Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12296 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3770-2018 proposto da:

C.M.G. COSTRUZIONI MONTAGGI INDUSTRIALI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL PLEBISCITO 107, presso lo studio dell’avvocato LAURA SANDRA COLANTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUISA GESUELE;

– ricorrente –

contro

ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO SEZIONE DI ***** già DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 383/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 26/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale di Massa, ha accolto il ricorso dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sezione di *****, rivolto a domandare la integrale conferma dell’ordinanza ingiunzione annullata in primo grado, emessa a carico della Società Costruzioni Montaggi Industriali (C.M.G.) s.r.l., quale obbligata in solido del legale rappresentante, per violazione delle norme contrattuali sull’orario di lavoro e sui riposi settimanali;

la Corte territoriale ha, in particolare, ritenuto che alla luce del quadro probatorio era emerso come l’accertamento ispettivo si fosse svolto correttamente non limitandosi alla valutazione dei dati acquisiti dai rilevatori marcatempo, ma acquisendo, altresì ulteriori elementi probatori, quali l’audizione degli stessi dipendenti della Società;

la cassazione della sentenza è domandata dalla Società Costruzioni Montaggi Industriali C.M.G. s.r.l., sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sezione di *****, già Direzione Provinciale del Lavoro di *****, rimane intimato;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce “Violazione o falsa applicazione di norma di diritto: si assumono violate le previsioni di cui agli artt. 2086,2094,2104,2107 c.c.”; la Corte d’appello, ritenendo che l’accertamento ispettivo basato sulle rilevazioni dell’orario acquisite dal sistema automatico di rilevazione delle presenze, potesse costituire fonte di prova dello svolgimento della prestazione, avrebbe violato le norme in tema di potere di controllo del datore sul rispetto dell’orario di lavoro; il rilevatore marcatempo apparteneva, infatti, alla Società Nuovo Pignone, presso il cui stabilimento era allocata la sede operativa della C.M.G. s.r.l., la quale ivi svolgeva attività di costruzione e montaggio di parti meccaniche;

l’odierna ricorrente aveva anche predisposto un libro presenze, regolarmente tenuto, proprio al fine di mantenere il controllo circa la corretta osservanza dell’orario di lavoro dei suoi dipendenti, rinvenuto dagli Ispettori verbalizzanti; tale libro presenze sarebbe stato l’unico strumento idoneo a legittimare l’accertamento ispettivo, in quanto predisposto dal datore di lavoro e non appartenente a terzi; col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sul fatto, dedotto in giudizio, per il quale gli strumenti di rilevazione automatica delle presenze su cui si era fondato l’accertamento ispettivo fossero di esclusiva proprietà della Società Nuovo Pignone, che ne aveva conoscenza del funzionamento e controllo sui contenuti;

il primo motivo presenta profili sia di inammissibilità che di infondatezza;

quanto al primo dei due profili enunciati la Corte territoriale ha affermato (p. 9, primo rigo sent.) che quella sollevata dall’odierna ricorrente rappresentava una questione nuova; sotto il profilo censurato la prima critica si presenta in questa sede carente di specificità, atteso che la ricorrente non trascrive e non produce l’atto introduttivo del giudizio di primo grado a riprova che la stessa fosse parte del thema decidendum fin dall’instaurazione della controversia;

in base al costante orientamento di questa Corte “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio.”(cfr. da ultimo, ex plurimis, Cass. n. 20694 del 2018);

quanto all’infondatezza del primo motivo, si rileva che la Corte d’Appello ha svolto un accertamento idoneo a superare la doglianza prospettata, in quanto basato non soltanto sulla rilevazione oraria, ma anche sull’incrocio tra i dati raccolti e le dichiarazioni testimoniali escusse;

anche il secondo motivo è inammissibile;

la circostanza oggetto di censura manca di decisività, e, pertanto, si pone fuori dai confini dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

la Corte territoriale ha svolto l’accertamento, oltre che sulla rilevazione automatica delle presenze, anche sull’escussione delle testimonianze dei lavoratori;

la censura, dunque, non denuncia l’omessa motivazione su un fatto storico, oggetto di discussione tra le parti, atteso che la stessa non prova che senza l’esame di quel fatto la controversia avrebbe avuto un esito diverso da quello conseguito (Cass. S.U. n. 8053/2014);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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