LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11299/2015 proposto da:
L.L., quale titolare della Farmacia Ascani del Dott. L.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tirso n. 101, presso lo studio dell’avvocato De Luca Raffaele, rappresentato e difeso dall’avvocato Gallo Giuseppe, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento L.L. titolare della Farmacia Ascani del Dott. L.L., in persona dei curatori avv. Astorino Rossana e Dott. Ferrari Sergio, elettivamente domiciliata in Roma, Via Conte Rosso n. 5, presso lo studio dell’avvocato Castagna Andrea, rappresentata e difesa dall’avvocato De Renzo Angela Maria, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
C.T.; Cr.El.; F.M.S.;
F.M.S.; Lu.Pa.; Max Farma S.r.l.; M.G.;
Procura della Repubblica di Crotone;
– intimati –
avverso la sentenza n. 397/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/11/2018 dal cons. Dott. Paola VELLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la controricorrente Curatela, l’Avvocato Alessandro Rimato, con delega, che ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. Con la pronuncia impugnata, la Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da L.L. avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che ne ha dichiarato il fallimento – quale titolare della “Farmacia Ascani di L.L.” dopo aver revocato L. Fall., ex art. 173 l’ammissione al concordato preventivo da questi proposto in pendenza del procedimento prefallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6.
2. Per quanto ancora rileva in questa sede, il giudice di secondo grado ha affermato: i) che non sussisteva la dedotta nullità della sentenza di fallimento per mancanza di idonea domanda di parte, poichè le istanze di fallimento dei sei creditori originari (ossia gli odierni intimati, già contumaci in sede di reclamo) non erano state desistite nè rinunziate; ii) che l’avere il L. totalmente sottaciuto agli organi della procedura concordataria l’esistenza del contratto preliminare di vendita della farmacia (costituente pressochè la totalità dell’attivo concordatario), della sentenza di primo grado ex art. 2932 c.c. favorevole al promissario acquirente, della sua impugnazione e del successivo atto di rinuncia – la cui qualificazione (se all’appello o agli atti, rispettivamente senza o con necessità di accettazione della controparte) risultava ancora sub judice, con conseguente incertezza circa il momento dell’eventuale passaggio in giudicato della sentenza (se prima o dopo la contestata diffida ad adempiere del promittente venditore) – incideva non solo sulla fattibilità giuridica ed economica del piano, ma anche sulla corretta informazione dei creditori, ai fini della manifestazione di un consenso informato; iii) che tale aspetto era di per sè idoneo a giustificare la revoca del concordato, con assorbimento delle ulteriori doglianze prospettate dal reclamante circa il consolidamento di un maggior credito fiscale e la procedura ispettiva della Guardia di Finanza, peraltro afferenti il diverso ambito della fattibilità e convenienza della proposta (in quanto comportanti la diminuzione dal 12% al 3% della percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari).
3. Avverso la sentenza d’appello il L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. I restanti intimati non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta (testualmente) la “Violazione della L. Fall., artt. 6 e 15 e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, lett. C”, per essere stata pronunciata sentenza di fallimento in difetto di domanda, dal momento che nessuno degli originari creditori istanti aveva insistito nella richiesta e nel corso del sub procedimento L. Fall., ex art. 173 solo l’avv. Giuseppe Trocino aveva “chiesto il fallimento, ma nel caso di revoca dell’ammissione al concordato”.
1.1. La censura presenta profili sia di infondatezza che di inammissibilità, poichè, per un verso, dagli atti emerge che la dichiarazione di fallimento non è stata pronunciata d’ufficio, per altro verso attraverso la prospettazione di una violazione di legge il ricorrente mira a sindacare l’interpretazione data dai giudici di merito al contegno processuale dei creditori presenti all’udienza del 3 aprile 2014, conclusiva del sub-procedimento L. Fall., ex art. 173, che costituisce un accertamento di fatto incensurabile in questa sede.
1.2. Invero la Corte territoriale, dopo aver ritenuto formalmente inidonea (per inosservanza dei requisiti ex art. 125 c.p.c.) la richiesta subordinata di fallimento verbalizzata dall’avv. Trocino, creditore concordatario del L. (“dichiara fin da adesso… che si proceda nella dichiarazione di fallimento”), ha affermato che “il fallimento è stato dichiarato in presenza di istanze di parte ritualmente prodotte da quelli che oggi figurano come reclamanti contumaci”, aggiungendo che “la mera circostanza che i detti creditori, comparsi anche nelle udienze del sub-procedimento, non abbiano insistito in quelle istanze non comporta certo la rinuncia o la desistenza” ed interpretando altresì l’espressione adottata (“non insistono nella dichiarazione di fallimento”) come semplice “opzione per la soluzione concordataria”, che però, nell’ambito del procedimento L. Fall., ex art. 173, “non appartiene ai creditori, essendo rimesso al tribunale l’accertamento di quei fatti che comportano la revoca dell’ammissione al concordato e, nella verificata esistenza di istanze, delle condizioni che, in ipotesi, portano alla dichiarazione di fallimento”.
1.3. Al netto, dunque, di tale accertamento in fatto, deve darsi continuità al consolidato orientamento di questa Corte circa l’unitarietà del procedimento per dichiarazione di fallimento cui segua il deposito di una domanda di concordato preventivo (ex multis, Sez. U, 15/05/2015 n. 9935; Sez. 6-1, 15/07/2016 n. 14518),nel senso che la dichiarazione di fallimento susseguente alla pronuncia di inammissibilità della proposta concordataria “non richiede ulteriori adempimenti procedurali, ivi compresa la preventiva audizione del debitore, inquadrandosi in una procedura unitaria, nella quale quest’ultimo ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale ed il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento gli è noto fin dal momento della presentazione della domanda concordataria, sicchè lo stesso, per effetto di quella riunione, è posto nelle condizioni di predisporre i mezzi di difesa più adeguati sia in ordine all’ammissibilità della proposta, che per contrastare la richiesta di fallimento” (Sez. 6-1, 18/12/2015 n. 25587).
1.4. Come di recente ribadito (v. Sez. 1, 06/03/2018 n. 5273), anche ai fini dell’eventuale subprocedimento di revoca L. Fall., ex art. 173 “non è necessario che il decreto di convocazione delle parti rechi l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 4, atteso che, da un lato, il rinvio contenuto nella L. Fall., art. 173, comma 2, alla menzionata norma deve intendersi nei limiti della compatibilità e, dall’altro, in siffatta ipotesi, il contraddittorio tra creditore istante e debitore si è già instaurato e quest’ultimo è già a conoscenza che, in caso di convocazione L. Fall., ex art. 173, l’accertamento del tribunale e, correlativamente, l’ambito della sua difesa attengono ad una fattispecie più complessa di quella della sola revocabilità dell’ammissione al concordato, rappresentando la revoca uno dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (Cass. 07/12/2016, n. 25165; Cass. 31/01/2014, n. 2130)”.
1.5. Questa Corte ha altresì sottolineato che “la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, impedisce la dichiarazione di fallimento solo temporaneamente, fino al verificarsi degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162,173,179 e 180, ma non determina l’improcedibilità del procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M.”, sicchè, “una volta rimossa la condizione preclusiva alla pronuncia della sentenza di fallimento per effetto della revoca dell’ammissione L. Fall., ex art. 173, i ricorrenti conservano la pienezza dei loro poteri di impulso per la prosecuzione del procedimento” (Sez. 1, 18/01/2017 n. 1169), “senza che sia a tal fine necessario il rilascio di un ulteriore mandato difensivo” (Sez. 1, 08/09/2016 n. 17764).
2. Con il secondo mezzo si denunzia la “Violazione della L. Fall., art. 173 e dell’art. 1453 c.c., comma 3 artt. 2932,1183,1184 e 1322 c.c., nonchè artt. 359,306 e 390 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. C e E”.
2.1. La censura è inammissibile, poichè il ricorrente veicola come violazione di legge aspetti che attengono propriamente al merito della vicenda, peraltro indugiando ampiamente nella ricostruzione delle circostanze relative alla proposizione dell’azione ex art. 2932 c.c. ed alla successiva rinunzia all’appello, all’evidente fine di ottenere una rivisitazione dell’accertamento compiuto dai giudici del fatto, non consentita in questa sede. In particolare, il ricorrente sottolinea che egli aveva rinunziato all’appello e la sentenza ex art. 2932 c.c. era passata in giudicato, ma il promissario acquirente non aveva risposto alla diffida ad adempiere, per cui “il L., e la procedura, dovevano ritenersi, ed erano, liberati da qualsiasi vincolo”, “la questione era ormai definita ed il L. non aveva alcun obbligo di informazione”; e comunque, se anche la Corte d’appello avesse deciso diversamente, il promissario acquirente avrebbe in ipotesi dovuto procedere al pagamento del prezzo della farmacia (oltre 3 milioni di Euro), con conseguente miglioramento della proposta di concordato; in altri termini, “il L. non aveva nascosto alcunchè, non era sua intenzione farlo ed in ogni caso alcun danno poteva derivare dalla vicenda”. Si tratta a ben vedere di una ricostruzione dei fatti alternativa all’accertamento dei giudici di entrambi i gradi del giudizio, peraltro inidonea ad attingere la ratio della Corte territoriale fondata sull’inosservanza degli obblighi informativi del debitore concordatario e sulla portata del silenzio decettivo da questi serbato circa il preliminare di vendita della farmacia e l’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, risultando il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato (Sez. 1, 07/11/2018, n. 28433; conf. Cass. 13935/17 e 9938/14).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019