Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.12256 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18759/2017 proposto da:

ASJA AMBIENTE ITALIA SPA, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA ORIANI 85, presso lo studio dell’avvocato VALERIO DI GRAVIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO AURITI;

– ricorrente –

contro

E DISTRIBUZIONE SPA, in persona del procuratore D.C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4141/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 28/6/2016, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta da Asja Ambiente Italia s.p.a. per la condanna di Enel Distribuzione s.p.a. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice a seguito del ritardo con il quale la società convenuta aveva provveduto alla definitiva realizzazione delle opere infrastrutturali e al concreto allacciamento alla rete elettrica nazionale dell’impianto eolico di produzione di energia elettrica di proprietà dell’attrice;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il primo giudice avesse correttamente escluso alcun profilo di responsabilità dell’Enel in relazione alle pretese avversarie, dovendo, da un lato, escludersi la prospettabilità di alcuna ipotesi di responsabilità precontrattuale in capo all’Enel e, dall’altro, dovendo escludersi l’avvenuta sottrazione dell’Enel agli obblighi assunti sul piano negoziale nei confronti della società avversaria, avendo la stessa realizzato le infrastrutture richieste, ai fini dell’allacciamento oggetto d’esame, nei termini e nei tempi previsti dagli accordi conclusi tra le parti;

che, sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato come la Asja s.p.a. non avesse provveduto a impugnare l’autonoma ratio decidendi fatta propria dal primo giudice con riguardo al rispetto, da parte di Enel s.p.a., dei tempi di esecuzione contrattuale connessi alla rilevata conclusione, nell’agosto del 2005, del contratto oggetto di causa, essendosi limitata a contestare la sola collocazione temporale dell’epoca di conclusione del contratto (avvenuta, secondo la prospettazione dell’attrice, nell’ottobre del 2003);

che, avverso la sentenza d’appello, Asja Ambiente Italia s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che E-Distribuzione s.p.a. (già Enel Distribuzione s.p.a.) resiste con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che, con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2597,2697,1337 e 1218 c.c., D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 3, nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte d’appello erroneamente escluso la prospettabilità di una responsabilità precontrattuale dell’Enel s.p.a. in relazione all’eccessività del lasso temporale intercorso tra la richiesta di progettazione finalizzata alla realizzazione dell’allacciamento del proprio impianto alla rete elettrica nazionale avanzata da Asia Ambiente s.p.a. nel febbraio del 2003, e la risposta fornita dall’Enel nell’ottobre dello stesso anno, non avendo l’Enel fornito alcuna prova dell’impossibilità di rispettare il più breve lasso di tempo pari a venti giorni previsto nel documento (dello stesso Enel) denominato ***** contenente le modalità e le condizioni contrattuali per l’erogazione, da parte di Enel Distribuzione s.p.a., del servizio di connessione alla rete elettrica; da tanto desumendosi l’illegittima omissione, da parte del giudice a quo, dell’esame di detto documento;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la società ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dell’Asja Ambiente Italia s.p.a., l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, sul punto, infatti, non può dirsi censurata, nel caso di specie, un’ipotesi di falsa applicazione di legge eventualmente implicita nell’affermazione circa l’insussistenza, in generale, di forme di responsabilità precontrattuale in presenza di attività negoziali procedimentalizzate, o in relazione a un’ipotetica inversione di fatto degli oneri probatori in tema di inadempimento delle obbligazioni, avendo il primo giudice espressamente attestato come proprio nel caso concreto fosse mancata l’instaurazione di una trattativa potenzialmente foriera di danni precontrattuali, e come proprio nel caso concreto difettasse il ricorso di elementi suscettibili di giustificare la valutazione di incongruità del tempo occorso per la risposta, da parte di Enel Distribuzione s.p.a., alle richieste di progettazione della società istante;

che tali indicazioni, in particolare, valgono a integrare gli estremi di un ordinario ragionamento d’indole presuntiva, in forza del quale la considerazione in sè del tempo trascorso nei meccanismi di interlocuzione tra le parti, non essendo corroborata da altri elementi di conferma o di riscontro circa la ragionevole intollerabilità del ritardo denunciato (e non individuando, i venti giorni previsti dalla modulistica ***** fornita dall’Enel, gli estremi di un termine perentorio), non fosse valsa di per sè a consentirne la qualificazione in termini di incongruità negoziale in relazione al soddisfacimento della richiesta di progettazione, attesa la complessità delle valutazione normative, tecniche ed economiche, rimesse all’impegno dell’Enel (cfr. pag. 6 della sentenza d’appello);

che, pertanto, pur volendo condividere la qualificazione in termini contrattuali della responsabilità per culpa in contrahendo (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016, Rv. 640485-01), mancherebbe nella specie, proprio sul piano dell’assolvimento degli oneri probatori delle parti, la dimostrazione, da parte della società ricorrente, dell’esistenza stessa di un evento di danno (il ritardo) suscettibile di giustificare l’individuazione di conseguenze pregiudizievoli meritevoli di risarcimento;

che, dunque, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norme di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892);

che, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, al riguardo, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, ciò posto, occorre rilevare l’inammissibilità della censura in esame, avendo la ricorrente propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, della documentazione asseritamente dalla stessa non esaminata, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

che, infatti, la corte territoriale ha espressamente evidenziato l’irriconoscibilità di alcuna rilevanza (alla stregua di un’attività concretamente inquadrabile in chiave precontrattuale, suscettibile di rilevare anche in relazione al principio di buona fede di cui all’art. 1337 c.c.) dei contatti intercorsi tra le parti in epoca anteriore a (quella che la stessa corte d’appello ha ritenuto essere) la prima effettiva richiesta di Asja, nel 2005, diretta a sollecitare l’avvio del procedimento negoziale finalizzato alla realizzazione delle infrastrutture oggetto di causa;

che, dunque, la questione concernente l’omesso esame della pretesa rilevanza di un documento (il modulo *****) riferito a una fase della relazione tra le parti che la stessa corte territoriale ha espressamente ritenuto come non rilevante sul piano precontrattuale (e come tale inidonea a dar luogo a obbligazioni od oneri di comportamento specifici governati dal criterio di buona fede di cui all’art. 1337 c.c.) risulta prospettata in termini non decisivi, poichè la società ricorrente non specifica il modo in cui l’eventuale considerazione di quel documento avrebbe modificato con certezza la valutazione sulla rilevanza giuridica, in termini precontrattuali, del comportamento tenuto dalle parti in quello specifico arco di tempo;

che, conseguentemente varrà rilevare come, attraverso le odierne censure, la ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità;

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, consistente nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nonchè per violazione dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente dichiarato inammissibile il motivo di gravame con il quale Asja Ambiente Italia s.p.a si sarebbe limitata a contestare la sola collocazione temporale dell’epoca di conclusione del contratto tra le parti (avvenuta, secondo la prospettazione della corte territoriale, nel corso dell’anno 2005, là dove, secondo la ricostruzione dell’attrice, tale conclusione avrebbe dovuto collocarsi in corrispondenza dell’anno 2003) senza censurare l’autonoma ratio decidendi fatta propria dal primo giudice in ordine all’avvenuto rispetto, da parte di Enel Distribuzione s.p.a., dei termini procedimentali previsti dagli accordi del 2005, dovendo viceversa assumersi che il rilievo di tale ultima ratio decidendi doveva ritenersi necessariamente implicata, in termini logici, dalla risoluzione della prima questione, con la conseguenza che l’impugnazione di tale prima questione, da parte di Asja s.p.a., non poteva non coinvolgere anche la successiva ragione argomentativa illustrata nella decisione del primo giudice, con la conseguente illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto emessa dal giudice d’appello;

che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 329 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale – sull’erroneo presupposto della mancata impugnazione della ratio decidendi fatta propria dal primo giudice in ordine all’avvenuto rispetto, da parte di Enel Distribuzione s.p.a., dei termini procedimentali previsti dagli accordi del 2005 – illegittimamente omesso di pronunciarsi su un motivo di appello riguardante tale punto della sentenza di primo grado, riconoscendo ingiustificatamente l’intervenuta acquiescenza dell’appellante in relazione a tale statuizione;

che entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

che, preliminarmente, dev’essere destituito di alcuna rilevanza il richiamo (contenuto nel terzo motivo) alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la corte territoriale espressamente sottolineato come il motivo d’appello dalla stessa ritenuto inammissibile dovesse ritenersi tale in ragione della carenza di interesse della società appellante, non avendo quest’ultima interposto alcuna impugnazione sull’autonoma diversa ratio decidendi individuata dal primo giudice a fondamento del rigetto della relativa domanda, in tal modo assumendo una specifica decisione su detto motivo di appello, eventualmente censurabile in relazione all’ipotetica violazione di altre norme, necessariamente diverse da quella di cui all’art. 112 c.p.c.;

che, con riguardo ai profili della contestata acquiescenza e della denunciata incongruità della motivazione (anche sotto il profilo del rispetto dell’art. 111 Cost.), osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);

che siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;

che è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);

che nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa l’odierna ricorrente con i motivi d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente interpretato i termini e i contenuti dell’atto d’appello, ed omesso di decidere su taluni motivi di gravame (sia pure implicitamente) proposti con tale atto, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa allegazione in ordine al medesimo atto di appello (e al relativo contenuto) attraverso il quale (secondo l’odierna ricorrente) sarebbero stati sottoposti a censura (sia pure in modo indiretto) le considerazioni svolte dal primo giudice in relazione al corretto adempimento, da parte dell’Enel Distribuzione s.p.a., degli obblighi assunti in sede procedimentale per la realizzazione delle opere infrastrutturali oggetto di causa, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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