LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2079 – 2018 R.G. proposto da:
D.L.A.C. – c.f. ***** – D.L.N. – c.f.
***** – rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente in virtù di procura speciale su foglio separato allegato in calce al ricorso dall’avvocato Giovanni Coli e dall’avvocato Gianni Lorenzetto; elettivamente domiciliati in Roma, al viale Carso, n. 63, presso lo studio dell’avvocato Brunella Grenci.
– RICORRENTI –
contro
A.F., titolare dell’omonima ditta – c.f. ***** –
elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in Sessa Aurunca, al corso Lucilio, n. 112, presso lo studio dell’avvocato Achille Vellucci che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso.
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 2784 dei 17.10/5.12.2016 della corte d’appello di Venezia, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto del 10.10.2007 D.L.A.C. e D.L.N. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Treviso A.F., titolare in Sessa Aurunca dell’omonima officina meccanica.
Esponevano che nell’agosto del 2006 si erano rivolti all’officina meccanica del convenuto ai fini della riparazione di un guasto occorso all’autovettura “Ford Focus” di loro proprietà; che all’esito dell’intervento avevano versato a controparte il corrispettivo di Euro 2.040,00; che tuttavia nel marzo dell’anno seguente si era manifestato lo stesso inconveniente e, rivoltisi all’officina meccanica della “Ford”, avevano sostenuto l’ulteriore esborso di Euro 1.796,00.
Esponevano quindi che l’intervento effettuato dall’officina del convenuto non era stato eseguito in conformità alle regole della buona tecnica.
Chiedevano risolversi il contratto per grave inadempimento del convenuto e condannarsi controparte a corrisponder loro l’importo di Euro 2.040,00 a titolo di restituzione del corrispettivo e l’importo di Euro 2.960,00, ovvero la diversa maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento del danno sofferto, il tutto con interessi e rivalutazione monetaria.
Si costituiva A.F..
Instava, tra l’altro, per il rigetto dell’avversa domanda.
Espletata c.t.u., acquisito il supplemento alla relazione di consulenza, il tribunale – con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.- accoglieva in parte la domanda attorea.
Proponeva appello A.F..
Resistevano D.L.A.C. e D.L.N..
Con sentenza n. 2784 dei 17.10/5.12.2016 la corte d’appello di Venezia accoglieva il gravame, rigettava l’iniziale domanda degli appellati e li condannava alle spese del doppio grado.
Evidenziava la corte che l’indisponibilità del motore dell’autovettura, sul quale era intervenuta l’officina dell’appellante, precludeva qualsivoglia ulteriore indagine anche a mezzo nuova c.t.u. e rendeva impossibile verificare se il danno lamentato fosse da ascrivere all’intervento dell’Antinucci e dunque se costui si fosse reso gravemente inadempiente.
Evidenziava altresì che in questo quadro del tutto irrilevanti erano le richieste istruttorie formulate dagli appellati in via subordinata.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso D.L.A.C. e D.L.N.; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.
A.F. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Premettono che il motore dell’autovettura è stato ritirato dalla casa costruttrice, sicchè la sua indisponibilità non è ad essi in alcun modo riferibile.
Indi deducono che la corte di merito non ha tenuto conto, siccome risulta dalla fattura n. 91/2006, “che l’Autofficina A. (…) provvide a sostituire i singoli pistoni anzichè l’intero monoblocco motore, nonchè a rettificare quest’ultimo nonostante i cilindri fossero in alluminio e privi di canne, ricorrendo a ricambi del mercato parallelo anzichè a quelli originali” (così ricorso, pag. 9).
Deducono ancora che il consulente d’ufficio, con ragionamento del tutto coerente e privo di vizi logici, “è stato in grado di escludere che l’esecuzione della riparazione da parte dell’Officina A. (…) fosse avvenuta a regola d’arte” (così ricorso, pag. 12); che al contempo la ricostruzione del c.t.u. non è stata in alcun modo confutata da controparte.
Deducono infine che l’indisponibilità del motore è circostanza che pur controparte ha reputato superabile alla stregua della richiesta di nuova c.t.u..
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c..
Deducono segnatamente che, fornita la dimostrazione della fonte contrattuale dell’obbligazione ed allegato l’inadempimento di controparte, hanno assolto qualsivoglia onere gravante a loro carico.
I motivi di ricorso sono strettamente connessi; il che ne giustifica la disamina congiunta; ambedue i motivi, comunque, sono inammissibili.
Si è anticipato che il cardine della motivazione dell’impugnato dictum si identifica con l’indisponibilità del motore oggetto di riparazione, quale esito istruttorio che ha indotto la corte di Venezia a negare riscontro al nesso di causalità tra il fatto dell’inadempimento ascritto all’originario convenuto ed il pregiudizio lamentato dagli originari attori.
Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
Per un verso, entrambi i mezzi di impugnazione non si correlano in maniera puntuale alla ratio decidendi, ovvero all’avvenuto riscontro dell’insussistenza del nesso causale (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata).
Propriamente, al cospetto dell’anzidetto univoco riscontro, non è pertinente addurre, e con il primo e con il secondo mezzo di impugnazione, che la corte distrettuale non ha avuto cura “di verificare (…) a quale parte spettasse assolvere l’onere probatorio” (così ricorso, pag. 9), che la corte territoriale non ha applicato correttamente i principi in tema di ripartizione dell’onere della prova (cfr. ricorso, pag. 14), che sarebbe stato onere di “controparte dimostrare l’eventuale esecuzione a regola d’arte della riparazione effettuata” (così ricorso, pag. 15): sovviene l’insegnamento di questo Giudice del diritto alla cui stregua l’indagine sull’incidenza dell’onere della prova è superflua allorchè il giudice ritenga di potere compiutamente formare il proprio convincimento sulla base delle risultanze probatorie (nel caso de quo la risultanza dell’irreperibilità del motore) acquisite al processo (cfr. Cass. sez. lav. 12.4.1983, n. 2589).
Analogamente, a fronte dell’operato disconoscimento del nesso di causalità, non è pertinente l’assunto dei ricorrenti secondo cui la corte veneziana non ha avuto cura “di verificare (…) se la prova in ordine alla mancata esecuzione a regola d’arte fosse stata egualmente raggiunta” (così ricorso, pag. 9).
Per altro verso, in particolare il primo mezzo di impugnazione – recante censura del giudizio “di fatto” cui ha atteso la corte d’appello – è da vagliare (evidentemente) nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
Ed in quest’ottica si rappresenta ulteriormente quanto segue.
Da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum: la corte distrettuale ha – siccome si è premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
D’altro canto, la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa.
Del resto, i ricorrenti censurano (siccome si è enunciato in sede di illustrazione specificamente del primo motivo) l’asserita lacunosa ed erronea valutazione delle risultanze di causa (tra l’altro della fattura n. 91 del 15.9.2006; “la suddetta Corte ha completamente omesso di esaminare le modalità di riparazione poste in essere dall’Officina A., diverse da quelle poste in essere dalla concessionaria Ford (…), e valorizzate dal c.t.u. (…)”: così memoria, pag. 1).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi di prova non legale da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
Nei termini esposti dunque i motivi di ricorso sono inammissibili perchè – il primo in special modo – fuoriescono dalla “griglia” delle ragioni di censura che a norma del novello disposto dell’art. 360 c.p.c. fondano il diritto soggettivo alla sollecitazione di questo Giudice della legittimità.
In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, D.L.A.C. e D.L.N., a rimborsare al controricorrente, A.F., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019