Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.12182 del 08/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12792/2018 proposto da:

I.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Pennetta Carlo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, in persona Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1483/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/2019 dal Consigliere Dott. FIDANZIA ANDREA;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Bordoni Matteo in delega, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza dell’1.7.2017 con cui il Tribunale di Ancona aveva respinto la domanda di I.D. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

La Corte d’Appello, riteneva che, nel caso di specie, difettassero comunque i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, essendo le dichiarazioni del ricorrente generiche, incoerenti e scarsamente credibili, lacune non colmate neppure in fase di gravame.

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, non era sussistente il pericolo del ricorrente di essere esposto a gravi danni in caso di ritorno nel paese d’origine, atteso che la violenza alimentata da motivi religiosi, sfociata in un vero e proprio conflitto armato, non interessava l’area di provenienza del ricorrente (Edo State), ma zone diverse, e, segnatamente le regioni del Borno, Yobe e Adawa.

Infine, il ricorrente non era comunque meritevole del permesso per motivi umanitari, non rientrando nelle categorie soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità.

Ha proposto ricorso per cassazione I.D. affidandolo a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, in relazione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati di New York del 31 gennaio 1967 e della direttiva n. 2004/83/CE.

Lamenta il ricorrente che l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti dovevano essere effettuati, in primis, dall’esaminatore della Commissione territoriale e poi anche dai giudici di merito, i quali dovevano utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda, concedendo al richiedente il beneficio del dubbio.

2. Il motivo è inammissibile per genericità.

Il ricorrente non ha colto la ratio decidendi della statuizione, avendo la Corte di merito evidenziato la scarsa credibilità del racconto del richiedente per la genericità e per le contraddizioni in cui era incorso, neppure venute meno con le informazioni di maggior dettaglio rese successivamente in sede di audizione presso la Commissione, che si sono appalesate inconciliabili con lo stesso narrato, tanto da dar luogo a due versioni dei fatti sostanzialmente differenti.

Il ricorrente, non confrontandosi con tali precise argomentazioni, ha dedotto generiche censure sui poteri officiosi che per legge spettano all’esaminatore della Commissione e ai giudici di merito, sganciate da qualsiasi riferimento al fatto concreto e che avrebbero potuto essere fatte valere in un qualsiasi giudizio.

3. Con il secondo motivo ed il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’omesso esame di fatti decisivi per la richiesta di protezione umanitaria.

Lamenta il ricorrente l’apparenza della motivazione di rigetto del ricorso e l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel separare i presupposti di fatto dell’istanza di protezione umanitaria rispetto alla domanda di protezione internazionale, in realtà, ad avviso del ricorrente, coincidenti.

4. Entrambi i motivi sono infondati.

Vertendo i motivi sopra indicati sulla richiesta di concessione della protezione umanitaria, va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria (sostituendolo con la previsione del permesso per casi speciali), questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, nell’ambito del ricorso deciso all’udienza del 23 gennaio 2019 ed iscritto al n. R.G. 19651/2018 (Bandia Aliou c. Ministero dell’Interno) ha già elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Ne consegue che questo Collegio, condividendo il principio di diritto sopra riportato, provvederà anche all’esame di questa domanda.

Orbene, in primo luogo è infondata la censura con cui si afferma l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto diversi i presupposti in fatto dell’istanza di protezione internazionale rispetto a quelli posti a fondamento della protezione umanitaria.

I presupposti delle due domande sono effettivamente differenti.

Il riconoscimento dello status di rifugiato presuppone che il richiedente sia stato oggetto di atti di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a particolare gruppo sociale o opinioni politiche.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato invece riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte al ricorrere di situazioni soggettive di vulnerabilità del ricorrente ritenute meritevoli di tutela (Cass. 15466/2014, n. 26566/2013).

Neppure la censura di mera apparenza della motivazione è fondata, in primo luogo, perchè meramente assertiva. Inoltre, l’argomentazione con cui la Corte di merito ha osservato che non era stata provata la violazione dei diritti fondamentali della persona del richiedente, in caso di rimpatrio, non è affatto apparente.

5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha omesso del tutto l’esame della domanda subordinata diretta al riconoscimento del diritto d’asilo costituzionale.

6. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte ha già affermato che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Sez. 6-1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016, Rv. 641324-01).

Ne consegue, essendo state già esaminate e rigettate le domande svolte dal ricorrente per il conseguimento della protezione internazionale ed umanitaria, e che tali istituti hanno dato piena attuazione al diritto d’asilo costituzionale, correttamente la Corte di merito non ha esaminato la domanda di asilo, non residuando più alcun margine residuale di diretta applicazione dell’art. 10 Cost.., comma 3.

Il rigetto del ricorso non comporta le conseguenze di cui all’art. 92 c.p.c., non essendosi il Ministero costituito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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