Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12291 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2761-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 121, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE VETERE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SAN LUCIDO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANTA DI COSTANZA 39, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE PERROTTA, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIO GARRITANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1639/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE ALFONSINA.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Catanzaro, a conferma della sentenza del Tribunale di Paola, ha rigettato il ricorso di F.A., lavoratore socialmente utile presso il Comune di S. Lucido dal 2002 al 2010, volto a sentir dichiarare l’estraneità del proprio rapporto di lavoro al tipo legale LSU/LPU e la natura subordinata dello stesso, con conseguente condanna del Comune al pagamento delle differenze retributive sulla base del CCNL per il personale degli Enti locali e alla ricostruzione della posizione contributiva;

la Corte territoriale ha affermato che le prestazioni svolte dall’appellante rientravano pienamente nelle attività previste per i lavori socialmente utili (e di pubblica utilità) dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1, commi 1 e 2 (e dalla convenzione intercorsa tra il Comune e la Regione ai sensi della L.R. n. 4 del 2001);

quanto all’accertamento circa la natura subordinata del rapporto per avere l’appellante svolto ore di lavoro eccedenti la durata annuale del contratto, la Corte d’appello ha dichiarato la domanda inammissibile, perchè prospettata per la prima volta in appello, e, altresì infondata nel merito, atteso che la stessa legge applicabile ratione temporis alla fattispecie (D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, comma 2) contemplava la possibilità di rinnovo, oltre l’anno, dei contratti di LSU/LPU, con una riduzione del 50 per cento dell’assegno a carico dell’ente locale;

in merito alla valorizzazione, da parte dell’appellante, dell’elemento fattuale del superamento dell’orario di lavoro quale indicatore della natura subordinata del rapporto, il giudice dell’appello ha accertato che la convenzione tra Comune e Regione (con l’annesso disciplinare), aveva espressamente disciplinato l’eventuale prestazione di ore integrative rispetto a quelle mensilmente stabilite, a fronte della corresponsione di maggiorazioni e riposi compensativi;

la cassazione della decisione è domandata da F.A. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; resiste con controricorso il Comune di S. Lucido;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

con primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 345 c.p.c.”; la decisione gravata si baserebbe su erronei presupposti fattuali: in primo luogo il rapporto di lavoro non avrebbe superato la durata stabilita dal D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, comma 2 (sei mesi rinnovabili per altri sei); in secondo luogo il lavoratore avrebbe chiarito, fin dal ricorso introduttivo di primo grado, le ragioni per le quali le mansioni svolte erano da ritenersi estranee ai lavori socialmente utili;

richiama la giurisprudenza di legittimità a sostegno della propria tesi, secondo cui, con la richiesta di applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4, comma 2, lungi dall’introdurre una domanda nuova, il ricorrente intendeva introdurre una diversa qualificazione del rapporto;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – art. 345 c.p.c. e D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4 e D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 7”;

sostiene che essendosi protratto il rapporto di lavoro per molti anni, in violazione del citato D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4comma 2, anche a non voler ammetterne la conversione, la Corte d’appello avrebbe comunque errato nel negare al ricorrente – per il periodo eccedente l’anno di durata contrattualmente convenuto e in virtù del contenuto mutevole della prestazione – il riconoscimento del diritto alle differenze retributive e alla ricostruzione della posizione contributiva in base all’art. 2126 c.c. (norma pacificamente applicabile ai lavori socialmente utili);

il motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

in tema di qualificazione normativa dei lavori socialmente utili o per pubblica utilità, questa Corte suole valorizzarne la matrice assistenziale e la componente formativa, non escludendo che in concreto il rapporto possa atteggiarsi come subordinato, ma ritenendo che a tal fine ciò che assume rilievo, ai fini dell’applicazione dell’art. 2126 c.c., è l’effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica con conseguente soggezione all’eterodirezione datoriale, nonchè l’adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’amministrazione (cfr. fra tutte Cass. n. 17101 e Cass. n. 25672 del 2017);

la Corte d’appello ha svolto, in proposito, un accertamento rigoroso del concreto svolgimento del rapporto di lavoro in contestazione, basato sia sulle fonti normative e contrattuali che regolano la tipologia legale LSU/LPU, sia su quelle attuative contemplate dalla legislazione regionale calabrese, rilevandone la piena aderenza alle finalità di natura assistenziale tipiche della forma contrattuale prescelta;

sotto il profilo della prova ha rilevato che l’odierno ricorrente non aveva mai dimostrato l’estraneità delle mansioni svolte nel tempo al tipo contrattuale LSU/LPU nè aveva allegato alcuno degli indici sintomatici della subordinazione; ha inoltre affermato che le testimonianze rese si erano limitate a confermare le mansioni svolte e gli orari osservati dal lavoratore, e che la possibilità di prestare ore eccedenti era non solo contemplata dai regolamenti regionali, ma altresì partitamente disciplinata nelle sue modalità di attuazione;

rispetto al complesso dei profili esaminati, le argomentazioni prospettate nelle censure non giungono ad incrinare il fondamento logico giuridico della motivazione della Corte d’appello, ma si limitano ad esprimere le ragioni dell’odierno ricorrente in termini contrapposti e incompatibili con il decisum, senza farsi carico di indicare specificamente perchè la domanda in appello avrebbe dovuto essere accolta (cfr. ex multis Cass. n. 12984 del 2006);

in definitiva, il ricorso è inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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