LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso n. 20865/2014 RG proposto da:
D.A., rappresentato e difeso, per procura speciale in margine al ricorso, dall’Avv. Riccardi Davide Lorenzo e dall’Avv. Stefano Fiorelli, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Tommaso D’Aquino n. 116;
– ricorrente –
contro
AGENZIA delle ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– Controricorrente –
e AGENZIA delle ENTRATE, Ufficio di *****, in persona del direttore pro tempore.
AGENTE della RISCOSSIONE di *****, ora Equitalia Nomos s.p.a., in persona del direttore pro tempore.
– Intimati –
Avverso la decisione n. 152/31/2014 della Commissione Tributaria regionale del Piemonte, depositata il 24/01/2004 e non notificata;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 marzo 2019 dal Consigliere D’Angiolella Rosita.
RITENUTO
Che:
D.A. aderiva alla sanatoria della L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 12, corrispondendo il 25% del residuo carico esattoriale dovuto, provvedendo al primo versamento nella misura dell’80%, in data 14 maggio 2003, ed al versamento del saldo, nella misura del restante 20%, in data 14 maggio 2004.
A seguito del diniego della definizione dei carichi di ruolo emesso dall’Agenzia delle Entrate di Alba per tardività di versamenti, D.A. proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo, la quale accoglieva il ricorso ritenendo che D. fosse incorso in errore scusabile. Contro tale decisione ricorreva l’Ufficio, sostenendo che la L. n. 289 del 2002, art. 12, in caso di ritardo nel pagamento delle rate, non prevede la possibilità di far salva la sanatoria e che il condono di cui all’art. 12, avendo natura clemenziale, e non premiale, non può essere equiparato ad altra sanatoria.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (di seguito, per brevità, CTR) accoglieva l’appello rifacendosi alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, poichè il condono previsto dalla L. n. 289 del 2002 costituisce una particolare forma di sanatoria di natura differente rispetto al condono premiale, non è prevista, a differenza delle altre ipotesi di sanatoria, la possibilità per il contribuente di rateizzare e per l’ufficio la possibilità di procedere alla riscossione coattiva delle rate, con conseguente legittimità del diniego dell’ufficio nella definizione dei carichi di ruolo ed irrilevanza dell’errore scusabile.
Contro tale sentenza il D. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi ad un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrante resiste con controricorso. L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di ***** e l’Agente della Riscossione di *****, ora Equitalia Nomos s.p.a., rimangono intimati.
CONSIDERATO
che:
D.A. denuncia l’erroneità della sentenza impugnata “per errores in iudicando”, per l’errore di valutazione circa la chiarezza normativa e per la sua errata applicazione e/o violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 12e norme/modifiche successive e sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., nn. 3-5"; l’errore in cui sarebbe incorsa la CTR, secondo l’assunto del ricorrente, sarebbe stato il non aver considerato la riapertura dei termini di versamento prevista dal D.L. 24 giugno 2003, n. 143 e dal D.M. 08 aprile 2004, art. 1, comma 2, lett. g).
In primo luogo, va rilevato che il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia Delle Entrate, Ufficio locale di *****, è ammissibile: poichè L’Agenzia delle Entrate è unica parte processuale, essendo le sedi locali assimilabili alla preposizione institoria, il ricorso può essere proposto sia nei confronti della sede centrale dell’Agenzia delle Entrate sia presso la sede del suo ufficio periferico, che va considerato come organo del primo, con pari capacità di stare in giudizio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11 (cfr. Cass. 14/01/2015 n. 441, Rv. 634432 – 01).
Quanto al ricorso proposto nei confronti dell’Agente di Riscossione di *****, anch’esso è ammissibile, posto che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (inaugurato con Cass. n. 16412 del 2007, Rv. 598269 – 01), in tema di disciplina della riscossione delle imposte mediante iscrizione nei ruoli sussiste la legittimazione passiva dell’Agente preposto alla riscossione, sebbene non sussista il litisconsorzio necessario tra l’Amministrazione Finanziaria ed il Concessionario alla riscossione, nè dal lato passivo, spettando la relativa legittimazione all’ente titolare del credito tributario con onere del concessionario, ove destinatario dell’impugnazione, di chiamare in giudizio il primo se non voglia rispondere delle conseguenze della lite, nè da quello attivo, dovendosi, peraltro, riconoscere ad entrambi il diritto all’impugnazione nei diversi gradi del processo tributario (Cass. 07/05/2014 n. 9762 (Rv. 630633 – 01).
Ciò posto, passando al merito del ricorso, esso è fondato.
Occorre premettere che il punto dirimente della questione all’esame non riguarda – come sostenuto dalle difese erariali – la natura clemenziale del condono dalla quale, poi, far scaturire – come ha fatto la sentenza che s’impugna – la legittimità del diniego alla definizione del carico dei ruolo, ma l’applicabilità al condono automatico, per il quale sono scaduti i termini previsti dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 12, per la presentazione delle dichiarazioni fiscali, delle leggi successive di proroga del termine di pagamento.
Ed infatti, che la sanatoria prevista dalla L. n. 289 del 2000, art. 12 (“definizione di carichi di ruoli pregressi”), abbia natura di condono clemenziale, è principio affermato da tempo da questa Corte (da Cass. 01/12/2010 n. 24316 richiamata dalla commissione piemontese e Cass. n. 20746 del 2010 Rv. 614458 01, alle più recenti Cass. 24/10/2016 n. 21416, Rv. 641578 -01, 07/06/2016 n. 11669, Rv. 640044-01, a Cass. 27424 del 29/09/2018, Rv. 651438-01) sul rilievo che essendo pienamente certo il “quantum” da versarsi per definire favorevolmente la lite fiscale, l’efficacia della sanatoria è condizionata al pagamento dell’intero importo dovuto, sicchè l’omesso versamento delle rate successive alla prima escludono il verificarsi della definizione della lite pendente, restando irrilevante l’eventuale buona fede del contribuente, che non è idonea ad impedire la decadenza. Nell’interpretazione giurisprudenziale, tale natura clemenziale si coglie col confronto con le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16, le quali, invece, attribuiscono al contribuente un diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario da effettuarsi con regole peculiari fino ad atteggiare come “premio” l’effetto del condono, diritto per niente contemplato dal condono clemenziale, ove la determinazione del quantum da pagare è esattamente indicato dalla legge cit., art. 12 (cfr. Cass. n. 11669 del 2016).
Tale assunto, tuttavia, non incide sulla diversa questione della definizione dei carichi rispetto al pagamento intervenuto medio tempore rispetto alla sequenza delle disposizioni normative succedutesi nel tempo.
Invero, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Cass. 14/07/2014 n. 16078) esprime l’orientamento attuale e condiviso di questa Corte, che facendosi carico di un’interpretazione costituzionalmente orientata, ha affermato che la disciplina di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 12, opera anche per coloro che hanno pagato la prima rata anteriormente delle riapertura dei termini di cui al D.L. n. 143 del 2003 e al D.M. 8 aprile 2004.
Per meglio comprendere i termini della vicenda occorre richiamare la normativa per la definizione dei carichi pendenti di ruolo pregressi succedutasi nel tempo.
– La L. n. 289 del 2002, art. 12, comma 2 – come sostituito dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 bis, introdotto dalla L. di conversione n. 27 del 2003 – fissava per il versamento della prima rata (non inferiore all’80% della somma prevista per la definizione) il termine del 16 aprile 2003 e per il versamento del residuo il termine del 16 aprile 2004.
– Il primo di tali termini fu differito, fermo restando il secondo, al 16 maggio 2003 con il D.L. n. 59 del 2003, art. 1, non convertito.
– Il successivo D.L. n. 143 del 2003, convertito con la L. n. 212 del 2003, ha poi differito il primo termine dal 16 aprile 2003 al 16 ottobre 2003 (data poi ulteriormente spostata con il D.L. n. 269 del 2003, convertito con la L. n. 326 del 2003, al 16 marzo 2004 e, ancora, con il D.L. n. 335 del 2003, convertito con la L. n. 47 del 2004, al 16 aprile 2004) e ha rimesso il Ministero dell’Economia e delle Finanze la rideterminazione del secondo termine.
– Con D.M. 8 aprile 2004, art. 1, comma 2, lett. g, il Ministero ha effettuato tale rideterminazione al 18 aprile 2005 per i soggetti chi alla data di entrata in vigore del D.L. n. 143 del 2003 non avevano effettuato versamenti utili.
– Va altresì considerato che la legge di conversione del D.L. n. 143 del 2003, comma 2, fece salvi gli effetti del già menzionato D.L. n. 59 del 2003, non convertito e, inoltre stabilì espressamente: “sono utili… i versamenti effettuati tra il 17 aprile 2003 ed il 25 giugno 2003 ai fini delle definizioni di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 11, comma 4, artt. 12,15,16 e art. 17, comma 1….”.
In relazione a tale successione di proroghe, si è dunque affermata un’interpretazione costituzionalmente orientata, secondo cui la disciplina della L. n. 289 del 2002, art. 12, opera anche nel caso in cui al prima rata sia stata pagata in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del D.L. n. 143 del 2003 in quanto il D.L. n. 143 cit., art. 1, comma 2 ed il D.M. 8 aprile 2004, art. 1, comma 2, lett. g), vanno interpretati nel senso che per versamenti “utili” devono intendersi quelli immediatamente estintivi di detti obblighi, ossia quelli effettuati “in unica soluzione” (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 5 -, 28/12/2017 n. 31073, Rv. 646574 – 01).
Lo snodo dell’evoluzione interpretativa di questa Corte, nasce dalla definizione di “versamenti utili per la definizione degli adempimenti e degli obblighi tributari” che, in base all’interpretazione costituzionalmente orientata, sono stati individuati in quei versamenti immediatamente estintivi di detti obblighi, ossia quelli effettuati in unica soluzione (da Cass. 13697/13; coni. Cass. 12090/12). L’orientamento espresso in tali termini, ha, quindi, consentito di ritenere suscettibile di applicazione non solo le disposizioni che hanno prorogato i termini dei versamenti per il condono anche in relazione alle disposizioni successive e (D.L. n. 143 del 2003, art. 1 e D.M. 8 aprile 2004, art. 1, comma 2, lett. “e”) rispetto alle quali questa Corte ha ritenuto operante la medesima ratio decidendi dei precedenti arresti, sul rilievo che un’ermeneusi normativa che escluda dalla riapertura dei termini di cui al D.L. n. 143 del 2003 e al D.M. 8 aprile 2004 a coloro che avevano effettuato taluni versamenti nel regime previgente a detta riapertura condurrebbe ad un approdo ermeneutico paradossale, tale da sollevare anche dubbi di legittimità costituzionale, con riferimento al parametro della ragionevolezza ex art. 3 Cost..
Significativa, all’uopo, è la considerazione fatta da Cass. 11/04/2014 n. 8615, Rv. 630117 – 01, secondo cui, se lo scopo della riapertura dei termini di versamento recata dal D.L. n. 143 del (e dai successivi D.L. n. 269 del 2003 e D.L. n. 355 del 2003) era quello di aumentare il gettito dei condoni di cui alla L. n. 289 del 2002 ampliando la platea dei contribuenti coinvolti, una interpretazione della legge che affermi l’applicabilità della sanzione fissata nella L. n. 289 cit., art. 9, comma 12, anche a quei contribuenti che abbiano versato le rate di cui al cit. comma 12 dopo i termini originari ma entro quelli prorogati, “disincentiverebbe i contribuente che non abbiano versato le rate entro i termini originari dal versarle entro quelli prorogati e, quindi, frusterebbe l’interesse del Fisco al celere incasso dei saldi ancora dovuti da tali contribuenti.”.
Deve quindi concludersi che nella specie, avendo il contribuente versato la prima delle due rate di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12, il 14.5.03, oltre il termine originario del 16.4.03 ma entro il termine prorogato del 16.4.04 dal D.L. n. 355 del 2003 non era incorso in alcun ritardo sanzionabile ai sensi del suddetto comma 12. Egualmente, per la seconda rata del 20% che risulta versata il 14 maggio 2004, e quindi entro il termine del 18 aprile 2005 fissato dal D.M. 8 aprile 2004.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la sentenza gravata va cassata ed il ricorso originario va accolto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 3.500,00.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2019