Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11974 del 07/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6782-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

CEPAL, SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA – ora Agrintesa, Società

Cooperativa Agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V. CARMELO MAESTRINI 386, presso lo studio dell’avvocato ERMANNO BELLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2374/6/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositata il 20/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Ravenna, con sentenza n. 18/2003, sez. 3, accoglieva il ricorso proposto dalla Cooperativa CEPAL avverso il classamento dell’immobile sito in Comune di Lugo nella categoria D8 anzichè D10.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR E Romagna che, con sentenza 2374/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi.

Ha resistito con controricorso la cooperativa CEPAL.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio contesta che l’immobile per cui è causa disponesse dei requisiti per essere classificato nella categoria D10 sostenendo che lo stesso aveva la struttura e le caratteristiche per lo svolgimento di una attività ed industriale.

Con il secondo motivo contesta la ritenuta carenza di motivazione del provvedimento amministrativo impugnato.

Osserva la Corte che la sentenza impugnata è basata su una ulteriore ratio decidendi che consiste alla avvenuta presentazione, ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis e ss., da parte della contribuente della dichiarazione di classamento in categoria D/10.

Tale dichiarazione, costituente una autocertificazione, comporta, in virtù della norma citata, che alle costruzioni strumentali alle attività agricole sia attribuita la categoria D/10 con effetto retroattivo di 5 anni.

La mancata impugnazione di tale ratio decidendi rende il ricorso inammissibile.

Ancorchè superfluamente, a seguito di quanto appena detto, si osserva comunque che i due motivi sono manifestamente infondati.

La sentenza impugnata ha dato atto che la struttura ha sempre avuto fin dalla sua origine la funzione di stoccare, confezionare e distribuire i prodotti degli agricoltori soci della cooperativa e ciò sulla base dell’esame fatto delle planimetrie, delle fotografie, del libro soci e del bilancio.

Le censure che l’Agenzia ricorrente muove a tale motivazione tendono, per un verso, ad investire inammissibilmente il merito della decisione e, per altro verso, sono manifestamente infondate laddove si basano sulla circostanza che l’immobile, un tempo periferico, è ora divenuto centrale nell’ambito della città.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che in tema di classamento, il carattere rurale dei fabbricati diversi da quelli destinati ad abitazione (categoria D/10), non può essere negato ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 29 (ora 32) o anche di quelle aggiunte dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3-bis, e ciò a prescindere dal fatto che non coincidano la titolarità del fabbricato e la titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti.

I presupposti per valutare la strumentalità, sussistono quando: 1) il fabbricato della cooperativa abbia una funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci; 2) tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; 3) la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni). (Cass. 20953/08- Cass. 14013/12).

In particolare, si è già avuto modo di chiarire che “il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal cit. T.U.I.R., art. 29 (ora 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis; a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano nello stesso soggetto.” (Cass. 20953/08) Inoltre, per la sussistenza del carattere di “strumentalità” nel caso concreto, e per la conseguente iscrivibilità nella speciale categoria catastale D/10, ai sensi del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, comma 5, è necessario che il fabbricato della cooperativa abbia una “funzione produttiva connessa all’attività agricola dei soci”; che tale funzione sia rivelata dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; che la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni. Di nessuna importanza è invece l’osservazione che lo stesso impianto potrebbe svolgere ordinarie attività commerciali o industriali, anche se non fosse posseduto dalla cooperativa. (Cass. 20953/08).

Tutte tali circostanze sono state accertate dalla sentenza di appello che ha dato atto, come già ricordato, di essersi basata sulle planimetrie, e le fotografie dell’edificio per verificarne la struttura e la destinazione nonchè sul libro soci e sul bilancio a riscontro del carattere agricolo dell’attività.

Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 3000,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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