LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26272-2017 proposto da:
M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE 22, presso lo studio dell’avvocato BAFFA COSTANTINO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
*****, in persona dell’Amministratore pro tempore, M.G.S., F.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 88, presso lo studio dell’avvocato CALLEA ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato REDA PAOLO;
– controricorrenti –
contro
ALCH SRL;
– intimata –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di PAOLA, depositata il 05/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/12/2018 dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO.
RITENUTO
Che, con ricorso notificato il 4 novembre 2017 e affidato ad un unico motivo, M.F. ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Paola, in data 5 aprile 2017, che ne dichiarava inammissibile il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso le ordinanze – la prima ex art. 495 c.p.c., comma 5, di decadenza dal beneficio della conversione del pignoramento e la seconda, conseguenziale, ex art. 569 c.p.c. di nomina del perito estimatore – assunte dal G.E. nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, delle quali il reclamante aveva chiesto la revoca;
che il Tribunale rilevava che nessuna delle due ordinanze anzidette aveva natura cautelare, non potendo quindi essere oggetto di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. in forza dell’art. 624 c.p.c., riferendosi quest’ultima norma “in maniera specifica all’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione proposta nell’ambito delle opposizioni esecutive”, “circostanza che non rileva(va) nel caso de quo che resistono con congiunto controricorso F.R., S.M. e il *****, mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata Alch s.r.l.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
CONSIDERATO
Che, con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,669-terdecies, 624 e 618 c.p.c. per aver il Tribunale, in contrasto con il precedente di cui a Cass. n. 6012/2012, erroneamente dichiarato inammissibile il reclamo proposto avverso le ordinanze del GE, omettendo di decidere sulla domanda di sospensione della procedura esecutiva e di ripristino del beneficio della conversione ex art. 495 c.p.c., con le relative conseguenze sulla nomina del perito;
che il ricorso, già alla stregua della prospettazione stessa di parte ricorrente, è inammissibile, in quanto il provvedimento con il quale il tribunale, in sede di reclamo ai sensi degli artt. 669-terdecies e 624 c.p.c., decida sull’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione in ordine all’istanza di sospensione avanzata dall’opponente in un giudizio di opposizione agli atti esecutivi ha natura cautelare e provvisoria ed è per tale ragione privo dei caratteri della decisorietà e della definitività; sicchè, se ne deve escludere la ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. anche nell’ipotesi in cui il giudice del reclamo abbia ritenuto inammissibile il mezzo di gravame, essendo comunque consentito alle parti, sia nel regime dell’art. 624 c.p.c. come riformato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, quanto in quello successivo di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, l’accesso alla tutela a cognizione piena a prescindere dal tipo di esito della fase cautelare (tra le altre, Cass. n. 11243/2010, Cass. n. 11306/2011, Cass. n. 9371/2014, Cass. n. 1176/2015), con la conseguenza che, nella specie, soltanto a seguito di opposizione agli atti contro i provvedimenti emessi dal GE sarebbe stato possibile, all’esito dei relativi giudizi, ricorrere per cassazione;
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo; non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Va, infine, rilevato che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di “respingimento integrale” dell’impugnazione, anche incidentale, competendo in via esclusiva all’Amministrazione valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, spetti in concreto la doppia contribuzione. Ne consegue che, qualora l’Amministrazione constati l’esenzione o la prenotazione a debito (come nel caso di patrocinio a spese dello Stato), le ulteriori deliberazioni rimangono di sua spettanza ed è contro di esse che potrà estrinsecarsi la reazione della parte, mediante i mezzi di tutela avverso l’eventuale illegittima pretesa di riscossione, senza che l’attestazione del giudice civile possa leggersi come di debenza della doppia contribuzione, non avendo essa tale oggetto (Cass. n. 13055/2018).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019