LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3765-2018 proposto da:
T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO GRAZIOLI LANTE 7, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MOROSINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PNEUS POINT SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1612/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’Appello di Roma, a conferma della sentenza del Tribunale di Velletri, ha rigettato la domanda di T.P., dipendente della Società Pneus Point s.r.l. dal 2006 al 2009, rivolta a sentir accertare il proprio diritto alla corresponsione delle differenze retributive per aver svolto mansioni superiori alla qualifica di inquadramento, ai sensi del CCNL di settore, nonchè a titolo di mancato pagamento degli stipendi di febbraio e marzo 2009, di mancato rimborso del modello 730 e di mancato pagamento degli assegni familiari relativi ai due figli;
la Corte territoriale, in particolare, ha affermato quanto allo svolgimento delle superiori mansioni, che gli esiti della prova testimoniale avevano confermato l’inquadramento del lavoratore nella qualifica di operaio comune formalmente attribuitagli dalla Società;
quanto alle differenze retributive maturate in relazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica posseduta, il giudice dell’appello ha accertato come i conteggi allegati al ricorso di primo grado non avevano chiarito se gli importi indicati si riferissero all’inquadramento posseduto ovvero al superiore livello (infondatamente) preteso;
la cassazione della sentenza è domandata da T.P. sulla base di tre motivi; la Società Pneus Point s.r.l. rimane intimata;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione della norma di diritto ex artt. 112 e 115 c.p.c.”;
la Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente affermato che il Tribunale aveva omesso di pronunciare sul capo della domanda concernente l’esistenza di differenze retributive relative all’inquadramento posseduto, per poi ritenere la stessa infondata nel merito, ciò sebbene la società avesse riconosciuto l’esistenza di un credito del lavoratore pari a Euro 96,82;
con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contesta “Nullità della sentenza per error in procedendo”; l’errore denunciato nel primo motivo di ricorso avrebbe influito in maniera determinante sulla ricostruzione del fatto, e, pertanto, la seconda censura richiama questa Corte alla necessità di verificare la correttezza dell’imputazione della somma di Euro 2.950, corrisposta al ricorrente, alle diverse voci oggetto di contestazione; la tesi prospettata porta il ricorrente a concludere che l’accertata inesistenza del diritto alle differenze retributive sarebbe frutto di un errore da parte del giudice dell’appello, il quale avrebbe imputato al ricorrente la medesima somma di danaro per due volte a diverso titolo;
con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta “Violazione e falsa applicazione della norma di diritto ex artt. 91,92 e 336 c.p.c.”; censura l’erronea statuizione relativa alla compensazione delle spese in presenza di una soccombenza parziale della Società, stante l’affermazione, da parte della Corte territoriale della fondatezza del motivo d’appello circa l’omessa pronuncia sulla richiesta di condanna al pagamento di differenze retributive da parte del giudice di prime cure;
il primo motivo è infondato;
la sentenza d’appello sullo specifico aspetto dedotto, lungi dall’essere incorsa nel vizio di ultrapetizione, ha correttamente proceduto alla qualificazione della domanda nei limiti delle prerogative del giudice del merito, affermando, con motivazione esente da vizi, che “dai conteggi sulle differenze retributive mensili allegate al ricorso di primo grado sembra evincersi che tali differenze attengono al preteso (come si è visto infondatamente) superiore livello e non vi è comunque nessuna diversa indicazione che consenta di distinguere quali importi siano invece – eventualmente – riferiti al livello d’inquadramento posseduto…” (p. 4 n. 1 sent.);
il secondo motivo è infondato;
la sentenza compie la ricognizione del debito domandata dal ricorrente, ritenendo provata l’avvenuta ricezione da parte del lavoratore di una somma superiore a quella spettante; tale accertamento di fatto trova un limite oggettivo in ciò che la Corte territoriale, con argomentazione chiara e tassativa ha rilevato circa l’inidoneità, dei conteggi allegati in primo grado ed in appello, a supportare le pretese dell’odierno ricorrente, sì come imprecisi e inintelligibili, nonchè parzialmente erronei dal punto di vista aritmetico;
non è dato, pertanto, rilevare, quel difetto di attività valutativa da parte del giudice a quo, denunciato alla stregua di error in procedendo, che imporrebbe a questa Corte di decidere la questione mediante l’accesso diretto agli atti processuali, dichiarando, se del caso, la nullità della sentenza gravata (Cfr. ex multis Cass. n. 5971 del 2018);
il terzo motivo è inammissibile;
il ricorrente chiede una rivalutazione dei fatti di causa, inibito in sede di legittimità;
quanto all’affermazione per cui “…il motivo (fondato quanto all’omessa pronuncia) è comunque infondato nel merito” (p. 4 sent.) va osservato che essa va contestualizzata nel complesso motivazionale, ove non assurge al rango di statuizione autonoma, ma costituisce un passaggio argomentativo preliminare alla decisione sul merito; l’esito del giudizio ha visto soccombente l’odierno ricorrente e, pertanto, la mancata compensazione delle spese del grado rappresenta la concreta attuazione del principio generale di soccombenza;
in definitiva, il ricorso va rigettato; non si provvede sulle spese del presente giudizio in difetto di attività difensiva da parte dell’intimata;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019