LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10525/2018 proposto da:
K.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Fabio Madella, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 238/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/2019 dal Consigliere Dott. Paola VELLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità per carenza di interesse.
RILEVATO
che:
– il sig. K.P., originario del Ghana, ha proposto sette motivi di ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Ancona, pur dichiarando la nullità dell’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva rigettato il ricorso avverso il disconoscimento della invocata protezione internazionale – per violazione del diritto di difesa e per carenza motivazionale – ha rigettato nel merito l’appello, facendo però riferimento ad una fattispecie concreta del tutto diversa da quella esposta dal ricorrente, che ne invoca perciò la nullità;
– il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
– prima dell’udienza è intervenuta la rinuncia del ricorrente al ricorso, senza che siano stati integrate le condizioni di cui all’art. 390 c.p.c., comma 3, per l’estinzione del processo a norma del successivo art. 391;
– detta rinuncia riveste comunque valore sostanziale di manifestazione del sopravvenuto difetto di interesse alla trattazione del ricorso, che può quindi essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto “l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione, perchè è in relazione quest’ultimo – e alla domanda originariamente formulata – che l’interesse va valutato” (Cass. Sez. U., n. 10553/2017; cfr. Sez. 1, n. 9005/2018);
– trattandosi di circostanza sopravvenuta all’instaurazione del giudizio, le spese processuali possono essere compensate tra le parti;
– non ricorrono i presupposti per disporre il pagamento del doppio contributo, essendo la ratio del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato) quella di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicchè tale meccanismo sanzionatorio si applica per l’inammissibilità originaria del gravame, non anche per quella sopravvenuta (ex multis, Cass. n. 13636/2015, n. 3542/2017, n. 15996/2018).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019