LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. PERINU Renato – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso n. 663/2015 RG proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
M.T. e C.E., quali eredi di C.F., Ca.Ma.Lu. e C.A., a loro volta eredi di C.E., già parte processuale nei pregressi gradi di giudizio figlietta eredi di C.f., rappresentati difesi dall’Avv. Alessandro Mattaliano e dall’avvocato Alfredo Arcidiacono, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Collegno (TO), Corso Francia n. 186;
– controricorrenti –
Avverso la decisione n. 1275/02/2014 della Commissione Tributaria regionale del Piemonte, depositata il 06/11/2014 e notificata il 13/11/2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 marzo 2019 dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita.
RITENUTO
CHE:
C.F. (deceduto il *****), presentava istanza di rimborso alla Agenzia delle entrate, quale dirigente Enel in quiescenza, assumendo che era iscritto al fondo pensione già prima del 1993, che aveva ricevuto la liquidazione delle somme pensionistiche, che su tali somme era stata applicata la ritenuta Irpef dal Fondo pensione, come tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a), mentre, invece, le somme dovevano essere gravate da una ritenuta del 12,50 % sulla differenza tra il capitale corrisposto e l’importo dei premi riscossi e ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4).
L’Agenzia delle entrate denegava il rimborso, cosicchè gli eredi di C.F. proponevano ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino (di seguito, per brevità, CTP), che lo accoglieva.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (di seguito, per brevità, CTR) accoglieva in parte l’appello dell’Ufficio, dichiarando assoggettabile all’aliquota del 12,50% la sola rendita corrisposta, mandando all’Ufficio il ricalcolo dell’imposta ed il rimborso, per quanto spettante.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, che veniva parzialmente accolto con la sentenza n. 30352 del 2011 che disponeva la cassazione parziale della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito “perchè accerti, in coerente applicazione con il principio enunciato, il rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore”.
A seguito di riassunzione da parte degli eredi del contribuente, la CTR, quale giudice del rinvio, con la sentenza n. 1275 del 2014 del 06/11/2014, accoglieva l’appello ritenendo “dovuto il rimborso dell’Irpef trattenuta in eccesso in applicazione del principio enunciato dalla Suprema Corte con riferimento alle somme erogate quale sorte capitale e a quelle relative al rendimento del fondo” e, qualificando come eccezione i fatti argomentati dall’ufficio circa la reale natura delle modalità dell’impiego del capitale accantonato il conseguente rendimento, ne ha rilevato la tardività e, quindi, la sua improponibilità.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe affidandosi ad un unico motivo.
Gli eredi del contribuente hanno resistito con controricorso ed hanno presentato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la CTR osservato i limiti e l’oggetto del giudizio rinvio, travalicando i principi di diritto di cui alla decisione della Suprema Corte n. 12494 del 2013.
Con il secondo motivo di ricorso, censura la sentenza impugnata per falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto tardive e pertanto non proponibili le argomentazioni esposte dall’ufficio sulle modalità di impiego del capitale accantonato da parte del fondo P.I.A. e sulla non configurabilità del rendimento derivante da tale impiego.
Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendone l’illegittimità per omesso accertamento – che la CTR era tenuta a svolgere in ottemperanza al principio di diritto della sentenza di rinvio- se le somme erogate dal fondo di previdenza fossero costituite, oltre che da sorta capitale anche da una quota di rendimento netto derivante dalla gestione sulle pensioni.
Il primo ed il secondo motivo di gravame vengono esaminati congiuntamente in quanto riguardano questioni connesse logicamente e giuridicamente.
Emerge chiaramente dal tenore delle doglianze che ciò di cui l’Agenzia delle entrate si duole è il mancato accertamento da parte della CTR delle modalità d’impiego del capitale accantonato e del rendimento conseguito, ovvero del mancato accertamento del se le somme erogate fossero costituite oltre che da una sorte capitale anche da una quota di rendimento netto derivante dalla gestione del mercato finanziario del capitale accantonato da parte del fondo in quanto solo a quest’ultima quota sarebbe stata applicabile l’aliquota del 12,50%, e ciò nonostante tale accertamento costituisse presupposto del principio di diritto indicato dalla Cassazione.
La ricorrente ha ragione di dolersi.
Quanto ai limiti e all’oggetto del giudizio di rinvio, secondo l’orientamento costante di questa Corte, posto che tale giudizio si caratterizza in generale per essere un giudizio “aperto”, quanto all’attività del giudice di merito e “chiuso”, quanto all’attività delle parti, il giudice di rinvio incontra limiti diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi la controversia, ovvero per entrambe le ragioni, dovendo, nella prima ipotesi, il giudice di rinvio soltanto uniformarsi al principio di diritto enunciato della sentenza di cassazione senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione di fatti acquisiti al processo, mentre nella seconda, può valutare i fatti già accertati ed indagare su altri fatti, in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, nella terza ipotesi, il giudice può valutare ex novo i fatti già acquisiti e può valutare altri fatti la cui acquisizione sia consentita in base all’oggetto del giudizio di legittimità, fatte salve le preclusioni e decadenze già verificatesi.
Orbene, nel caso all’esame la CTR travalica del tutto i limiti ai quali era suo dovere uniformarsi ex art. 384 c.p.c., in quanto pur affermando che “nella sentenza di rinvio è chiaro che il limite del quale si può muovere è l’obbligo In capo al collegio di accertare, in coerenza con il principio enunciato, il rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore” ha, poi, disatteso tale principio non compiendo affatto tale accertamento ma anzi travalicandolo, nella convinzione, errata “che già in primo grado vi era la documentazione necessaria per poter valutare come effettivamente il C. abbia optato per la capitalizzazione delle somme dovute”.
La Commissione regionale si è limitata ad affermare che la documentazione agli atti provava che il C. avesse optato per la capitalizzazione delle somme, senza alcuna indicazione degli elementi di fatto esaminati e senza specificazione delle ragioni per cui vi sarebbe stata la prova che parte del capitale accantonato era stato investito nel “mercato di riferimento”.
Senza qui ripercorrere gli approdi della giurisprudenza di questa Corte, già esaustivamente riportati nella pronuncia di rinvio n. 12494 del 2013, la Commissione tributaria piemontese, non ha tenuto conto nella sua motivazione – che, dunque, si palesa insufficiente – della circostanza decisiva del se, pur essendo il contribuente già iscritto al fondo prima del 21 aprile del 1993 (circostanza in atti pacifica) e pur avendo ricevuto la liquidazione delle somme nell’anno 2000, prima del 1 gennaio 2001, le somme corrisposte provenissero o meno da un effettivo investimento “nel mercato di riferimento” da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.
La certificazione Enel, allegata nel giudizio di merito e riportata nel controricorso degli eredi del contribuente (v. pagina 6 e 7), non rappresenta un elemento probatorio idoneo a dimostrare che il capitale accantonato della contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito nel mercato di riferimento (immobiliare o finanziario), con l’assoggettabilità all’aliquota più favore del 12,50 %. Al contrario, con tale documento si certifica soltanto che il valore da liquidare è di Euro 209.347,70, che la dotazione iniziale al 1 gennaio 1986 era di Euro 87.783,00, che i contributi a carico del dirigente per il periodo 1-1-1986/28-2-1991 erano di Euro 4.801,65, che i contributi a carico dell’azienda, nello stesso periodo, erano di Euro 16.805,78, e che il rendimento conseguito nel periodo di riferimento era di Euro 171.600,86, ossia la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale, contributi del lavoratore e contributi del datore di lavoro. Tali risultanze riguardano, tuttavia, il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, quindi il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito e non invece il se, tale rendimento, per la posizione individuale della contribuente, deriva dall’investimento del capitale accantonato ad essa relativo, nel mercato di riferimento.
Grava, peraltro, evidenziare che grava sul contribuente che impugna un’istanza di rimborso l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio al conteggio proveniente dall’Enel che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass., 16116/2018).
La sentenza risulta errata anche per quanto denunciato con il secondo motivo di ricorso, ovvero per avere ritenuto tardive e non proponibili in sede di rinvio le argomentazioni esposte dall’ufficio sulle modalità di impiego del capitale accantonato da parte del fondo P.I.A. e sulla non configurabilità del rendimento derivante da tale impiego. E’ evidente che la questione, ampiamente dibattuta dalle parti nel corso dei vari giudizi, non costituisse eccezione nuova, come tale improponibile in sede di giudizio di rinvio, facendo parte delle argomentazioni giuridiche a sostegno della tesi, sempre propugnata dall’amministrazione finanziaria in tutti i gradi di giudizio, dell’inapplicabilità nella specie della tassazione prevista per i redditi di capitale.
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla CTR piemontese, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, alla CTR del Piemonte, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2019