LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5117-2018 proposto da:
G.G., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Società COSTRUZIONI EDILI GH. DI GH.GI. & C. SNC, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato SILVANO CANU;
– ricorrenti –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati GIANDOMENICO CATALANO, LORELLA FRASCONA’;
– controricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.
(S.C.C.I.) S.p.A., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 501/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 21/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, ha rigettato la domanda di accertamento negativo dell’adempimento dell’obbligo, posto a carico di G.G., in proprio e quale Amministratore e legale rappresentante della Società Costruzioni Edili Gh. di Gh.Gi. & C. s.n.c., relativo alla variazione di posizione assicurativa territoriale (PAT) nei confronti di A.P., avendo ritenuto accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra lo stesso e la predetta società dal 1999 al 2011;
la Corte territoriale – diversamente dal giudice di prime cure – ha attribuito specifica rilevanza alla circostanza per cui l’accertamento ispettivo traeva origine da una denuncia alla DTL da parte dello stesso lavoratore il quale, dichiarato come artigiano, aveva contestato di svolgere una prestazione di natura subordinata;
dall’esame analitico delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, il giudice del merito ha concluso per l’univoca sussistenza degli indici della subordinazione del rapporto;
la cassazione della sentenza è domandata da G.G. sulla base di cinque motivi, illustrati da successiva memoria; l’Inps e l’Inail resistono con distinti controricorsi;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contesta “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 409 c.p.c., comma 1, n. 3”; la Corte d’Appello non avrebbe accertato che l’ A. riceveva ordini specifici dalla Società essendosi limitata ad affermare che l’attività di muratore è di per sè incompatibile con il lavoro autonomo, in quanto non implica la realizzazione di un opus definito;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.”; la violazione dell’onere probatorio riguarderebbe l’aver desunto la natura subordinata del rapporto da elementi di fatto e da indici presuntivi, ma non dalla prova (perchè insussistente) di una eterodirezione da parte della società;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si duole della “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c.”;
allo scopo di provare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con l’ A., il giudice dell’appello avrebbe riportato ampi stralci delle dichiarazioni, rese da quest’ultimo in sede ispettiva, disattendendo il divieto, sancito a carico di chi ha interesse nella causa, di assumere la funzione di testimone;
col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; denuncia l’erroneità dell’accertamento sull’orario di lavoro dell’ A., diverso da quello degli altri dipendenti della Società, e prospetta il vizio di omessa motivazione su tale fatto decisivo per la risoluzione della controversia sebbene lo stesso avesse costituito oggetto di discussione tra le parti;
col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., e, sotto altro aspetto subordinato omesso esame dell’ulteriore fatto decisivo che il rapporto è sorto per volontà delle parti come autonomo”; sostiene che, posto che non sussiste una presunzione legislativa di subordinazione del rapporto, qualora, nonostante l’accertamento, residuino dubbi di qualificazione, il giudice deve tener conto della volontà delle parti; che, in merito a tale rilievo, la stessa Corte territoriale ha affermato che “…non si può ritenere che l’iscrizione all’albo degli artigiani sia stata richiesta dal G. e sia stata strumentale all’ottenimento del lavoro, in quanto precede di quasi due anni l’inizio del rapporto tra le parti” (sent. p. 4 e 5); la Corte territoriale avrebbe mancato, quindi, di trarre da questa sua esatta affermazione l’ovvia conseguenza che le parti avevano inteso in realtà concludere un contratto di lavoro autonomo;
i primi due motivi vanno esaminati congiuntamente per connessione;
essi sono inammissibili atteso che le prospettazioni del ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;
va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);
i motivi sono altresì infondati, perchè la Corte d’Appello ha svolto un accertamento delle modalità di svolgimento della prestazione che non presta il fianco ad alcuna critica, in quanto fa corretta attuazione del costante orientamento di questa Corte sugli indici di subordinazione del rapporto di lavoro, partitamente, quanto all’atteggiarsi del potere direttivo datoriale (ex plurimis, da ultimo, cfr. Cass. n. 29646 del 2018);
il terzo motivo è inammissibile per carenza di specificità perchè la parte ricorrente non trascrive e non produce, nè indica dove lo stesso è stato prodotto, il verbale ispettivo dal quale ricavare l’identità fra le dichiarazioni riportate nella sentenza impugnata e quelle rese dal lavoratore in sede ispettiva;
la censura non merita accoglimento neanche sotto il diverso profilo evidenziato dal ricorrente, che vorrebbe le dichiarazioni dell’ A. inutilizzabili da parte del giudice dell’appello, in quanto provenienti da soggetto portatore di un concreto interesse all’esito del giudizio;
va – in questa sede – data attuazione al principio di diritto secondo il quale “L’interesse che determina l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con l’interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa (…).” (Così Cass. n. 21418 del 2015);
il quarto motivo inammissibile;
esso manca di specificità, ponendosi oltre i confini indicati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che parte ricorrente non precisa “dove, come e quando” l’elemento dell’orario di lavoro ha avuto accesso al thema decidendum del giudizio di merito (cfr. ex plurimis, Cass. n. 27475 del 2017), nè prova la sua decisività, rappresentando questo, nell’iter logico argomentativo della Corte territoriale, soltanto un segmento utile alla qualificazione complessiva del “fatto storico” (cfr. Sez. Un. 8053 del 2014);
anche il quinto motivo è inammissibile;
a esso va applicato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridico alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.” (Cass. n. 26874 del 2018; ma cfr. anche Cass. n. 3554 del 2017 e Cass. n. 18021 del 2016);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, nei confronti dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 a favore dell’Inps ed Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 a favore dell’Inali a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019
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