Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12293 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3599-2018 proposto da:

L.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULLNA 80, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELA RUBERTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AUSL ROMA *****, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA PATRIZIA ROSATELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3048/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Velletri, ha accolto il ricorso dell’AUSL Roma *****, rivolto a sentir accertare l’insussistenza del diritto di L.P., dirigente medico, a quattordici giornate di permesso retribuito per partecipare a corsi di formazione aziendali tra il 2009 e il 2010, erroneamente computate dall’azienda a titolo di ferie;

la Corte territoriale ha in particolare ritenuto che l’appellata non avesse allegato alcuna attestazione di partecipazione ai predetti corsi, essendosi limitata a produrre in un solo caso un’autocertificazione dalla quale non risultava neppure l’indicazione delle date di svolgimento dell’aggiornamento formativo;

la cassazione della sentenza è domandata da L.P. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; l’Ausl Roma ***** resiste con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce “Violazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., per non aver posto a fondamento della decisione fatti rilevanti ai fini della decisione (quali la non contestazione da parte della resistente in primo grado del fatto costitutivo del diritto fatto valere dalla ricorrente) e non aver valutato, come argomento decisivo di prova, il contegno di detta parte resistente (sempre in relazione alla non contestazione del predetto fatto costitutivo) e ciò ai fini della declaratoria dell’inammissibilità, improcedibilità e, comunque infondatezza dell’appello proposto dall’Azienda USL RM *****”; che se avesse tenuto conto della pacifica ammissione del fatto costitutivo del diritto (ossia che l’odierna ricorrente aveva effettivamente partecipato ai corsi di aggiornamento) avrebbe dovuto concludere in senso favorevole alla ricorrente, atteso che è obbligo del giudice porre a base della sentenza i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita ai sensi dell’art. 115 del codice di rito;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Insufficiente e contraddittoria motivazione sul seguente fatto controverso e decisivo del giudizio (la non contestazione da parte dell’azienda AUSL della partecipazione della Dott.ssa L. ai corsi di aggiornamento)”; la mancata rilevanza attribuita dalla Corte territoriale alla indiscussa partecipazione ai corsi di aggiornamento avrebbe determinato per un verso un’insufficienza motivazionale e per altro una contraddittorietà, derivante dall’aver fatto discendere da un elemento incontroverso una decisione di segno totalmente contrario;

il primo motivo è inammissibile;

la ricorrente basa la censura di violazione di legge sull’errata individuazione dei presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, attribuendo all’affermazione secondo cui non sarebbe in contestazione la partecipazione ai corsi di aggiornamento, il significato secondo cui la dirigente avrebbe per ciò stesso diritto ai permessi retribuiti per parteciparvi;

la doglianza non si confronta con la ratio decidendi della sentenza gravata che ha statuito come in assenza di una valida attestazione la partecipazione ai corsi non costituiva oggetto di controversia;

omettendo di attribuire rilievo alla circostanza che il contratto collettivo nazionale nulla preveda in merito alla modalità di attestazione della partecipazione ai corsi di aggiornamento, la Corte territoriale ha correttamente riportato la questione alla ordinaria dinamica dei rapporti contrattuali tra la dirigente e l’azienda sanitaria, ritenendo insussistente una benchè minima valida attestazione, da parte dell’odierna ricorrente, delle ragioni delle assenze contestate;

il motivo appare, perciò, rivolto a rimettere in discussione – inammissibilmente – l’iter argomentativo seguito dalla sentenza gravata, al solo fine di ottenere da questa Corte un riesame del merito del giudizio favorevole alle prospettazioni di parte ricorrente, inibito in sede di legittimità;

anche il secondo motivo è inammissibile;

esso si appunta sull’omesso esame di un fatto – come la non contestazione da parte dell’azienda sanitaria della partecipazione della Dott.ssa L. ai corsi di aggiornamento – sull’erroneo presupposto della decisività dello stesso ai fini di un esito favorevole del giudizio;

la doglianza si pone fuori dai confini dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che fa riferimento all’omesso esame “di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

tuttavia, non risulta provata in questa sede la decisività del fatto dedotto, atteso che la Corte territoriale ha espressamente affermato che l’oggetto della controversia non concerne la partecipazione della ricorrente ai corsi di aggiornamento professionale, bensì l’inesistenza di idonea allegazione attestante l’avvenuta partecipazione;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, nei confronti della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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