LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18489-2018 proposto da:
IMMOBILIARE MARGHERITA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, CEDAB SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo studio dell’avvocato PIETRO MAGNO, che le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio dell’avvocato CARLO VISCONTI, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO ARMATI;
– resistente –
e contro
R. SOCIETA’ CONSORTILE A RL;
– intimata –
per regolamento di competenza avverso l’ordinanza N. R.G. 8118/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 06/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA SPENA;
lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che visto l’art.
380 ter c.p.c. chiede che la Corte di Cassazione in Camera di consiglio rigetti l’istanza di regolamento di competenza ed indichi il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro competente a giudicare sulla causa in oggetto, con le conseguenze di legge.
RILEVATO
che con ricorso al Tribunale di Roma M.L. proponeva domanda nei confronti delle tre società IMMOBILIARE MARGHERITA srl, R. soc. consortile a rl, CEDAB srl assumendo:
– la esistenza di un gruppo di società operanti nel settore dell’edilizia facente capo al sig. MA.GO. e, dopo la sua morte, alla famiglia MA./ ME., società confluite attraverso fusioni nelle tre società convenute;
– la assunzione delle seguenti cariche: amministratore unico della società IMMOBILIARE MARGHERITA; consigliere del CdA (dall’ottobre 1999), Presidente del CdA e Amministratore delegato della R. società consortile a rl, (dall’ottobre 2003 al giugno 2017); consigliere del CdA della CEDAB srl (dal 2009 al 2013); Amministratore unico di altre otto società; componente del CdA di una ulteriore società;
– lo svolgimento nel periodo da gennaio 1991 al dicembre 2016 con le società del gruppo di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale (ovvero, in subordine, parasubordinato), come dalle attività elencate in ricorso, svolto in parallelo alle cariche sociali;
Sul fondamento di tali assunti, chiedeva di condannare le società convenute, in solido, al pagamento delle differenze di retribuzione maturate in applicazione del CCNL dirigenti aziende industriali (Euro 738.590,32).
Si costituivano CEDAB srl ed IMMOBILIARE Margerita srl, eccependo la competenza funzionale del Tribunale delle Imprese.
Il Tribunale, con la ordinanza in questa sede impugnata, respingeva la eccezione, osservando che la parte ricorrente agiva per l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato (ovvero parasubordinato) in ragione dello svolgimento di mansioni diverse e parallele rispetto alle attribuzioni rivestite come amministratore delle società; ammetteva le prove;
che avverso la ordinanza hanno proposto ricorso le società CEDAB sri e IMMOBILIARE MARGHERITA srl; M.L. ha depositato memoria difensiva;
che le conclusioni del PM sono state comunicate alle parti-unitamente all’avviso di fissazione della adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c.;
che le società ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che le società ricorrenti hanno dedotto la incompetenza del Tribunale di Roma e la competenza funzionale del Tribunale delle Imprese della medesima sede, assumendo essere oggetto di accertamento rapporti societari ed, in particolare, le cariche di amministrazione svolte dal M. e le fusioni intervenute.
Hanno esposto che la domanda articolata in ricorso riguardava in via preliminare l’accertamento delle cariche sociali e del loro esercizio;
solo all’esito di tale accertamento si sarebbe potuto stabilire se erano stati svolti o meno compiti ulteriori.
Hanno assunto che le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 1545 del 2017 affermavano che la possibilità della instaurazione tra la società ed il suo amministratore di un rapporto di lavoro subordinato costituirebbe una ipotesi eccezionale, ammissibile in relazione al componente del CdA e non anche all’amministratore unico; hanno chiesto a questa Corte di affermare la competenza del Tribunale delle Imprese di Roma.
che in via preliminare deve darsi atto che la questione della ammissibilità del regolamento di competenza nel caso in cui venga in questione il rapporto tra la sezione delle Imprese ed altra sezione del medesimo Tribunale è stata oggetto di pronunce contrastanti di questa Corte e che con ordinanza del 20.1.2019 n. 2723 la prima sezione civile (proc. n. 26218/2017) ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione alle SU; su tale rilievo le parti ricorrenti hanno chiesto in memoria la sospensione del presente procedimento;
che, tuttavia, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere trattato, sussistendo i presupposti per il suo rigetto.
Invero, quandanche il ricorso per regolamento di competenza fosse ritenuto ammissibile dalle Sezioni Unite di questa Corte ove si discuta del riparto degli affari tra le sezioni specializzate in materia di impresa ed altra sezione del medesimo ufficio – (in contrario avviso rispetto all’orientamento maggioritario di questo giudice di legittimità, secondo cui non v’è in tale ipotesi una questione di competenza in senso tecnico)- le parti ricorrenti non trarrebbero dal principio alcun risultato utile, per la infondatezza della eccezione mossa.
Nè d’altra parte il resistente potrebbe dolersi di una pronuncia di rigetto piuttosto che di (eventuale) inammissibilità del regolamento.
Deve pertanto attribuirsi prevalenza, in applicazione del canone del giusto processo, alla esigenza di una sollecita ripresa del giudizio rimasto sospeso rispetto alla pronuncia sulla questione di ammissibilità/inammissibilità del regolamento;
che, venendo alla individuazione del giudice competente, deve muoversi dal principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 20 gennaio 2017, n. 1545, secondo cui l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una società per azioni sono legati alla società da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra la persona fisica e l’ente e della assenza del requisito della coordinazione, non è compreso tra quelli previsti dall’art. 409 c.p.c. ma nell’ambito dei rapporti societari cui fa riferimento il D.Lgs. n. 168 del 2003 – art. 3, comma 2, lett. a – per la individuazione della competenza per materia del Tribunale delle imprese.
Tale enunciazione segna un radicale ripensamento della soluzione adottata nel precedente arresto n. 10680 del 1994 – (nel quale si era affermato che la richiesta di pagamento dei compensi per la attività gestoria fosse riconducibile al paradigma dell’art. 409 c.p.c., n. 3) – dichiaratamente ispirato dal mutato assetto normativo e dalla necessità di un approccio sistematico alla materia, non limitato alle questioni di competenza e di rito.
Il principio non è disgiunto, tuttavia, da una precisazione, definita dalle stesse Sezioni Unite “indispensabile”.
Si è chiarito, infatti, che quanto affermato concerne la figura dell’amministratore societario nelle sue funzioni tipiche di gestione e rappresentanza dell’ente, ossia come soggetto che, immedesimandosi nella società, le consente di agire e raggiungere i propri fini imprenditoriali. “Non è escluso, però, che s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera”.
In tali ipotesi la sussistenza di un simile rapporto deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile accertare:
– da una parte l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico;
– dall’altra, la ricorrenza della subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la prestazione lavorativa dirigenziale.
Le Sezioni Unite hanno citato a titolo esemplificativo la fattispecie decisa da Cass. n. 1796 del 1996, nella quale – nel confermare la dichiarazione di illegittimità del licenziamento di un soggetto originariamente assunto dalla società con la qualifica di dirigente e successivamente investito della carica di componente del consiglio di amministrazione- si affermava l’ammissibilità della coesistenza del rapporto di lavoro subordinato con le diverse e non interferenti funzioni amministrative.
Le parti ricorrenti sostengono che la duplicità di rapporto (organico e di lavoro) potrebbe sussistere soltanto per il componente del Consiglio di Amministrazione e non anche per l’Amministratore Unico, carica nel tempo rivestita dal M.; a sostegno di tale conclusione evidenziano che in caso di amministratore unico è impossibile individuare la soggezione alle direttive di altro e diverso organo societario.
L’assunto è infondato: la assenza della etero-direzione, anche nella forma attenuta del coordinamento, è il dato in base al quale le Sezioni Unite hanno superato il principio espresso nell’anno 1994 tanto in riferimento alla posizione dell’amministratore unico che quanto al consigliere di amministrazione.
Affermano, invero, le Sezioni Unite nella pronuncia da cui si sono prese le mosse: “le argomentazioni che precedono, rivolte alla figura dell’amministratore unico, a maggior ragione, valgono per il componente del consiglio di amministrazione”.
In termini generali – senza alcuna distinzione del componente dell’organo di amministrazione collegiale rispetto all’amministratore unico – è stata altresì predicata dalle Sezioni Unite la possibile coesistenza di rapporti – societario e di lavoro (subordinato parasubordinato o d’opera) – essendo al riguardo discriminante non la forma di amministrazione prescelta ma la diversità dei compiti svolti dalla persona fisica quale amministratore societario e quale lavoratore.
Assumono ancora le parti ricorrenti che le attività allegate dal M. quale presunto lavoratore non siano altro che i compiti ad esso propri come amministratore.
Tale accertamento attiene, tuttavia, al merito della domanda e non alla individuazione della competenza.
Il M. ha esposto nel ricorso introduttivo di avere svolto attività diverse da quelle di amministratore, dettagliatamente indicate, per le quali ha chiesto il compenso; il giudice competente a decidere – non solo se tali attività siano state effettivamente svolte ma anche se esse siano o meno diverse rispetto a quanto compiuto in esecuzione delle cariche sociali – è il giudice del lavoro, essendo oggetto di causa l’accertamento e la esecuzione del preteso rapporto di lavoro e non del tipico rapporto sociale. La verifica della competenza va invero attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta (Cass. sez. VI, 29/08/2017, n. 20508).
Da ultimo, rispetto al contenuto della domanda, la verifica della esistenza di un gruppo societario e della confluenza delle società del gruppo nelle tre società in causa costituisce una questione preliminare da accertare ai soli fini della individuazione del o dei datori di lavoro sicchè essa non incide sulla individuazione della competenza.
che pertanto il ricorso deve essere respinto, dovendosi affermare la competenza del Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, davanti al quale la causa dovrà essere riassunta nel termine di legge;
che le spese del presente regolamento si rimettono alla sentenza definitiva;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro. Spese al definitivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 20 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019