Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.11445 del 30/04/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28887/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Federal Mogul Sealing System LTD, già Payen International LTD, con sede in Gran Bretagna, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, dall’Avv. Enrico Marello e dall’Avv. Gianluca Zandano, giusta mandato in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Nicola Bultrini, in Roma Via Germanico n. 107;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1899/01/12 della Commissione Tributaria Centrale, depositata in data 26.10.2012 non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 marzo 2019 dal Consigliere Dott.ssa d’Angiolella Rosita.

RILEVATO

che:

La Payen International LTD, con sede in Gran Bretagna e domicilio italiano in Mondovì, presentava istanza di rimborso dell’ILOR versata per ritenute alla fonte su royalties percepite in Italia negli anni 1986-1987-1988-1989-1990, assumendo trattarsi di imposta non dovuta ai sensi del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. C).

La Commissione tributaria adita, cui la società ricorreva avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione, accoglieva, con cinque sentenze, i cinque ricorsi presentati dalla società. Tali decisioni, appellate dall’Ufficio, venivano riformate dalla Commissione tributaria di secondo grado che, riuniva i giudizi ed accoglieva l’appello. La Commissione Tributaria Centrale di Milano, adita dalla società, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso della società.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso la Federal Mogul Sealing System LTD, già Payen International LTD.

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. c), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 2, nonchè della convenzione Italo-Britannica firmata il 21 ottobre 1988 e ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, deducendo l’erroneità della decisione impugnata laddove ha statuito che ai fini della non imponibilità Ilor delle royalties percepite da società estere senza stabile organizzazione in Italia, occorre far riferimento non alla assoggettabilità in concreto dei redditi alla imposizione diretta ai fini Irpef e Irpeg, bensì ad una assoggettabilità astratta.

E’ pacifico che la controversia in esame riguarda la richiesta di rimborso delle somme versate ai fini Ilor negli anni dal 1986 al 1990, da società avente sede nel Regno Unito, non residente e priva di stabile organizzazione in Italia.

Tali peculiarità consentono innanzitutto di escludere la rilevanza, nel giudizio de quo, dei principi di diritto affermati da questa Corte a SS.UU. con la sentenza n. 17632 del 2003, richiamata dalla ricorrente a sostegno delle proprie ragioni in quanto tale pronuncia riguardava la diversa situazione di royalties percepite in Italia da una società con sede negli USA, nel vigore della disciplina transitoria di cui allo scambio di note intervenute tra i due Stati il 13 dicembre 1974 ed approvato con la L. 6 aprile 1977, n. 233 (cfr. Cass. n. 11622 del 05/06/2015 Rv. 635673-01).

Il caso all’esame, invece, è regolato dalla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore nel 1985 fra l’Italia e il Regno Unito Convenzione di Londra del 4/7/1960, ratificata con L. n. 1378 del 1962, parzialmente modificata con protocollo di Londra 28 aprile 1969, ratificato con L. n. 194 del 1973, nonchè nella normativa interna di cui al D.P.R. n. 599 del 1973, art. 1, comma 2, lett. c). Lo scopo di tale Convenzione è precipuamente quello di evitare, nella maggior misura possibile, una doppia imposizione, come risulta evidente dal preambolo – “Desiderando stipulare un Protocollo recante modifiche alla Convenzione tra le Parti Contraenti intesa ad evitare le doppie imposizioni e ad impedire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, firmata a Londra il 4 luglio 1960” – e come si evince dalla lettera dell’art. 1 che individua l’ambito di applicazione della convenzione non solo nei tributi espressamente indicati sub 1 a) (“1) l’imposta sul reddito dei terreni; (2)l’imposta sul reddito dei fabbricati; (3) l’imposta sui redditi di ricchezza mobile; (4) l’imposta sui redditi agrori; (5) l’imposta complementare progressiva sul reddito; (6) l’imposta sulle società’ per la parte applicata sul reddito e non sul capitale”), ma anche ad ogni altra imposta, avente carattere sostanzialmente simile (art. 1, n. 2).

In proposito questa Corte, con sequenza giurisprudenziale univoca (Cass. n. 11622 del 2015; n. 1122 del 2000; n. 9942 del 2000, seguita recentemente da numerose pronunce tra cui Cass. n. 15881 del 2018 e n. 3625 del 2019), cui questo Collegio da seguito, ha ritenuto l’applicabilità della Convenzione anche all’Ilor, e ciò in rispetto del principio di non discriminazione in materia fiscale, che deve essere applicato anche al trattamento di imposizione fiscale diretta dei redditi percepiti in uno stato membro da una società avente sede in un altro stato membro, essendo la regola generale di non discriminazione, prevista dall’art. 6 del Trattato testualmente riferita alle persone fisiche, considerata estensibile alle società.

Nelle citate sentenze è stato soggiunto che l’applicabilità del regime derivante dalle convenzioni all’Ilor, è principio di diritto unionale, al quale il diritto interno deve conformarsi, essendo obiettivo legittimo dell’Unione, riconosciuto dalla CGE, la necessità di preservare la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati membri, per il quale, in mancanza di disposizioni di unificazione o di armonizzazione adottate dall’Unione Europea, gli Stati membri rimangono competenti a definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri di ripartizione del loro potere impositivo, in particolare, alfine di eliminare le doppie imposizioni. Peraltro, il principio di non discriminazione, in una prospettiva sovranazionale, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla sede delle società, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato con conseguente obbligo del giudice di applicazione anche al trattamento d’imposizione fiscale diretta dei redditi percepiti in uno Stato membro da una società avente sede in un altro Stato membro.

In conclusione, si condividono e si fanno proprie le argomentazioni della giurisprudenza richiamata, secondo cui “l’obbligo del giudice nazionale ad una interpretazione del diritto interno conforme al diritto comunitario, nonchè alla disciplina convenzionale, porta quindi ad escludere che i soggetti residenti di uno Stato col quale vige un regime convenzionale contro la doppia imposizione, in aggiunta all’ordinaria imposizione fiscale diretta nel Paese d’origine, siano soggetti al pagamento dell’I.lo.r. nel Paese della fonte. In definitiva, sia l’interpretazione della clausola generale impiegata dalla norma della Convenzione, sia il meccanismo di diritto interno interpretato in modo conforme al diritto comunitario conducono ad un identico risultato, e cioè che, in caso di soggezione di un soggetto residente nel Regno Unito alla potestà impositiva dello Stato di residenza sulla percezione di royalties, tale percezione non può essere contemporaneamente soggetta ad I.lo.r. in Italia” (cfr. Cass. n. 11622 del 2015, pag. 7).

Il primo motivo di ricorso va, pertanto, rigettato.

2. Il secondo motivo, con il quale l’Agenzia denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, è infondato.

Richiamando la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione della sentenza di appello è legittima sempre che renda percepibili e comprensibili le ragioni della decisione, in relazione ai motivi di appello proposti, così da consentire – ai fini del giudizio di legittimità – un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento adottato (cfr., Cass. 18/04/2017 n. 9745; Cass. 26/06/2017 n. 15884; Cass. 21/09/2017, n. 22022; Cass., 25/10/2018, n. 27112; Cass., 05/10/2018 n. 24452; Cass., 07/04/2017 n. 9105, tutte che richiamano i parametri minimi di motivazione indicati da Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003 n. 196). Nella specie, seppur nella sinteticità della motivazione, risulta chiaro e corretto il ragionamento della CTR che ha accolto il ricorso della società affermando che “i compensi corrisposti a titolo di royalties a soggetti non residenti siano comunque redditi soggetti a ritenuta alla fonte pertanto compresi tra quelli esclusi dall’ILOR, D.P.R. n. 599 del 1973, ex art. 1.”.

3. Anche il terzo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5, è infondato; ed infatti, sulla base dei fatti non controversi in giudizio, la commissione ha ritenuto che la società non è stata assoggettata a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, in attuazione della Convenzione Italia-Regno Unito sicchè aveva adottato come quadro di riferimento, seppur implicitamente, proprio i patti della Convenzione di cui si è detto sopra.

4. I contrasti giurisprudenziali, esistenti al tempo della proposizione del ricorso, giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2019

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