimaneva tassata una parte minoritaria di dette royalties, il che dimostrava che ITW DEUTSCHLAND GMBH era una mera sub-licenziataria della “casa madre” dell’Illinois, preposta esclusivamente ad accentrare la titolarità del marchio per l’Europa e a sub-concederlo, a sua volta, alle varie controllate nazionali, ragione per cui, in qualità di “mero tramite”, essa tratteneva per sè appena il 20% delle royalties, trasferendo il resto alla società statunitense;
2. con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’Agenzia denuncia la motivazione incongrua e contraddittoria, su un punto decisivo della controversia, addebitabile alla sentenza d’appello che ha ritenuto che ITW DEUTSCHLAND GMBH fosse l’effettivo beneficiario delle royalties, argomentando esclusivamente sulla base dell’attestazione dell’autorità fiscale tedesca, per la quale detta società, negli anni 2002/2006, era fiscalmente residente in Germania – paese nel quale aveva presentato le proprie dichiarazioni dei redditi – ed aveva appostato in bilancio, come “ricavi”, le royalties ricevute da ITW, tralasciando, però, di soffermarsi sulla menzionata relazione di Deloitte & Touche;
da questo “documento decisivo”, a parere dell’Ufficio, era dato desumere che la compagine di Dinslaken è una tipica holding, i cui componenti positivi di reddito consistono in proventi finanziari (canoni o royalties), con un core business – rappresentato dalla concessione, alle consorelle europee, di licenze per lo sfruttamento di diritti immateriali (privative industriali) di proprietà della “casa madre” USA – che aveva generato un utile di Euro 4,4 milioni (assoggettato a tassazione in Germania), a fronte di Euro 76 milioni di royalties percepite (in dettaglio: negli anni 2002/2006, essa aveva introitato dalle controllate europee Euro 277,5 milioni di royalties, euro 228,3 milioni dei quali aveva quindi corrisposto all’americana ITW FINANCE UC, licenziataria esclusiva di ITW ILLINOIS TOOL WORK INC);
se la CTR avesse apprezzato questi elementi – secondo la prospettazione dell’Ufficio – ne avrebbe dovuto trarre la necessaria conclusione che ITW DEUTSCHLAND GMBH non era il “beneficiario effettivo” delle royalties e che tutta l’operazione poteva, al più, configurarsi come un’attività d’intermediazione;
2.1. il primo (complesso) motivo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati nei termini che seguono;
preliminarmente è da disattendere l’eccezione, sollevata dalla contribuente, d’inammissibilità del primo motivo di ricorso perchè in contrasto con il princìpio di autonomia dei singoli motivi, che vieta la proposizione, all’interno di un unico mezzo, della violazione di legge e del vizio della motivazione;
ed invero in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. sez. un. 6/05/2015, n. 9100);
nel caso in esame, diversamente da quanto sostiene ITW, le censure sviluppate nel ricorso sono chiaramente percepibili, nel senso che l’Ufficio fa valere, da un lato, la violazione delle norme di legge in tema di divieto di doppia imposizione, dall’altro, il vizio di motivazione della sentenza d’appello, secondo i diversi profili che sono stati appena enunciati; d’altra parte, l’articolazione delle difese esposte nel controricorso, con riguardo a ciascuna doglianza dell’Agenzia, ne costituisce una chiara dimostrazione;
ciò precisato, venendo a trattare separatamente dei diversi profili di doglianza (violazione di legge e vizio di motivazione), il primo di essi (violazione di legge) è infondato;
è opportuno comporre il quadro normativo di riferimento: ai sensi della Convenzione Italia – Germania, art. 12 (sotto la rubrica “Canoni”): “1. I canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato. 2. Tuttavia, tali canoni sono imponibili anche nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i canoni ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 5 per cento dell’ammontare lordo dei canoni. Le autorità competenti degli Stati contraenti regoleranno di comune accordo le modalità di applicazione di tale limitazione.”;
lo stesso art. (comma 4) stabilisce che: “il termine “canoni” designa i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l’uso o la concessione in uso di un diritto di autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, ivi comprese le pellicole cinematografiche e le pellicole o registrazioni per trasmissioni radiofoniche o televisive, di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti (…)”; nel caso in esame, giova ricordare che si controverte a proposito dell’imposizione fiscale delle royalties dovute quale contropartita del diritto allo sfruttamento di beni immateriali;
l’art. 9 del Protocollo, quale parte integrante della Convenzione, precisa che: “La persona che percepisce dividendi, interessi e canoni è considerata beneficiario effettivo ai sensi degli artt. 10 (dividendi), 11 (interessi) e 12 (canoni) se ad essa spetta il diritto al quale tali pagamenti si ricollegano e se i redditi che ne ritrae devono essere ad essa attribuiti in virtù della legislazione fiscale dei due Stati.”;
questa Corte ha già avuto modo di notare che la prassi internazional-tributaria ha elaborato il concetto di “beneficiario effettivo” al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale; in particolare, in ambito OCSE, il concetto di “beneficiario effettivo” è comparso per la prima volta nel modello di Convenzione del 1977, negli artt. 10 e 11 (rispettivamente dedicati al regime di tassazione di dividendi ed interessi); la prassi statale si è, quindi, conformata a tale orientamento, adottando la clausola del “beneficiario effettivo” (“beneficiai owner”) nei diversi trattati sottoscritti (Cass. 16/12/2015, n. 25281; in senso conforme: Cass. 28/12/2016, n. 27116);
tale clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale è volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole;
in virtù della clausola del “beneficiario effettivo” può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro Stato contraente, che abbia l’effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione;
così tratteggiato il quadro normativo, tornando al caso in esame, la CTR non ha commesso alcun errore di diritto; al contrario, in primo luogo, essa ha ben individuato le norme ed i princìpi che regolano la complessa materia; dopodichè, con un apprezzamento di fatto, censurabile esclusivamente sotto il (diverso) aspetto del vizio di motivazione (di cui si tratterà appresso), è pervenuta alla conclusione che alle royalties passive versate da ITW alla società tedesca dovesse essere applicata l’aliquota ridotta del 5%, in luogo della più gravosa aliquota del 10% (prevista dalla Convezione Italia – USA contro le doppie imposizioni), essendo ITW DEUTSCHLAND GMBH il (soggetto) “beneficiario effettivo” del canone;
2.2. il primo motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione, ed il secondo motivo (da esaminare congiuntamente) sono fondati;
costituisce ius receptum che: “In tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti).” (Cass. 21/04/2006, n. 9368);
nel caso in esame, la sentenza impugnata ha laconicamente affermato che la contribuente aveva esibito: “le certificazioni fiscali delle autorità tedesche che hanno indubbia valenza probatoria.” (cfr. pag. 6 della sentenza);
il percorso logico-giuridico sotteso alla decisione della lite fiscale è fragile e lacunoso perchè è stata trascurata l’attenta e scrupolosa disamina della tesi erariale, secondo cui l’attestazione della società di revisione Deloitte & Touche (prodotta da controparte) confermava, nitidamente, che ITW DEUTSCHLAND GMBH non era il “beneficiario effettivo” delle royalties, ma svolgeva il più marginale ruolo di “conduit company”, mera intermediaria della casa-madre statunitense, alla quale, infatti, trasferiva gran parte delle royalties ricevute dalle controllate europee, in tal modo assoggettando a tassazione, in Germania, (come certificato dall’autorità fiscale tedesca), il reddito costituito da un’esigua quota (pari al 20% circa) del percepito, che essa tratteneva – appunto – a titolo di provvigione per l’attività finanziaria svolta, consistente nella concessione di licenze all’intera platea delle società europee del gruppo ITW;
in conclusione, è chiaro che tale aspetto fattuale, se apprezzato e non pretermesso dalla Commissione piemontese, ne avrebbe probabilmente orientato il processo decisionale – rimasto oscuro e inespresso – lungo altre direttrici;
3. passando adesso all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo, rubricato: “1. Violazione o falsa applicazione della L. 14 agosto 1982 n. 747, art. 11 (ratifica ed esecuzione della Convenzione Italia-Lussemburgo contro le doppie imposizioni) e D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, art. 26, comma 5. Denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62,comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “, la contribuente premette che la CTR, aderendo in modo acritico agli argomenti contenuti nel processo verbale di constatazione e nei successivi atti impositivi, ha escluso che ITW potesse avvalersi dell’aliquota agevolata del 10%, anzichè di quella ordinaria del 12,5%, sugli interessi passivi corrisposti alla lussemburghese CS FINANCE EUROPE SARL, in quanto la certificazione, da parte della locale autorità fiscale, attestante la residenza fiscale nel Granducato della medesima società e l’assenza di (sue) stabili organizzazioni in Italia, è stata rilasciata solo in data 2/03/2007, ossia successivamente alla presentazione, da parte di ITW, della dichiarazione “Mod. 770”, relativa alle annualità verificate;
si duole, pertanto, della sentenza che avrebbe violato la disposizione della Convenzione Italia – Lussemburgo contro le doppie imposizioni che, ricalcando il (succitato) modello OCSE, come altre convenzioni bilaterali, prevede che gli interessi siano imponibili anche nello Stato contraente dal quale essi provengono (l’Italia) e conformemente alla legislazione di detto Stato, secondo un’aliquota non superiore al 10%, a condizione che la persona che percepisce gli interessi (la società lussemburghese), ne sia il “beneficiario effettivo”, senza porre altri requisiti nè richiedere che la prova della sussistenza delle dette condizioni normative sia fornita con modalità particolari ed entro termini precisi;
3.1. il motivo è infondato;
diversamente da quanto prospetta la ITW – che, preme notarlo, nel corrispondere gli interessi sui finanziamenti ricevuti dalla società estera, non aveva effettuato alcuna ritenuta -, la CTR non si è discostata dal tenore della clausola della Convenzione Italia – Lussemburgo ed ha, quindi, correttamente affermato che ITW, in qualità di sostituto d’imposta, dovesse applicare la “ritenuta interna” del 12,50%, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, poichè, all’atto della presentazione delle dichiarazioni (relative agli anni 2004, 2005), la società non disponeva della necessaria attestazione dell’autorità fiscale lussemburghese;
infatti, ammesso, per ipotesi, che ITW avesse applicato la ritenuta convenzionale (ridotta) del 10%, sulla scorta della mera “autodichiarazione” della sussistenza delle dette condizioni pattizie, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto, necessariamente, procedere, con accertamento automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, , alla liquidazione della differenza, in quanto neppure in base alla Convenzione Italia Lussemburgo (che, infatti, non la prevede) sarebbe stata sufficiente una simile autodichiarazione;
4. in conclusione: accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale, nei suindicati termini, rigettato il ricorso incidentale, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018