Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.11954 del 07/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27355/2016 R.G. proposto da:

SOFIM GEFINA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e P.M., personalmente, rappresentate e difese dall’Avv. Paolo Pozzetti, con domicilio eletto in Roma, via Eleonora Duse n. 35, presso lo studio dell’Avv. Stefano Pantalani;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI BRESCIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Magda Poli e dall’Avv. Francesco Storace, con domicilio eletto in Roma, via Crescenzio n. 20, presso l’ultimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 730 depositata il 15 luglio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi;

letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Troncone Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 861 del 2015, decidendo sull’opposizione proposta da SOFIM – GEFINA s.p.a. e da P.M. avverso ordinanza-ingiunzione emessa dalla Provincia di Brescia a carico degli opponenti per la sanzione di Euro 100.000,00 per violazione della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4 per avere acquistato dalla società BASCO s.r.l. (dandolo in locazione alla Morenica Holidays) un autobus, targato *****), soggetto a vincolo di inalienabilità e destinazione d’uso perchè acquistato usufruendo di contributo pubblico, rigettava l’opposizione;

– sul gravame interposto dalla SOFIM – GEFINA e dalla PEDRINI, la Corte di appello di Brescia, nella resistenza dell’Amministrazione appellata, respingeva l’impugnazione osservando che – sebbene l’autobus fosse stato acquistato dalla società BASCO s.r.l. con un finanziamento pubblico (in quanto destinato al servizio pubblico di linea) – ai sensi del combinato disposto della L.R. Lombardia n. 24 del 2006, art. 23, comma 8 e della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4 veniva punito chiunque si rendesse colpevole della violazione di un vincolo di inalienabilità e destinazione d’uso apposto su dei mezzi acquistati con finanziamenti pubblici e destinati al trasposto di linea, emergendo peraltro il vincolo di natura reale dalla trascrizione dello stesso sul libretto di circolazione, con conseguente conoscibilità da parte dell’acquirente;

– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Brescia ricorrono la SOFIM – GEFINA e la P. sulla base di quattro motivi;

– la Provincia di Brescia resiste con controricorso;

– in prossimità dell’adunanza camerale, il sostituto procuratore generale, Dott. Troncone Fulvio, ha richiamato le conclusioni scritte depositate in relazione a ricorso affine trattato nella medesima udienza (R.G. n. 27352/2016).

Atteso che:

– con il primo motivo, il quale denuncia la violazione e la falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4, e della L.R. Lombardia n. 24 del 2006, art. 23, comma 8, i ricorrenti lamentano che non si sia considerato che l’acquisto dell’autobus in questione da parte della Sofim-Gefina s.p.a. era avvenuto senza alcun finanziamento o contributo pubblico, per cui doveva ritenersi illegittimo il vincolo di inalienabilità annotato sulla carta di circolazione del mezzo.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale viene dedotta la violazione e/o la erronea applicazione del disposto della L.R. Lombardia n. 24 del 2006, art. 23, comma 8, in relazione all’art. 42 Cost., comma 2, e violazione della Legge Costituzionale n. 1 del 1948, art. 1 critica l’interpretazione della disposizione citata nel senso indicato dai giudici di merito, giacchè ad avviso dei ricorrenti – essa farebbe venire meno la tutela della proprietà privata, prevista e garantita da fonte di rango primario.

I due motivi di ricorso, vertendo sulla medesima circostanza, anche se prospettata sotto diversi profili, meritano un esame congiunto. Essi sono infondati.

Le doglianze sono incentrate sul rilievo per cui il vincolo apposto sull’autobus riguarderebbe eminentemente il fruitore del contributo pubblico all’acquisto e non già il bene in sè considerato, con la conseguenza che giammai potrebbero essere sanzionati coloro che abbiano acquistato il bene successivamente, senza fruire di alcun contributo pubblico. La tesi di parte ricorrente si basa su una asserita lettura costituzionalmente orientata del complessivo ordito normativo, secondo cui la costruzione del vincolo come reale e non personale si tramuterebbe in una lesione del diritto di proprietà garantito dall’art. 42 Cost.

Premesso che nella specie è pacifico che gli autobus in questione siano stati originariamente acquistati dalla Morenica Holidays s.r.l. (concessionaria del servizio di trasporto) con finanziamento pubblico – modalità di acquisto che ha comportato il sorgere del vincolo di inalienabilità (annotato sul foglio di circolazione), in violazione del quale i mezzi sono stati poi alienati alla Garattini Group s.r.l. e quindi alla Sofim Gefina s.p.a., infine alla S.V.I. s.r.l. – prima di delineare il quadro normativo di riferimento, ai fini della corretta soluzione della controversia, è opportuna una breve considerazione circa la natura e la struttura dei vincoli in esame.

Come osservato da recente dottrina, con l’espressione “vincoli al trasferimento”, si intende comprendere complessivamente tutte le ipotesi nelle quali, in forza della legge o in virtù dell’autonomia privata, si determinano limiti alla circolazione giuridica dei beni, sia (come più spesso avviene) in funzione della natura e della destinazione del bene oggetto di disposizione, sia (più di rado) nella prospettiva della qualità e della posizione soggettiva degli autori dell’atto dispositivo rispetto al bene oggetto di disposizione. Sono ormai molti e variegati gli interventi legislativi di conformazione dello statuto dei beni con la imposizione di altrettanti vincoli alla utilizzazione degli stessi (cc.dd. vincoli legali). Tali vincoli, talvolta, sono compenetrati in un più generale regime giuridico di beni privati di interesse pubblico; talaltra, si limitano a tutelare interessi individuali che l’ordinamento intende valorizzare per sopperire a debolezze sociali o per indirizzare uno sviluppo economico.

Lo statuto del bene è conformato dall’ordinamento in guisa da restringere variamente il potere di disposizione del proprietario e degli altri titolari di situazioni giuridiche sul bene, con la conseguenza che il vincolo inerisce al bene (alla sua natura o destinazione) in ragione degli interessi che oggettivamente è in grado di soddisfare (vincoli oggettivi). L’ordinamento interviene attraverso una varietà di limitazioni all’utilizzazione del bene, che incidono talvolta sul godimento (utilizzazione diretta), talaltra sulla disponibilità (utilizzazione indiretta, in quanto fa conseguire il valore di scambio del bene), atteggiandosi, volta a volta, quali divieti di alienazioni, prelazioni, opzioni, ecc., della proprietà o di altri diritti reali; senza dire che, molto spesso, la limitazione del godimento si traduce in una limitazione della commerciabilità del bene, non potendosene disporre in una guisa che comprometta la utilizzazione legalmente determinata. In sostanza è lo statuto del bene a influenzare le modalità e i limiti di trasferimento dello stesso. In ragione della varietà delle funzioni assolte dai singoli vincoli anche le tecniche di tutela non sono omogenee, sicchè riesce impossibile la ricostruzione di un unitario regime giuridico dei vincoli legali. E’ invece possibile, volta a volta, in assenza di una compiuta disciplina, derivare dalla natura dell’interesse attuato dall’ordinamento il regime del vincolo e dunque il modello di incidenza dello stesso sull’atto e sulla circolazione giuridica dei diritti.

Passando all’esame del complessivo ordito normativo di interesse nella specie, rileva il Collegio che la L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4, e la L.R. Lombardia n. 24 del 2006, art. 23, comma 8, prevedono la promozione da parte della Regione Lombardia del miglioramento e della riqualificazione del trasporto pubblico regionale e locale, anche mediante il ricorso ad apposite forme integrative di finanziamento.

“All’uopo la Regione definisce i vincoli temporali di destinazione e di inalienabilità, nonchè le modalità di rilascio da parte della competente Agenzia, previo parere della direzione regionale competente, dell’autorizzazione all’alienazione anticipata dei mezzi acquistati con la compartecipazione di risorse pubbliche e, con particolare riguardo al materiale rotabile su gomma, i criteri di assegnazione” (L.R. lombarda n. 6 del 2012, art. 19 comma 3). Alla L.R. n. 24 del 2006, art. 23, comma 8 è, inoltre, previsto a carico dei beneficiari di contributi pubblici per siffatti acquisti l’obbligo di trascrivere presso il PRA e presso i Registri di Immatricolazione una formale annotazione contenente il vincolo di inalienabilità dei mezzi di trasporto oggetto della contribuzione pubblica; al successivo comma 9, in caso di anticipata alienazione di siffatti beni, è disciplinata la restituzione proporzionale da parte dei beneficiari dei contributi pubblici fruiti, oltre ad essere contemplata – per tale ipotesi – dalla L.R. n. 6 del 2012, art. 19, comma 4 la contestazione e applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria per l’inosservanza del vincolo, senza ulteriori precisazioni.

Dall’interpretazione dell’intero quadro normativo di riferimento si evince, alla luce dei principi generali sopra illustrati, che la legge regionale sembra apporre un generale vincolo di inalienabilità, senza distinguere fra la posizione del venditore – fruitore del contributo pubblico e l’acquirente del bene, ai fini della contestazione della sanzione amministrativa, in quanto viene sanzionata “l’inosservanze dei vincoli temporali di destinazione e di inalienabilità”. In altri termini, ciò che rileva è il mero trasferimento di proprietà in spregio al disposto vincolo di inalienabilità, la cui conoscibilità è garantita dall’annotazione dello stesso sulla carta di circolazione.

Del resto la ratio del divieto risiede nell’esigenza di evitare un’iniusta locupletatio ad opera di chi, percepito il finanziamento pubblico, strumentale a rendere efficiente il trasposto di persone, operi un sostanziale sviamento della contribuzione, traducendola in un ingiustificato profitto privato. Altrettanto pertinente appare la previsione di disincentivare ogni tipo di abuso responsabilizzando anche chi, come il subacquirente, abbia concorso alla inosservanza del vincolo di inalienabilità consapevolmente, trattandosi di vincolo comunque reso pubblico con l’annotazione al PRA.

Nè l’orientamento dell’angolo visuale della disciplina della proprietà verso il bene giuridico cui è riferito il potere di disposizione è in contrasto con il diritto di proprietà nella sua accezione di funzione sociale.

Per completezza argomentativa si rileva che peraltro il vincolo di inalienabilità in questione non è assoluto e permanente, bensì temporaneo e assoggettato ad un provvedimento autorizzatorio, nella specie pacificamente non attivato;

– con il terzo motivo di ricorso viene denunciata la violazione e/o la erronea applicazione del disposto della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4, in relazione all’art. 53 Cost., comma 2, e violazione della Legge Costituzionale n. 1 del 1948, art. 1. A detta dei ricorrenti ove interpretata la disposizione nel senso indicato dai giudici di merito, ossia della applicabilità al caso di specie della sanzione amministrativa da Euro 100.000,00 ad Euro 400.000,00, verrebbe meno il principio della progressività della contribuzione, in quanto a fronte del contributo pubblico di Euro 46.000,00 la ricorrente verrebbe a corrispondere la somma di Euro 100.000,00 per un autobus di valore di mercato di Euro 25.000,00. In altri termini, la natura e l’entità della sanzione verrebbero a comprimere la proprietà privata a garanzia di pagamenti in favore di enti pubblici.

Anche tale motivo è infondato.

Il trattamento sanzionatorio previsto dalla normativa regionale rientra nella facoltà del legislatore locale ai sensi dell’art. 117 Cost., con il solo limite della non manifesta irragionevolezza, in quanto volto a garantire (Corte Cost. n. 144 del 2005in parte motiva), l’effettività della sanzione (amministrativa o penale). Nè è pertinente il richiamo alla capacità contributiva del soggetto intimato, principio che riguarda soltanto le violazioni tributarie (cfr Cass. n. 26874 del 2009);

– con il quarto motivo di ricorso, con il quale viene lamentata la violazione e/o la erronea applicazione del disposto della L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 19, comma 4, per essere stata valutata legittima l’ordinanza ingiunzione anche nei confronti di P.M. che pure aveva agito in rappresentanza della SOFIM – GEFINA s.p.a.

Anche quest’ultimo motivo è infondato.

Questa Corte ha avuto modo di precisare che “nel sistema introdotto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, fondato sulla natura personale della responsabilità, autore dell’illecito amministrativo può essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto, e non anche un’entità astratta, come società o enti in genere, la cui responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai loro legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d’imputazione di tale responsabilità è chiaramente individuato dalla L. n. 689 cit., art. 6, il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente” (Cass. n. 12264 del 2007). Più di recente si è anche precisato che “in tema di sanzioni amministrative, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una s.n.c.), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale” (Cass. n. 26238 del 2011).

Nella specie, chiarito dalla sentenza impugnata quanto alla posizione della P. che egli ha agito quale legale rappresentante della società di capitali ricorrente, obbligato al pagamento della sanzione è il diretto trasgressore della norma e tale obbligo trova il suo fondamento – per quanto sopra detto – nella natura personale della responsabilità e nella tutela degli interessi generali (cfr Cass. n. 10681 del 2006). Orientamento che trova riscontro nel disposto della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, e nel principio della solidarietà ivi enunciato che rende evidente che il vincolo intercorrente tra la persona che ha assunto la condotta antigiuridica, rappresentante o dipendente della persona giuridica, e quest’ultima consente all’autorità amministrativa di chiamare a rispondere dell’infrazione entrambi gli obbligati relativamente al pagamento della sanzione pecuniaria, ferma restando la necessità della contestazione alla persona fisica (cfr Cass. n. 17288 del 2005).

La sentenza ha, dunque, fatto buon governo delle disposizioni di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 6 non avendo la ricorrente P. svolto argomentazioni idonee a dimostrare la erroneità del convincimento del giudice di merito circa la non riferibilità della violazione a chi aveva concorso alla conclusione del contratto di trasferimento del mezzo. Tale attività correttamente è stata riferita alla società, che aveva stipulato l’atto di acquisto, e correttamente è stata quindi contestata al suo legale rappresentante.

Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, sempre a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente in solido alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misure del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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