LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23309/2014 proposto da:
F&M S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Giovanni Randaccio n. 1, presso lo studio dell’avvocato Di Paolantonio Luca, rappresentata e difesa dall’avvocato Caterino Caterina, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Darma Asset Management S.G.R. p.a. in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona dei commissari liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 51, presso lo studio dell’avvocato Sordi Enrico, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 142/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2019 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che ha concluso per l’inammissibilità del primo motivo o in subordine rigetto, infondatezza del secondo motivo;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Caterina Caterino che ha chiesto l’accoglimento;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato Enrico Sordi che ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
F & M s.p.a. conveniva la Darma Asset Managment SGR s.p.a. (d’ora innanzi breviter Darma) dinanzi al tribunale di Rovigo, sez. dist. di Adria.
Esponeva che tra le parti era in corso un contratto di affitto d’azienda che la Darma, quale società di gestione, aveva stipulato nell’interesse del Fondo comune d’investimento immobiliare di tipo chiuso denominato *****. In tale qualità essa aveva affittato l’azienda all’attrice per lo svolgimento di attività fieristico-espositiva.
L’attrice chiedeva al tribunale di accertare l’inadempimento del contratto da parte di Darma per la mancata effettuazione di una serie di interventi tesi a rendere possibile l’esercizio della menzionata attività (sistemi di scarico, dispositivi limitanti le emissioni di rumore, predisposizione di piani d’emergenza e altro), e di dichiararla tenuta all’esecuzione di quanto necessario a garantire l’integrità dell’azienda.
Darma contestava le domande e in riconvenzione chiedeva la condanna dell’affittuaria a pagare i canoni arretrati e ad adempiere a sua volta al contratto.
In corso di causa si costituiva in giudizio l’organo commissariale di Darma, nel frattempo posta in liquidazione coatta amministrativa.
L’adito tribunale di Rovigo, quanto alle domande riconvenzionali, dichiarava la propria incompetenza in favore del tribunale di Milano, dinanzi al quale era stata aperta la procedura di liquidazione coatta amministrativa; dichiarava inoltre l’improcedibilità delle domande principali.
F & M s.p.a. proponeva appello formulando due censure.
La corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 17-2-2014, reputava che il secondo motivo di gravame, col quale la decisione del tribunale era stata censurata sul versante della declaratoria di incompetenza, fosse “superato” dall’ordinanza con la quale questa Suprema Corte aveva accolto l’istanza di regolamento statuendo la competenza del tribunale di Rovigo. Rigettava invece la seconda censura confermando la statuizione di improcedibilità della domanda formulata da F & M. s.p.a.
A tal riguardo osservava che la questione di procedibilità aveva valenza pregiudiziale rispetto a quella su chi dovesse considerarsi effettivo titolare del rapporto, se cioè Darma o il Fondo ***** siccome asseritamente dotato, secondo l’impugnante, di autonoma soggettività; che la domanda, sebbene qualificabile come di accertamento, era in effetti improcedibile in base all’art. 83 T.u.b., dal quale era da inferire l’impossibilità di proseguire le azioni contro la banca in liquidazione, con consequenziale superamento di eventuali interpretazioni restrittive della L. Fall., art. 207; che del resto gli inadempimenti lamentati dall’attrice ben potevano essere prodromici a un’azione di danni, senz’altro incidente sulla formazione dello stato passivo.
Per la cassazione della sentenza F & M s.p.a. ha proposto ricorso affidato a due motivi.
Darma, in liquidazione coatta amministrativa, ha replicato con controricorso e ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. – Col primo mezzo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto la legittimazione processuale passiva della società Darma anzichè del Fondo di investimento immobiliare. La ricorrente sostiene che tale questione, in quanto attinente alla legittimazione processuale, avrebbe dovuto essere trattata dalla corte d’appello con priorità rispetto ai profili della procedibilità della domanda.
II. – Il motivo è inammissibile.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, i fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel T.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998, e successive modificazioni), sono privi di autonoma soggettività giuridica, costituendo patrimoni separati della società di gestione del risparmio. Tanto questa Corte ha già affermato ulteriormente sottolineando che, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato alla società promotrice o di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia (cfr. Cass. n. 16605-10).
A tale orientamento va data continuità, non essendo prospettate serie ragioni a esso contrarie.
Ciò postula che sull’attuale ricorrente non sia rinvenibile alcun interesse in ordine al solo consequenziale profilo dell’ordine logico delle questioni affrontate in sentenza. Quale che infatti ne sia la portata effettuale – per la verità alquanto oscura nel riferimento della prospettazione all’art. 81 c.p.c., a fronte di domanda che la stessa parte ha proposto nei confronti della società di gestione -, l’interesse potrebbe dirsi sussistente solo se la questione sostanziale sottostante fosse fondata.
Il che non è per la ragione esposta.
III. – Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 T.u.f. e dell’art. 83T.u.b.
Sostiene che la corte d’appello avrebbe dovuto ritenere la procedibilità della domanda proposta nei confronti della società Darma in liquidazione coatta amministrativa al fine di vagliare, poi, il profilo della legitimatio ad causam e di dichiarare “il difetto del requisito della sua declinazione passiva in capo alla SGR”.
Anche il secondo motivo è per analoga ragione inammissibile.
IV. – La prospettazione della ricorrente, in vero, si presenta avulsa dagli scopi del processo, finendo col privare questo della sua funzione secondaria (o servente) rispetto alla tutela della situazione sostanziale che si assume lesa. Essa stessa parte risulta aver proposto la domanda contro la società di gestione. Donde l’attuale censura – per il tramite oltre tutto di un presupposto concettuale errato, quale quello inerente la soggettività giuridica del Fondo d’investimento – ha l’unico obiettivo di ottenere, tramite il processo, una pronuncia di inammissibilità anzichè di improcedibilità di quella stessa domanda.
Per contro è dirimente che il processo non può essere asservito alla tutela di solo astratte esigenze – quali sarebbero quelle sottese alla semplice rettifica delle ragioni del rigetto della domanda in rito.
Il processo di cognizione serve ad accertare la ragione e il torto rispetto alla situazione giuridica primaria che si assume lesa; mentre qui la stessa ricorrente assume come base della censura l’esistenza di un interesse non calibrato su tale aspetto, dovendosi a suo dire semplicemente “dare atto della procedibilità della domanda nei confronti della Banca in l.c.a.” per “vagliare il profilo attinente la legitimatio ad causam conseguentemente dichiarando il difetto del requisito nella sua declinazione passiva in capo alla SGR”.
V. – Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 7 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019