Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.12146 del 08/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 18919 del ruolo generale dell’anno 2017, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Fallimento ***** s.r.l., in persona del curatore fallimentare F.R., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.to Alberto Corti, domiciliato presso la cancelleria della Corte;

– controricorrente –

Nonchè

Sarti s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 276/07/2017, depositata il 31 gennaio 2017, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27 marzo 2019 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 276/07/2017, depositata il 31 gennaio 2017 e non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, (hinc: “CTR”), accoglieva l’appello proposto da ***** s.r.l. in concordato preventivo e da Sarti s.r.l. in liquidazione nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 156/2015 della Commissione tributaria provinciale di Como (hinc: “CTP”), annullando – in riforma della sentenza di primo grado – l’impugnato avviso di rettifica n. 38746/RU/2014 e il corrispondente atto di contestazione di sanzioni;

– il giudice di appello, in punto di fatto, premetteva che: 1) ***** s.r.l. e Sarti s.r.l. in liquidazione avevano impugnato dinanzi alla CTP di Como l’avviso di rettifica di accertamento n. ***** – con il corrispondente atto di irrogazione delle sanzioni – con il quale l’Ufficio delle dogane di Como aveva rettificato il valore doganale di prodotti di cartoleria – riproducenti loghi di noti marchi registrati – importati, nel 2011, dal ***** s.r.l. – tramite la propria controllata ***** – da fabbricanti extracomunitari (cinesi), includendovi, ai sensi del Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 32, comma 1, lett. c) e del Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454, art. 157, paragrafo 2, i diritti di licenza che il ***** s.r.l. corrispondeva ai licenzianti titolari dei marchi (Nello Kitty, Frankie Garage, Circo Barnum, Gaudì); 2) la CTP di Como, con la sentenza n. 156/2015, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi, ritenendo: a) dovuti i dazi doganali sui diritti di licenza non essendo compresi nel prezzo dei prodotti importati e costituendo il loro pagamento “condizione per la vendita” degli stessi; b) dovute le corrispondenti sanzioni; 3) ***** s.r.l. in concordato preventivo e Sarti s.r.l. in liquidazione avevano proposto appello avverso la citata sentenza per la parte relativa alla ritenuta inclusione dei diritti di licenza nel valore delle merci in dogana, deducendo che: a) non esercitando le società licenzianti un controllo sui produttori il pagamento della royalties non era configurabile come condizione di vendita delle merci dal fabbricante alla licenziataria; b) il pagamento delle royalties alla licenziante avveniva sulla base del venduto e non dell’acquistato con conseguente non dichiarabilità all’atto dell’importazione di un valore incerto nell’an e nel quantum; 4) l’Agenzia delle dogane aveva controdedotto chiedendo il rigetto dell’appello, ribadendo che le royalties erano una condizione di vendita delle merci; 5) essendo stato il ***** s.r.l., in liquidazione, dichiarato fallito con sentenza n. 123/2015, in data 4 novembre 2016, era stata presentata costituzione in giudizio del Fallimento del ***** s.r.l., giusta autorizzazione del Tribunale di Como, sez. fall., del 10 ottobre 2016;

– tanto premesso, in punto di diritto, la CTR osservava che: 1) non sussistevano nella fattispecie i presupposti per configurare i diritti di licenza versati dal ***** s.r.l. come condizione di vendita delle merci importate in quanto dall’analisi dei contratti di licenza l’unico controllo delle licenzianti era quello di qualità dei prodotti e del rispetto da parte dei fabbricanti di determinate condizioni di lavoro e non già un controllo gestionale delle società licenziatarie le quali rimanevano libere di scegliere il produttore terzo senza alcun vincolo se non quello della necessaria “qualità” della merce prodotta e commercializzata; 2) il pagamento delle royalties non aveva per il produttore alcuna rilevanza non intersecando il rapporto di produzione e il pagamento della merce da lui fabbricata; 3) il pagamento del diritto di licenza non costituiva condizione di vendita delle merci importate in quanto il fabbricante/venditore riceveva dal committente un ordine di realizzare prodotti “le cui caratteristiche erano già nella disponibilità del committente stesso e ciò in virtù di pregressi accordi tra l’ordinante/acquirente e il titolare del diritto sul bene”;4) sussisteva un rapporto unicamente tra i licenzianti e la licenziataria essendo quest’ultima tenuta a fornire ai licenzianti “un rapporto completo sulla produzione e tutti i controlli sulle idee creative e sui materiali, gli imballaggi”; 5) il bene oggetto della importazione era il frutto di una mera esecuzione di un ordine di realizzare i prodotti conformi ai modelli forniti dallo stesso committente – licenziataria a sua volta autorizzato dal titolare del diritto;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il Fallimento ***** s.r.l.; rimane intimata Sarti s.r.l. in liquidazione;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 2 e dell’art. 380 – bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22 e 53, in combinato disposto con il R.D. n. 267 del 1942, artt. 16 e 43, per non avere la CTR rilevato d’ufficio l’inammissibilità del ricorso in appello depositato da ***** s.r.l. presso la CTR il 10 dicembre 2015 ovvero proprio il giorno del deposito della sentenza del Tribunale di Como n. 123/05 dichiarativa del suo fallimento, con conseguente legittimazione, anche nelle controversie in corso, da tale data, del solo curatore fallimentare; il che rendeva- ad avviso della ricorrente – tamquam non esset il deposito dell’atto di appello in data 10 dicembre 2015, dato che l’autorizzazione del giudice delegato era intervenuta in data 10 ottobre 2016 e la curatela fallimentare si era costituita in data 4 novembre 2016;

– il motivo è infondato;

– ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, “Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all’art. 20, commi 1 e 2 (…) e dev’essere depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3”;

– ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 1, “Il ricorso è proposto mediante notifica a norma del precedente art. 16, commi 2 e 3” mentre, ex art. 22, comma 1, “il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità, deposita nella segreteria della commissione tributaria adita o trasmette a mezzo posta (…) l’originale del ricorso notificato (..) “;

– pertanto, dalle norme del processo tributario risulta chiaramente che la legittimazione ad processum del ricorrente ad incardinare il giudizio in appello – e dunque nella specie di ***** s.r.l. – va verificata al momento della proposizione del ricorso ovvero della notifica di esso e non già al momento del deposito del ricorso notificato, utile ai diversi fini della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante;

– essendo, nella specie, incontestata la declaratoria del fallimento del ***** s.r.l. con sentenza del Tribunale di Como n. 123/05, depositata l’11 dicembre 2005, successivamente alla proposizione dell’appello con la notifica del ricorso, nessuna incidenza assume sulla legittimazione processuale della società (in concordato preventivo) la coincidenza della data di deposito della sentenza declaratoria di fallimento con quella del deposito nella segreteria della commissione tributaria adita dell’originale del ricorso notificato, essendo tale adempimento utile ai soli fini della verifica della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante;

– invero – premesso il consolidato orientamento secondo cui “la perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio” (così, Cass. n. 22961 del 2018; n. 13391 del 2017; Cass. n. 5226 del 2011), nella specie, la declaratoria del fallimento della società ***** s.r.l. è intervenuta successivamente alla proposizione dell’appello, per cui la legittimazione processuale a tale data della società ancora in bonis è evidente, incontestata essendo poi la successiva costituzione del fallimento in corso di causa;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR escluso la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 157, par. 2 e 160 DAC ritenendo configurabile nella fattispecie un mero controllo delle licenzianti sulla qualità della merce prodotta e sul rispetto da parte dei fabbricanti di determinate condizioni di lavoro, soffermandosi apparentemente ad esaminare le clausole contrattuali dei contratti di licenza prodotti dall’Ufficio e, in particolare, senza considerare la portata di alcune clausole inserite nei prodotti contratti di licenza (concernenti la risoluzione del contratto di produzione/vendita nel caso di risoluzione del contratto di licenza; controllo prevenivo e l’approvazione scritta di tutti i prodotti; diritto del licenziante di controllare i libri e le scritture contabili della licenziataria e dei fornitori degli articoli sottoposti a licenza, etc.) denotanti: a) un rapporto di subordinazione del contratto di produzione a quello di licenza, con configurabilità del pagamento delle royalties come condizione, seppure implicita, di vendita delle merci; b) un legame tra licenziante e produttore tale da consentire al primo un controllo indiretto, come potere di costrizione o di orientamento, non concretantesi in un mero controllo di qualità;

– il motivo è inammissibile;

– come affermato da questa Corte, a sezioni unite, nella sentenza n. 8053 del 2014: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” e “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (ex multis, conf. Cass. n. 23940 del 2017; n. 22598 del 2018). Orbene, posto che al presente giudizio, avente ad oggetto una sentenza depositata il 31 gennaio 2017, è applicabile la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella specie, da un lato, la ricorrente chiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione di fatti storici già presi in considerazione dal giudice di appello, avendo quest’ultimo fondato il proprio giudizio in ordine alla insussistenza dei presupposti di legge per la inclusione delle royalties nel valore doganale delle merci importate, sull’analisi dei singoli contratti di licenza e sulla ritenuta insussistenza, alla luce delle clausole negoziali, di un controllo sulla produzione da parte dei licenzianti (non imponendo i licenzianti alla licenziataria i produttori terzi; essendo il controllo da parte dei licenzianti di mera qualità della merce; intercorrendo i rapporti unicamente tra i licenzianti e la licenziataria, senza coinvolgimento del terzo produttore, etc.) e, dall’altro, la motivazione della CTR non può dirsi affatto al di sotto del c.d. “minimo costituzionale” avendo la stessa dato ampiamente conto, attraverso l’esame dei contratti di licenza, delle ragioni per le quali erano da considerare non integrate le condizioni previste dalla normativa unionale per includere le royalties nel valore doganale ai fini del pagamento dei relativi diritti;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra l’Agenzia delle dogane e il Fallimento ***** s.r.l., seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo; nulla sulle spese, nei rapporti tra l’Agenzia e Sarti s.r.l. in liquidazione, essendo quest’ultima rimasta intimata.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore di Fallimento ***** s.r.l., in persona del curatore fallimentare pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 1.500,00 per compensi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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