LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11329/2018 proposto da:
K.Y., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, per la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano, in persona del Dirigente pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 15/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paol, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, con decreto depositato il 15 marzo 2018, in parziale accoglimento del ricorso proposto da K.Y., cittadino del Mali, ha riconosciuto allo stesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rigettando la domanda di protezione internazionale.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non risultando a suo carico alcun fondato nè rilevante timore di persecuzione, sul rilievo che la lamentata minaccia proveniva da soggetto privato (lo zio), in relazione al quale avrebbe potuto rivolgersi alla autorità del luogo per ottenere tutela. Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, è stata evidenziata dal Tribunale l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, atteso che nel Mali la regione di provenienza del ricorrente (Kayes), posta a centro-ovest, non risultava direttamente coinvolta nel conflitto armato, seppur vi erano stati gravi violazioni di diritti umani (che avevano giustificato la concessione della protezione umanitaria).
Ha proposto ricorso per cassazione K.Y. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, costituendosi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis.
Lamenta il ricorrente che il decreto si è soffermato su alcune imprecisioni del suo racconto senza valutare le difficili condizioni personali in cui si trovava e senza escludere la sostanziale verità del fatto raccontato, non valutando quindi la sostanziale coerenza e plausibilità della narrazione.
Lamenta, inoltre, che non è stato attivato il potere istruttorio officioso ai fini della valutazione della credibilità del suo racconto.
2. Il motivo è inammissibile per genericità.
Nel presente motivo il ricorrente non ha indicato alcun elemento concreto attinente alla vicenda processuale che lo riguarda, di talchè le sue deduzioni avrebbero potute essere svolte con riferimento ad un qualunque procedimento. Si tratta per lo più di osservazioni generiche in ordine ai criteri di valutazione che devono seguirsi nei procedimenti di protezione internazionale.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, atteso che, in caso di rimpatrio nel paese d’origine, vi è il fondato timore che possa subire atti di persecuzione sufficientemente gravi, tali da rappresentare una grave violazione di diritti umani fondamentali.
In particolare, il ricorrente rischia di subire atti di violenza in relazione ai quali i soggetti statuali non sono in grado di fornire protezione.
6. Il motivo è inammissibile.
Anche tale motivo è palesemente generico, non avendo il ricorrente indicato alcun elemento concreto attinente alla vicenda processuale che lo riguarda, essendosi limitato ad osservazioni generali in ordine ai criteri di valutazione che devono seguirsi nei procedimenti per il riconoscimento dello status di rifugiati.
7. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.
Rileva che l’attuale situazione politico-sociale esistente in Mali e le gravi violazioni dei diritti umani evidenziate dai principali siti di informazione giustificano la concessione di tale forma di protezione.
In particolare, evidenzia che da un rapporto di Amnesty International del 2016-2017, emerge che vi è stato un intensificarsi del conflitto armato e il clima di instabilità dal nord si è propagato nelle zone centrali del paese, dove sono aumentati i gruppi armati che hanno compiuto attentati.
8. Il motivo è infondato ai limiti dell’inammissibilità.
Il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, atteso che nel Mali la regione di provenienza del ricorrente (Kayes), posta a centro-ovest, non risulta direttamente coinvolta nel conflitto armato, essendovi stati sporadici episodici di violenza, per lo più dovuti alle forze dell’esercito maliano che hanno commesso esecuzioni, torture e arresti arbitrari contro uomini accusati di sostenere i gruppi armati islamici.
Non vi è dubbio, peraltro, che le censure con cui il ricorrente invoca uno stato di diffusa ed indiscriminata violenza nella regione di sua provenienza si configurino come di merito – e come tali inammissibili – essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal Tribunale di Napoli e ad accreditare una diversa ricostruzione della vicenda processuale.
Infine, neppure allega il ricorrente di aver già sottoposto all’esame del Tribunale le informazioni tratte dal più recente rapporto di Amnesty International.
Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019