Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.11961 del 07/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4124-2017 proposto da:

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER. LA SOCIETA’ E LA BORSA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA, presso la propria sede, VIA GIOVANNI BATTISTA MARTINI 3, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE PROVIDENTI, GIANFRANCO RANDISI e MARIA GIOCONDA DE GAETANO POLVEROSI;

– ricorrente –

contro

KPMG SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 15, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GABRIELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURIZIO GALBIATI e ALDO GIUSEPPE SACCHI;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE CORTE APPELLO MILANO, PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 19/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PROVIDENTI SALVATORE, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; uditi gli Avvocati GABRIELLI ENRICO e GALBIATI MAURIZIO, difensori del resistente che hanno chiesto l’inammissibilLtà del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Consob ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Milano che ha annullato la delibera n. 19304 del 5 agosto 2015 con cui essa ricorrente aveva irrogato alla società di revisione KPMG s.p.a. la sanzione pecuniaria di Euro 100.000, in relazione alla revisione dalla stessa effettuata sul bilancio consolidato al 31.11.2011 della Unipol Gruppo Finanziario s.p.a. (U.G.F.); in particolare, alla KPMG era stata addebitata:

– la violazione dei principi di revisione n. 300 e n. 350, in relazione alle verifiche concernenti “lo scorporo dei derivati impliciti”;

– la violazione di principi di revisione n. 330 e n. 500, in relazione al lavoro di revisione concernente la “classificazione di titoli con clausole di rimborso anticipate a fair vacue per clausole tax events”.

La corte territoriale ha annullato la sanzione sull’assunto della tardività della contestazione dell’illecito, rilevando che “le contestazioni sollevate nei confronti del revisore avevano già avuto, per le medesime irregolarità contabili, un completo accertamento nei confronti della società U.G.F.”, società revisionata nei cui confronti il 21 dicembre 2012 era stata emessa una delibera declaratoria della non conformità del bilancio al 31 dicembre 2011 alle norme che ne disciplinavano la redazione. Nella sentenza si argomenta che, una volta riscontrato che gli elementi posti a base della delibera impugnata erano a disposizione della Consob già dal dicembre 2012, l’avvio della procedura di contestazione nei confronti del revisore, risalente al gennaio 2014, risultava largamente tardivo rispetto al termine di 180 giorni previsto dalla legge.

Il ricorso si fonda su due mezzi di impugnazione.

La KPMG s.p.a. si è costituita con controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza dell’8.11.18, per la quale entrambe le parti hanno depositato una memoria difensiva e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di impugnazione la Consob denuncia la falsa applicazione dell’art. 195 T.U.F. e della L. n. 689 del 1989, art. 14, commi 1, 2 e 6.

Nel motivo si censura l’argomentazione della corte territoriale secondo cui l’attività istruttoria svolta dalla Consob nulla avrebbe aggiunto agli elementi già disposizione dell’Autorità di vigilanza al momento dell’emissione della delibera del 21 dicembre 2012, con la quale era stata dichiarata la non conformità del bilancio al 31 dicembre 2011 della società revisionata U.G.F. alle norme che ne disciplinavano la redazione.

La ricorrente deduce che, con detta argomentazione, la corte territoriale avrebbe compiuto una valutazione a posteriori della rilevanza dell’attività istruttoria compiuta dalla Consob dopo l’emissione della delibera del 21 dicembre 2012 nei confronti della società revisionata, pretendendo di esercitare un indebito sindacato sulla decisione dell’Amministrazione procedente di proseguire nell’istruttoria, pur avendo già acquisito la conoscenza dell’illecito, per conseguire ulteriori elementi di valutazione.

Con il secondo mezzo di impugnazione la Consob reitera, sotto altro profilo, la medesima denuncia di falsa applicazione dell’art. 195 T.U.F. e L. n. 689 del 1989, art. 14 già proposta nel primo mezzo, censurando, in particolare, l’affermazione della corte territoriale secondo cui non può “sostenersi che la ragione giustificatrice della posticipazione dell’accertamento… sia quella di evitare la frammentazione delle contestazioni, perchè, se di contestazioni diverse si tratta, allora non si ha una frammentazione, ma una molteplicità di contestazioni”. La ricorrente, per contro, richiama il principio giurisprudenziale per cui ragioni di economia possono indurre l’Amministrazione procedente a raccogliere, nell’ambito di un contesto unitario, elementi atti a dimostrare la sussistenza di illeciti ulteriori rispetto a quelli già accertati, onde emettere un’unica ordinanza ingiunzione per più illeciti connessi; in proposito, nel mezzo di ricorso si argomenta che la prosecuzione delle indagini sul trattamento del portafoglio di titoli “strutturati” nel bilancio della società U.G.F. avrebbe potuto implicare significativi cambiamenti di scenario rispetto alle contestazioni effettuate nei confronti di detta società con la delibera del 21 dicembre 2012 e che tale eventualità si sarebbe evidentemente ripercossa sulla valutazione dell’attività della società di revisione.

I due motivi del ricorso principale, che nel complesso investono la correttezza della decisione della corte distrettuale di giudicare tardiva la notificazione della contestazione, presentano indubbi elementi di connessione e vanno pertanto congiuntamente esaminati, dovendosi, peraltro, pervenire al loro rigetto.

In punto di diritto occorre ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5395/07, hanno enunciato il principio secondo cui per la Consob il termine per la contestazione dell’illecito decorre dal momento in cui la stessa risulti “in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tener conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti ai suddetti organi assegnati”. Tale principio è stato ripreso dalla giurisprudenza di questa Sezione, con la precisazione che “il momento dell’accertamento – in relazione al quale collocare il dies a quo del termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14,comma 2, per la notifica degli estremi di tale violazione non coincide con quello in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità da parte dell’autorità cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione” (Cass. n. 3043/2009) e che, mentre la relazione dell’indagine deve essere redatta dagli uffici della CONSOB ed esaminata dalla Commissione nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, “occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa” (Cass. n. 25836/2011; Cass. n. 1065/2014; Cass. n. 8204/2016). Sebbene il giudice non possa, ai fini dell’individuazione della decorrenza del termine di contestazione dell’illecito amministrativo, sostituirsi all’amministrazione nel valutare l’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e compiuti senza apprezzabile intervallo temporale (così Cass. n. 16642/2005), tuttavia le valutazioni relative alla congruità del tempo impiegato nelle indagini necessarie per pervenire all’accertamento dell’illecito si risolvono in giudizi di fatto non sindacabili in sede di legittimità, se adeguatamente motivati (Cass. n. 9311/2007), il che impone che il giudice di merito, a fronte di circostanziate doglianze con cui l’opponente denunci l’ingiustificata dilatazione dei tempi di contestazione, deve specificamente motivare sulle ragioni che lo inducono a giudicare tali tempi ragionevoli e congrui; in sostanza, il giudice di merito deve compiere un’indagine puntuale per determinare il tempo ragionevolmente necessario all’autorità per giungere alla contestazione dell’illecito, specialmente quando i tempi dell’indagine siano stati particolarmente ampi, le violazioni contestate si siano esaurite in un arco cronologico ristretto, la struttura dell’indagine si sia caratterizzata per la presenza di prolungati intervalli di inattività. In relazione a fattispecie ancora sottoposta alla previgente disciplina dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, questa Corte ha poi affermato che (Cass. n. 8687/2016) in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto ed alle date delle operazioni, tanto più ove la violazione sia riferibile ad un tempo ben determinato e circoscritto, pervenendo alla cassazione della decisione impugnata che, senza illustrarne le ragioni, aveva ritenuto la liceità della sanzione nonostante fossero decorsi oltre tre anni e mezzo dai fatti, per i quali la Consob aveva compiuto gli ultimi atti di indagine a distanza di oltre due anni dalla prima valutazione del materiale acquisito.

Posti tali principi, da ultimo ribaditi in Cass. 23387/18 ed ai quali il Collegio intende assicurare ulteriore continuità, si rileva che la sentenza impugnata, richiamando espressamente quanto affermato da Cass. SS.UU. n. 5395/2007 e Cass. n. 8687/2016, si è agli stessi attenuta e che le censure mosse in entrambi i mezzi di ricorso si risolvono in una inammissibile richiesta di rivalutare in sede di legittimità il giudizio di fatto operato dalla corte territoriale sulla compiutezza, ai fini dell’accertamento della violazione dei principi di revisione contestata alla società di revisione KPMG, degli elementi di cui la Consob disponeva già nel dicembre 2012, allorquando adottò la delibera declaratoria della non conformità del bilancio al 31 dicembre 2011 della società revisionata U.G.F. alle norme che ne disciplinavano la redazione.

Erra dunque la ricorrente nell’affermare che la corte distrettuale avrebbe operato un indebita valutazione a posteriori della rilevanza dell’attività istruttoria compiuta dalla Consob dopo l’emissione della delibera del 21 dicembre 2012 nei confronti della società revisionata; la corte milanese non ha operato una valutazione a posteriori, ma ha fondato la sua decisione sul giudizio di fatto, nemmeno censurato nel ricorso, che, al momento dell’emissione di detta delibera – contenente l’accertamento della violazione dei principi contabili nel bilancio della società revisionata al 31.12.11 – gli elementi per l’accertamento dell’illecito della società di revisione erano già tutti a conoscenza dell’Autorità di Vigilanza.

Nè appare concludente il richiamo della ricorrente al principio che il giudice non può, ai fini dell’individuazione della decorrenza del termine di contestazione dell’illecito amministrativo, sostituirsi all’amministrazione nel valutare l’opportunità di atti istruttori collegati anche in vista dell’emissione di un’unica ordinanza ingiunzione per violazioni connesse, ad altri e compiuti senza apprezzabile intervallo temporale (Cass. n. 16642/05). L’impugnata sentenza, infatti, non enuncia, nè applica, alcuna regola di diritto contraria al suddetto principio, ma si fonda sul giudizio di fatto che “il materiale probatorio e valutativo sulla base del quale sono state riscontrate le violazioni contestate alla società ed al revisore è sempre il medesimo già acquisito a fine 2012, senza che sia stato necessario, in relazione a tali contestazioni, effettuare un’ulteriore attività istruttoria e/o valutativa”. Tale giudizio non è stato specificamente censurato e, del resto, nel ricorso della Consob non vi è alcuna specificazione in ordine alla natura ed all’oggetto dell’attività istruttoria dalla stessa espletata dopo il dicembre 2012 e delle “violazioni connesse” che tale attività sarebbe stata mirata a contestare alla società di revisione.

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in 7.000, oltre 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi della D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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