Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11898 del 07/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6138-2016 R.G. proposto da:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del Responsabile del Contenzioso Esattoriale, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni Pierluigi da Palestrina 19, presso lo studio dell’avvocato Fabio Francesco Franco, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli 44, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Pace, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

Roma Capitale;

– intimata –

avverso la sentenza n. 17478/2015 del Tribunale di Roma, depositata il 01/09/2015;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’8 novembre 2018 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.

RITENUTO

G.M. proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso nove cartelle di pagamento emesse dall’agente di riscossione Equitalia Gerit s.p.a. (poi divenuto Equitalia Sud s.p.a.) per la riscossione di sanzioni amministrative comminate da Roma Capitale, dal Comune di Bologna e dalla Prefettura di Roma.

Il Giudice di Pace di Roma rigettava l’opposizione.

La G. appellava la decisione ed il Tribunale di Roma, in funzione di giudice d’appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva l’opposizione e annullava le cartelle esattoriali opposte, condannando l’agente di riscossione e gli enti impositori al pagamento, in solido fra loro, delle spese processuali dei due gradi di giudizio.

La sentenza è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte di Equitalia Sud s.p.a. La G. ha resistito con controricorso. Roma Capitale non ha svolto attività difensiva.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c., (come modificato dal comma 1, lett. e), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di nullità della procura alle liti in forza della quale è stato sottoscritto il ricorso.

Il mandato difensivo all’avv. Fabio Francesco Franco è stato conferito con procura speciale datata 12 ottobre 2015 (quindi in data anteriore alla stesura del ricorso, datato 26 febbraio 2016) da S.M., indicata quale “Direttore regionale Lazio – Responsabile contenzioso regionale”.

Nell’intestazione del ricorso si precisa che la S. è procuratrice speciale di Equitalia Sud s.p.a., giusta procura del 14 settembre 2015 in notaio D.L.M., rep. n. ***** e racc. n. *****. Tale procura speciale, tuttavia, non risulta prodotta.

In tema di rappresentanza processuale, questa Corte ha ripetutamente affermato il principio per cui la persona fisica che riveste la qualità di organo della persona giuridica non ha l’onere di dimostrare tale veste, spettando invece alla parte che ne contesta la sussistenza l’onere di formulare tempestiva eccezione e fornire la relativa prova negativa. Questo principio si applica anche al caso in cui la persona giuridica si sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, se tale potestà deriva dall’atto costitutivo o dallo statuto (Sez. 1, Sentenza n. 19162 del 13/09/2007, Rv. 599009).

Caso diverso, tuttavia, è quello in cui il soggetto conferente il mandato alle liti assume di avere il potere di rappresentare la società non in ragione di una previsione statutaria – verificabile mediante la consultazione del registro delle imprese – bensì in forza di un’apposita delega conferitagli dal legale rappresentante. In particolare, qualora i poteri rappresentativi del soggetto che si costituisce nel giudizio di cassazione siano stati conferiti con procura notarile, questa deve essere depositata con il ricorso (o il controricorso), sicchè, qualora non sia rinvenibile nel fascicolo, all’impossibilità del controllo, da parte del giudice di legittimità, della legittimazione del delegante a una valida rappresentazione processuale e sostanziale della persona giuridica consegue l’inammissibilità del ricorso (Sez. L, Sentenza n. 3643 del 13/04/1999 – Rv. 525298).

Non basta neppure che colui che si qualifica come legale rappresentante in forza di una procura notarile ne indichi gli estremi, in quanto, se l’atto non è stato prodotto, resta ferma l’impossibilità di verificare il potere rappresentativo del soggetto (Sez. L, Sentenza n. 23786 del 21/10/2013, Rv. 628512 – 01).

II ricorso è dunque inammissibile per difetto di prova in ordine alla sussistenza del potere rappresentativo della società ricorrente in capo alla persona fisica conferente il mandato alle liti.

Ad ogni modo, il ricorso sarebbe risultato comune inammissibile, per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6). Con l’unico motivo si deduce la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, e dell’art. 140 c.p.c..

La questione di cui si controverte è se, anche alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 258 del 22 novembre 2012, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, le cartelle di pagamento dovessero essere notificate nelle forme previste dall’art. 137 c.p.c. ss., ovvero in quella di cui all’art. 140 c.p.c.; ossia se fosse dovuto o meno l’invio della raccomandata con avviso di ricevimento che dava notizia dell’avvenuto deposito presso la casa comunale del plico in assenza del destinatario.

Fra le parti si controverte, dunque, se la G. fosse in stato di irreperibilità “assoluta” o “relativa”.

Tanto premesso, deve rilevarsi che la società ricorrente ha omesso di specificare e documentare il contenuto delle retate di notificazione delle cartelle di pagamento opposte, dalle quali si sarebbe potuto rilevare se le stesse erano state notificate a persona di residenza domicilio o dimora sconosciuti, ovvero se gli atti non erano stati consegnati per temporanea irreperibilità del destinatario o per incapacità o rifiuto delle persone con lui conviventi di riceversi l’atto. Tale omissione impedisce a questa Corte di verificare quale dei procedimenti notificatori fosse quello effettivamente dovuto nel caso di specie, sicchè – al di là del difetto di prova circa la capacità rappresentativa della persona fisica che ha conferito il mandato ad litem – il ricorso è carente del requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lei proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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