Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.12239 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29617/2017 proposto da:

ISLAND REFINANCING SRL, e per essa la società CERVED CREDIT MANAGEMENT SPA, in persona del Dott. M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AQUILEIA 12, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MORSILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO CONTRADA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.A., S.G., S.M.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VAL DI LANZO 79, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE IACONO QUARANTINO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO ATTANZIO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1374/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato IACONO QUARANTINO GIUSEPPE;

FATTI DI CAUSA

S.M.P., A. e G. convenivano in giudizio la Prelios Credit Servicing s.p.a. formulando opposizione al precetto notificato loro il 15 novembre 2011 da parte della società stessa in nome e per conto della Island Refinancing s.r.l., con cui era stato richiesto il residuo di un mutuo fondiario originariamente accordato dal Banco di Sicilia ai danti Causa degli opponenti, S.F. e M.N.S.. Esponevano che:

– il Banco di Sicilia, aveva notificato ai menzionati danti causa un primo precetto a seguito del quale aveva proceduto a notificazione di un atto di pignoramento immobiliare trascritto il 3 novembre 1989;

– dopo alcune cessioni, il credito era divenuto di titolarità attiva della Island Refinancing s.r.l., mandante della società Prelios convenuta;

– deceduti gli originari debitori, il contratto di mutuo fondiario era stato nuovamente notificato nel giugno 2011;

– la procedura esecutiva era stata dichiarata estinta il 12 maggio 2011 per mancata rinnovazione, nel ventennio, della trascrizione del pignoramento;

– il 15 novembre 2011 era stato notificato ai deducenti un nuovo atto di precetto.

Ciò premesso, gli opponenti deducevano l’estinzione del credito per prescrizione decennale.

Il tribunale, davanti al quale si costituiva resistendo la Island Refinancing, s.r.l., quale titolare effettiva del credito, accoglieva l’opposizione, con pronuncia confermata dalla corte di appello che, innanzi tutto, disattendeva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’opposta in considerazione del fatto che la statuizione di primo grado era stata adottata nei confronti di una diversa società, ossia la Prelios. Osservava la corte territoriale che quest’ultima aveva agito quale mandataria con rappresentanza della Island, spendendone il nome, sicchè la sentenza di primo grado produceva effetti nei confronti della stessa. Nel merito, rilevava che con l’estinzione della procedura esecutiva era venuto meno l’effetto interruttivo permanente determinato dall’introduzione del processo esecutivo, sicchè, dal primo al secondo precetto, era maturata la prescrizione. Rigettava di conseguenza l’appello.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la Cerved Credit Management, s.p.a., quale mandataria con rappresentanza della Island Refinancing, s.r.l., articolando sei motivi.

Resistono con controricorso S.M.P., A. e G. che hanno, altresì, depositato memoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo si prospetta la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 161 c.p.c., in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato in punto di legittimazione passiva, omettendo di considerare che la decisione di prime cure, essendo stata pronunciata nei confronti della società Prelios, non poteva esplicare effetti riguardo alla deducente seppure mandante, sicchè avrebbe dovuto dichiararsi nulla la decisione del tribunale in quanto rivolta a soggetto diverso dal titolare del credito azionato, ossia la stessa società Island che pure si era costituita davanti al giudice di primo grado.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., comma 2, art. 2945 c.c., comma 2, in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo considerare che la prescrizione era stata interrotta dalla domanda di pagamento spiegata resistendo nel giudizio di opposizione all’esecuzione introdotto dai debitori, nel 2003, in ragione dei pagamenti effettuati, e definito dal tribunale, all’esito di una consulenza officiosa contabile, con sentenza di rigetto del 2008, passata in cosa giudicata, i cui effetti, sul punto, non potevano dirsi elisi dalla dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2945 c.c., in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che la prescrizione era stata interrotta dai pagamenti parziali, rilevati dalla sopra ricordata consulenza contabile, non effettuati a titolo di saldo sebbene senza una specifica quanto non necessaria indicazione che li qualificasse acconti; così come analogo effetto interruttivo era stato determinato dalle proposte di rateizzazione del debito.

Con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2945 c.c., in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che le proposte transattive dei debitori, fino all’ultima del 2009, avevano implicato il riconoscimento del debito, saldandosi alla mancata impugnazione della sentenza di rigetto dell’opposizione all’esecuzione, cui non poteva che attribuirsi il significato di acquiescenza rispetto alla pretesa creditoria.

Con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2945 c.c., in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che le domande di conversione e riduzione del pignoramento, dichiarate inammissibile la prima e rigettata la seconda, avevano interrotto la prescrizione.

Con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 17 marzo 1999, n. 64, art. 1 bis, convertito dalla L. 14 maggio 1999, n. 134, in relazione all’art. 2945 c.c., in uno all’insufficiente e contraddittoria motivazione, poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che l’estinzione della procedura esecutiva per mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento, analogamente a quanto previsto a seguito dell’introduzione dell’estinzione per mancata produzione nei termini della documentazione ipocatastale, doveva ritenersi determinare la caducazione dell’effetto interruttivo della prescrizione con nuova decorrenza dalla dichiarazione estintiva medesima, altrimenti vanificandosi irragionevolmente la tutela creditoria esercitata con un processo esecutivo pendente, nel caso, per 22 anni.

2. Preliminarmente deve disattendersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, formulata in controricorso, poichè l’esposizione dei fatti processuali è sufficiente e non eccedente rispetto alla finalità, cui deve parametrarsi, di comprensione dei motivi.

3. Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato.

3.1. E’ necessario premettere che non è ammissibile, per questo motivo come per gli altri, la deduzione di violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di appello del 2013, e quindi risultando applicabile l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (cfr., da ultimo, sulla disciplina temporale, Cass., 11/05/2018, n. 11439).

Al contempo, parte ricorrente non ha dimostrato, per evitare l’inammissibilità del motivo in parola, che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, siano state tra loro diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774).

Tutto ciò fermo restando, d’altro canto, che alla fattispecie sarebbe stata applicabile la previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile – con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940).

Ed è evidente, per questa censura come per le successive, che le critiche alla decisione di prime cure non intercettano in alcun modo il nuovo perimetro del vizio motivazionale denunciabile, declinandosi come denunce in diritto anche, nella prospettazione proposta, sotto il profilo della sussunzione dei fatti vagliati nel corretto regime applicabile, ma in nessun caso, come man mano si constaterà, nei termini normativamente focalizzati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “ratione temporis” applicabile.

3.2. La ricorrente, dunque, non censura specificatamente e idoneamente la “ratio decidendi” con cui la corte territoriale ha ritenuto la società Island stessa legittimata passivamente poichè attrice in prime cure a mezzo della società Prelios, che della prima aveva speso il nome quale mandataria con rappresentanza.

La critica si risolve in un’apodittica affermazione di un preteso carattere dirimente della titolarità del credito che non si misura con la dinamica implicata dalla rappresentanza sostanziale affiancata, come detto, al mandato.

E’ opportuno ribadire che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni idoneamente intellegibili ed esaurienti, intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della dedotta violazione: risulta quindi inadeguatamente formulata la deduzione di errori di diritto non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., ad es., Cass., 29/11/2016, n. 24298).

4. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

Per chiarezza è necessario innanzi tutto scrutinare le conseguenze della c.d. “estinzione” – quale dichiarata – della procedura esecutiva per mancato rinnovo della trascrizione del pignoramento nel ventennio.

Si tratta di un caso di c.d. “estinzione” c.d. atipica, poichè diversa dal regime enucleabile dall’art. 629 c.p.c. e ss..

Ricostruttivamente, dunque, deve ritenersi più appropriato parlare di chiusura anticipata del processo esecutivo (Cass., 10/05/2016, n. 9501), in ragione della perdita di efficacia della trascrizione dell’atto con cui è stato staggito il bene aggredito, per difetto di sua rinnovazione nel termine legale.

Quest’ultimo termine è stato previsto con l’introduzione dell’art. 2688 ter c.c., operata dalla L. 18 giugno 2009 n. 69, art. 62.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass., 25/03/2002, n. 4203) ha avuto modo di chiarire che tra gli atti interruttivi della prescrizione viene in rilievo anche quello con cui si introduce il processo esecutivo (art. 2943 c.c., comma 1), e che a questo atto l’art. 2945 c.c., comma 2, ricollega l’effetto interruttivo permanente sino al momento in cui il procedimento coattivo stesso giunga a un risultato che possa considerarsi equipollente a ciò che la medesima norma individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Il che si verifica quando il processo di esecuzione abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva, in tutto o in parte, del suo diritto, ovvero, alternativamente, “quando la realizzazione della pretesa esecutiva non sia conseguita per motivi diversi dall’estinzione del processo, quali, ad esempio, la mancanza o l’insufficienza del ricavato delle vendita, la perdita successiva del bene assoggettato ad espropriazione e simili” (Cass., n. 4203 del 2002, cit., pag. 17).

La “ratio”, nella logica della disciplina della prescrizione, è evidente: quando penda il processo, anche esecutivo, la condotta del creditore non può dirsi inerziale e quindi significativa ai fini dei riflessi sulla persistenza del diritto; mentre, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, quando quel processo si chiuda per mancanza d’iniziativa del creditore, che non lo coltivi come la legge impone, allora quella permanenza dell’effetto viene meno, fermo l’originario atto interruttivo che, pertanto, riprende un effetto istantaneo.

In questo senso l’arresto appena richiamato distingue, cioè, l’estinzione tipica, che si correli a condotte inattive, inerziali o, come logico, rinunciatarie, da quella c.d. atipica, che si sostanzi, come anticipato, in un’inidoneità a proseguire il processo esecutivo per impossibilità oggettiva di raggiungere il suo scopo, come nelle ipotesi di perdita del bene o mancanza di attivo.

Posto questo sotteso ricostruttivo, l’ipotesi di chiusura anticipata conseguente al mancato rinnovo nei termini della trascrizione del pignoramento, sebbene ulteriore e distinta rispetto al novero delle fattispecie estintive codicistiche, rientra nella categoria delle dinamiche conclusive del procedimento riconducibili alla connotazione inerziale della condotta del creditore. Il processo esecutivo si chiude perchè il creditore non lo ha coltivato come necessario.

Questa cornice giustifica l’applicazione dell’art. 2945 c.c., comma 3, anche nella corretta chiave restrittiva propria della disciplina delle eccezionali ipotesi interruttive (come sospensive) della prescrizione del diritto:

non ogni chiusura ma tutte quelle strutturalmente rispondenti alla inerzia del creditore.

In tal modo l’interpretazione sarà estensiva e compiuta, non analogica. Si manterrà cioè nel perimetro di estensione massima della locuzione “estinzione”, quale può semanticamente intendersi in quanto collocata nella disciplina della prescrizione e non in quella, appunto, dell’estinzione del processo esecutivo.

D’altra parte, come osservato dal pubblico ministero in udienza, la legislazione ha progressivamente esteso l’utilizzo del termine “estinzione” del processo esecutivo a ipotesi affatto riconducibili a quelle definibili, quindi, meglio, come originariamente tipiche del codice di rito: si pensi al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 55, comma 2, secondo periodo, recante il c.d. codice antimafia, quale modificato dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161. In quel caso si prevede che “le procedure esecutive si estinguono in relazione ai beni per i quali interviene un provvedimento definitivo di confisca”, al di fuori, pertanto, di qualsiasi connotazione ascrivibile al creditore procedente.

Ne consegue che, ai fini in parola, il discrimine sarà non tanto tra estinzione tipica e atipica, quanto tra chiusura imputabile o meno al creditore procedente.

Nè si potrebbe invocare in contrario, come vorrebbe parte ricorrente, il D.Lgs. 17 marzo 1999, n. 64, art. 1 bis, convertito dalla L. 14 maggio 1999, n. 134.

Tale norma fu dettata specificatamente in relazione all’introduzione dell’estinzione per mancato deposito della documentazione ipocatastale, e risulta eccezionalmente derogatoria della disciplina codicistica rispetto a essa generale (Cass., 22/02/2018, n. 4366, pag. 4), e come tale non applicabile fuori dello specifico caso cui si riferisce.

Si trattò, in effetti, di norma introdotta per bilanciare le esigenze di buona amministrazione della giustizia con quelle riferibili alla tutela del credito, così da bilanciare gli effetti della rilevante novità normativa (Cass., 11/10/2006, n. 21733, pagg. 7-8). Ma quella scelta normativa, senza una sua precisa reiterazione nel caso qui in scrutinio, resta circoscritta al suo dichiarato perimetro, trattandosi di un’opzione legislativa discrezionale e di fattispecie la cui diversità esclude ogni dubbio d’irragionevole discrasia.

D’altra parte, il legislatore, doverosamente, introducendo il termine di efficacia della trascrizione del pignoramento, ha previsto che, qualora il termine risultasse già spirato al momento della novità legislativa in discussione, la parte interessata avrebbe potuto provvedere al rinnovo entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge (L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 4), in ciò contenendo, come possibile, la disciplina transitoria e il bilanciamento degli interessi.

Nella fattispecie originante l’odierno processo, il ventennio, invece, spirò alcuni mesi dopo l’entrata in vigore della legge, e il creditore ebbe quindi ogni possibilità di effettuare la rinnovazione invece mancata.

Conclusivamente va affermato il seguente principio di diritto: in tema di prescrizione, l’effetto interruttivo permanente determinato dall’introduzione del processo esecutivo si conserva, agli effetti dell’art. 2945 c.p.c., comma 2, quando la chiusura della procedura coattiva consista nel raggiungimento dello scopo della stessa ovvero, alternativamente, il suddetto scopo non sia raggiunto ma la chiusura del procedimento sia determinata da una condotta non ascrivibile al creditore procedente, mentre, in ipotesi opposta a quest’ultima, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, l’effetto stesso resterà istantaneo.

4.1. Per le ragioni appena individuate è corretta in diritto la decisione della corte territoriale che ha ritenuta maturata la prescrizione decennale tra il primo atto di precetto, del 1989, e il secondo del 2011.

Nè si può affermare sussistere alcun errore di diritto in ordine all’esclusione di atti interruttivi “medio tempore”.

Al riguardo, è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha progressivamente chiarito che quando il creditore chieda il rigetto dell’opposizione a precetto, si realizza un’attività processuale rilevante ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 2, con la conseguenza che, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 2, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (Cass., 19/09/2014, n. 19738, Cass., 29/03/2007, n. 7737). Ma è anche vero che, nell’ipotesi, come evidenziato in controricorso, la resistenza all’opposizione a precetto risulta essere stata (nel 2002) successiva al maturarsi della prescrizione (nel 1999).

Quanto, poi, ai pagamenti parziali e alle proposte transattive, nonchè ai pretesi effetti delle domande di riduzione e conversione del pignoramento, per un verso vi è, a tratti, violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè non viene riportato il contenuto degli atti processuali invocati, per altro verso le denunce si risolvono, comunque, in un tentativo di rilettura istruttoria come tale in questa sede inammissibile.

La corte territoriale, infatti, ha spiegato che non vi era prova di pagamenti effettuati in acconto, al contempo militando in senso opposto quanto emergente dalla sentenza a definizione dell’opposizione all’esecuzione del 2008, che dava conto del fatto che era stata dedotta l’estinzione del debito per suo pagamento (pag. 5 della sentenza gravata).

Va ricordato ancora che non può venire in rilievo il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè si deve registrare l’accertamento emergente dalla sentenza di appello in ordine al fatto che non risultavano erogazioni interpretabili in fatto come acconti. Così come non è dato neppure rilevare la tempistica di tali atti, che sarebbe stata in tesi utile, soprattutto in termini di corretta sussunzione degli atti di adempimento parziale, solo ove antecedente al 1999: in ricorso (pag. 36) si colloca, in particolare, a decorra al 1996 la cessione di mensilità locatizie trimestrali, che sarebbe emersa in specie dalla consulenza contabile effettuata nel giudizio di opposizione all’esecuzione introdotto nel 2003, indicata come prodotta in questo giudizio in primo grado, ma si tratta di date non risultanti nell’accertamento fattuale della sentenza qui impugnata, e dal quale, per le ragioni sopra più volte richiamate, si deve prendere le mosse.

Analogamente, la corte territoriale ha accertato e spiegato che le proposte transattive – anch’esse non compiutamente collocabili in tempi rilevanti ai fini in parola – non potevano ritenersi fattualmente implicare alcuna ammissione del maggior debito, poichè erano strettamente legate all’azione esecutiva e alla pendenza della vendita coattiva dell’immobile. Così come ha accertato e spiegato, ancora in fatto, che nessun equivalente significato poteva evincersi dalle istanze di riduzione e conversione del pignoramento, peraltro del 2010 e quindi successive allo spirare della prescrizione come sopra rilevato.

Alla stessa conclusione deve poi giungersi quanto a una possibile rinuncia implicita alla prescrizione, non ben focalizzata come distinto motivo di ricorso ma a tratti evocata nello stesso anche se solo e aspecificamente con citazioni di precedenti, proprio perchè si va a infrangere nei medesimi limiti inerenti alle ricostruzioni di merito della corte territoriale.

5. Spese secondo soccombenza.

Sussistono i presupposti “ratione temporis” per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 10.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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