LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Domenico – rel. Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28455/2017 R.G. proposto da:
Trasporti CAAIR Soc. Coop. a r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Sebastiano Zorzi;
– ricorrente –
contro
UnipolSai Assicurazioni S.p.A., Agenzia Generale di Ragusa, rappresentata e difesa dall’Avv. Sebastiano Leone, con domicilio eletto in Roma, via Banco di Santo Spirito, n. 48, presso lo studio dell’Avv. Augusto D’Ottavi;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa, n. 1027/2017, pubblicata il 19 settembre 2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Ragusa, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dalla Trasporti CAAIR Soc. Coop. a r.l. avverso decreto ingiuntivo nei suoi confronti emesso, su ricorso della Fondiaria Sai (ora UnipolSai) S.p.A., per il pagamento della rata semestrale relativa al periodo 19/4 – 19/10/2011 del premio assicurativo di una polizza infortuni: opposizione proposta dall’ingiunta sull’assunto che il contratto era cessato alla data del 19/4/2010, ai sensi dell’art. 6.9 del contratto, per effetto di disdetta comunicata con raccomandata del 15/7/2009 inviata dal proprio procuratore, Avv. L.M..
Tale tesi dell’opponente è stata infatti disattesa dal giudice d’appello in base al triplice rilievo per cui:
– la norma contrattuale deve essere interpretata nel senso che la facoltà di recesso è consentita con riferimento alla scadenza non della singola rata di pagamento del premio annuale, ma del contratto (scadenza nella specie fissata dalle parti alla data del 19/4/2016), sebbene non è esclusa una facoltà delle parti di recedere anticipatamente, mediante lettera raccomandata, da regolamentare, in assenza di pattuizioni sul punto, secondo le norme del codice civile;
– la lettera del 15/7/2009 non può ritenersi valida ed efficace ai sensi del predetto art. 6.9 del contratto, non potendosi dal suo stesso tenore ricavare in maniera inequivoca un potere di rappresentanza della società in capo al suo sottoscrittore (attesa l’erronea indicazione del nominativo del legale rappresentante della società, ” B.” anzichè ” B.”, e considerato anche che in essa se ne affermava la contestuale sottoscrizione “per incarico e per accettazione”, in realtà mancante nell’originale prodotto in giudizio dall’opposta/appellante);
– la stessa ingiunta ha peraltro pagato la rata semestrale maturata successivamente alla predetta cessazione del contratto per disdetta, con ciò tenendo una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi della stessa.
3. Avverso tale decisione Trasporti CAAIR Soc. Coop. a r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste UnipolSai Assicurazioni S.p.A., rappresentata in giudizio dall’Agenzia Generale di Ragusa, depositando controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo la ricorrente – denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1703 c.c.; “violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione alla normativa contrattuale di cui al punto 6.9” – svolge tre diverse censure.
1.1. Con la prima lamenta vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui si è pronunciata sulla validità temporale del contratto assicurativo determinandola in dieci anni. Rileva che il tema del contendere era limitato al mancato pagamento della rata semestrale del premio assicurativo per il periodo dal 19/4/2011 al 19/10/2011. Rileva che peraltro l’assunto secondo cui la facoltà di recesso contrattualmente prevista andasse riferita alla scadenza decennale del contratto è smentito dallo stesso comportamento dell’agenzia assicuratrice che si è astenuta da qualunque richiesta di pagamento di ratei successivi alla scadenza del 2011.
1.2. La seconda censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la lettera di disdetta non manifestasse in maniera inequivoca il potere del legale che l’ha sottoscritta di agire in nome e per conto della rappresentata.
Rileva la ricorrente che il mandato professionale per l’espletamento di attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente per iscritto, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti.
Soggiunge che la decisione impugnata, in parte qua, viola la disciplina del mandato con rappresentanza, avendo ritenuto produttivi di effetti verso terzi “elementi che attengono esclusivamente al rapporto, mai controverso, tra mandante e mandatario”.
Rileva ancora che la lettera in questione era in doppio originale: la prima conservata presso lo studio dello stesso legale che l’ha sottoscritta, la seconda inviata all’agenzia assicurativa; circostanza, questa, che – assume – sebbene ben nota al giudicante non è stata dallo stesso considerata.
1.3. La successiva illustrazione del motivo torna a censurare l’interpretazione accolta in sentenza della clausola contrattuale, deducendone l’aperto contrasto con il suo contenuto.
Quindi si volge a considerare, in maniera ovviamente critica, l’ulteriore assunto secondo cui il pagamento successivamente effettuato con assegno del 29/12/2009 sia da imputare al corrispettivo relativo al semestre successivo al 19/4/2010, affermando che è invece tale pagamento era da imputarsi all’ultimo semestre anteriore alla scadenza conseguente alla disdetta (19/10/2009 – 19/4/2010).
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “insufficiente e contraddittoria motivazione circa il conferimento del mandato in favore del procuratore Avv. L.M.C. e, conseguentemente, l’errore in punto di condanna alle spese processuali ex art. 91 c.p.c.”.
La censura si riferisce all’argomento speso in sentenza per avvalorare il convincimento dell’assenza di prova univoca del potere di rappresentanza in capo al legale che ha inviato la disdetta, rappresentato dall’asserito, ma inesistente, errore nella indicazione del cognome del rappresentante legale della società.
Essa inoltre investe ancora la sentenza impugnata, lamentandone la contraddittorietà, nella parte in cui ha ritenuto che gli assegni versati dopo l’esercizio del diritto di recesso dimostrassero la volontà dell’assicurata di non avvalersi della disdetta. Afferma che “al contrario, dalla documentazione in atti emergeva che con la lettera del 15/7/2009 si disdettava la polizza a partire dal 19/4/2010 e che pertanto il pagamento del premio, quietanzato, sia imputabile ai periodi antecedenti la scadenza del 19/4/2010, come anche ratificato nella lettera a firma dell’Avv. Le.”.
3. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso opposta dalla controricorrente in ragione della mancata sottoscrizione autografa della attestazione di conformità della copia analogica della relata di notifica del ricorso effettuata a mezzo posta elettronica certificata.
Come noto le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo sulla questione, hanno affermato il principio secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli.
“Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente” (Cass. Sez. U. 24/09/2018, n. 22438).
Reputa il Collegio che l’eccezione opposta dalla controricorrente assolva detto onere e debba dunque condurre al sollecitato preliminare rilievo di improcedibilità del ricorso, non avendo la ricorrente provveduto nemmeno successivamente, e fino all’odierna adunanza camerale, a rimediare alla predetta omissione.
4. Può comunque rilevarsi che, ove il ricorso fosse stato procedibile, lo stesso sarebbe andato incontro ad una pronuncia di rigetto.
Due delle censure dedotte a fondamento del ricorso, da esaminarsi congiuntamente attesa l’intima connessione, si appalesano infatti rispettivamente una infondata l’altra inammissibile, con conseguente assorbimento dell’altra.
Ciascuno dei tre rilievi posti a fondamento della sentenza impugnata (facoltà di recesso riferita dal contratto alla scadenza decennale; mancata prova del potere di rappresentanza in capo al legale che ha sottoscritto la disdetta; successivo comportamento dell’assicurata implicante tacita rinuncia alla disdetta), costituisce invero autonoma ratio decidendi di per sè idonea a giustificare la decisione impugnata, indipendentemente dalle altre, con la conseguenza che il rigetto o l’inammissibilità anche di una sola di esse rende ininfluente l’esame della o delle rimanenti, ovvero ne comporta l’implicita inammissibilità, dal momento che, quand’anche fondate, non priverebbero comunque la decisione impugnata di valida giustificazione.
5. Detta valutazione di infondatezza/inammissibilità deve anzitutto esprimersi con riferimento al primo gruppo di censure, il quale investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la facoltà di recesso fosse contrattualmente riferibile alla scadenza decennale del contratto, e non a quella del periodico pagamento annuale del premio.
5.1. E’ infatti infondata la doglianza di ultrapetizione.
Il riferimento in sentenza alla durata decennale della polizza è infatti chiaramente funzionale alla valutazione degli effetti della disdetta e segnatamente alla individuazione della data in cui il rapporto avrebbe potuto considerarsi cessato per effetto della disdetta.
In tali termini non può dubitarsi che, fondato o meno che sia l’esito di tale valutazione, essa comunque fosse pienamente compresa nel thema decidendum.
5.2. Le censure che poi sono direttamente riferite all’esito di detta valutazione, sono inammissibili, in quanto dedotte in palese violazione dell’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 di specifica indicazione degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda.
La ricorrente omette infatti di trascrivere, o anche solo esaustivamente sintetizzare, il contenuto del contratto (quantomeno nelle parti direttamente o indirettamente rilevanti ai fini della questione trattata, limitandosi a estrapolarne soltanto una frase) e di indicarne la localizzazione nel fascicolo processuale.
5.3. Può ancora ad abundantiam rilevarsi che comunque la ricorrente allega presunti errori di interpretazione del contratto in modo generico e apodittico e comunque senza il rispetto dei limiti entro i quali tali errori possono essere dedotti nel giudizio di cassazione.
Mette conto al riguardo ricordare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti (indicazione peraltro anch’essa nella specie mancante), ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 09/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.
Nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con i criteri legali di ermeneutica negoziale.
Piuttosto le censure mosse col ricorso si risolvono nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione: in ultima analisi nella mera assertiva contrapposizione di un esito diverso dell’attività esegetica riservata al giudice del merito e legittimamente nella specie compiuta.
6. Altresì inammissibile, per palese violazione degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, è la censura che investe il terzo fondamento motivazionale della sentenza (successivo comportamento dell’assicurata implicante tacita rinuncia alla disdetta).
6.1. Lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono errate e del motivo per le quali questi dovrebbero considerarsi tali, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito.
Anche il vizio di motivazione viene invero dedotto in modo difforme da quanto disposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè quale omesso esame di fatto decisivo e controverso.
Anche in tale parte il ricorso fa peraltro riferimento a documenti del tutto genericamente indicati, senza trascriverne il contenuto o comunque offrirne una esaustiva sintesi e senza localizzarli nel fascicolo processuale quale acquisito nel presente giudizio di legittimità, in violazione dell’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.
7. Per le ragioni già dette, resta assorbito l’esame dell’ulteriore gruppo di censure riferito alla ritenuta inefficacia della disdetta per difetto (di prova) del potere di rappresentanza in capo al legale che la sottoscritta per conto della società.
8. Inammissibile, perchè nemmeno illustrata, è infine la doglianza riferita, nel secondo motivo, alla condanna alle spese processuali.
Ne è peraltro palese l’infondatezza, risultando tale statuizione pienamente coerente al principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
9. Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019
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