Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11924 del 07/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10857-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

COPROGET SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5700/15/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 04/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI VITTORIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 2874/16, sez. 20, respingeva il ricorso proposto dalla Coproget srl avverso l’avviso d’accertamento ***** per ires, iva e irap 2004.

Avverso detta decisione la società contribuente proponeva appello innanzi alla CTR Lazio che, con sentenza n. 5700/15/2017, accoglieva l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.

La contribuente non ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Agenzia deduce con il primo motivo di ricorso l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio risultanti dall’avviso di accertamento di cui viene riportato il testo.

Con il secondo motivo deduce il vizio di omessa motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, in particolare riguardo alla piccola entità degli importi fatturati pagati in contanti ed al fatto che sarebbe usuale che una ditta con un volume di affari di almeno 151 mila Euro non disponesse di un conto corrente.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi e gli stessi si rivelano fondati.

Va in primo luogo rammentato il principio in svariate occasioni affermato da questa Corte secondo cui nell’accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (cfr. Cass. n. 1535 del 2008, Cass. n. 9108 del 2012; 25775 e n. 25778 del 2014).

In presenza di tale prova presuntiva è a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate”, ma quest’ultima prova “non potrà consistere… nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. 15228 del 2001, Cass. 12802 del 2011).

Alla luce della predetta giurisprudenza si osserva che L’Amministrazione finanziaria ha documentato con il primo motivo di ricorso, riportando il testo dell’avviso di accertamento, di avere fornito una serie di elementi presuntivi rilevanti che non sono stati oggetto di completo esame da parte del giudice di seconde cure.

In particolare l’Amministrazione aveva dedotto: a) che i lavori effettuati dalla F. dal 2004 al 2010 ammontavano ad 828,280,00 Euro; b) che non risultava alcuna fattura emessa a carico della ditta F. ma solo qualche acquisto a titolo di consumatore finale; c) che non risultava alcuna contabilizzazione da parte della Coproget di note di credito a fronte di una transazione intervenuta tra le parti relativa ad una decurtazione di 100 mila Euro e a fronte di un credito residuo di 170 mila Euro; d) che le firme sulle quietanze delle somme ricevute in contanti differiscono da quelle sui contratti; e) che il F. ed il suo nucleo familiare non appaiono disporre di un patrimonio (un unico immobile ereditato dalla moglie del F. in provincia di Benevento)e di un livello di vita corrispondente agli elevati introiti che avrebbero percepito.

Tali elementi sono stati di fatto esaminati dalla Commissione regionale laddove ha rilevato che l’avviso di accertamento fa riferimento al solo anno 2004 con ciò implicitamente rilevando che andavano esclusi tutti quegli elementi che si riferivano agli anni 2005-2010 ancorchè contenuti nel citato avviso di accertamento (emesso nel 2012). Ha, quindi, preso in considerazione gli elementi riguardanti il citato anno 2004 e precisamente: mancanza di un conto corrente del F.; mancanza di beni strumentali necessari per lo svolgimento dell’attività; mancanza di presentazioni di dichiarazioni fiscali; mancanza di scritture contabili obbligatorie; limitata capacità d’impresa tale da non giustificare operazioni commerciali di elevati volumi d’affari; mancanza di personale.

A fronte di siffatti elementi la sentenza ha riscontrato che l’attività della ditta contribuente aveva ad oggetto piccoli lavori in economia, quali posa in opera di controsoffitti e pareti in cartongesso, opere di muratura etc., compatibili con l’attività dichiarata e con le capacità dell’impresa come risultava documentato dal modesto importo delle fatture che si attestavano tra i cinquemila ed i diciannovemila Euro circa.

Ha quindi rilevato che per i predetti lavori era idonea la strumentazione a disposizione della ditta, come la stessa era stata individuata dai militari operanti, tenuto anche conto del fatto che ulteriori attrezzature venivano fornite dalla Coproget.

Ha infine ritenuto che il fatto che il F. venisse pagato in contanti era compatibile con la modesta entità degli importi e col fatto che non avesse un conto corrente bancario.

La motivazione dianzi riportata appare avere tenuto conto degli elementi rilevanti in giudizio, incluse le censure dell’Amministrazione e non sussiste, pertanto, alcuna omessa valutazione di fatti decisivi nè una omessa valutazione.

Il ricorso va, in conclusione, respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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