Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12397 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5466-2018 proposto da:

N.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PROPERZIO 27, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO FIORITO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI DI GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

IMMOBILE STUDIO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato STEFANO BONA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO GIAVALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1611/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relator Dott. ORICCHIO ANTONIO.

RILEVATO

che:

è stata impugnata da N.P. la sentenza n. 1611/2017 della Corte di Appello di Brescia con ricorso fondato su un due ordini di motivi e resistito con controricorso della parte intimata.

Per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, va riepilogato, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

La gravata decisione della Corte territoriale, con la decisione oggi gravata, aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla odierna ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Cremona n. 610/2015.

Quest’ultima, accogliendo la domanda ex art. 2932 c.c. dell’odierna parte controricorrente aveva trasferito l’immobile di cui in atti accertato l’inadempimento della promissaria acquirente N. rispetto al preliminare di vendita inter partes del 23 marzo 2012.

CONSIDERATO

che:

1. – Col primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 428 e 1425 c.c..

Parte ricorrente fa generico riferimento ad atti compiuti da persona incapace di intendere o volere ed all’incapacità delle parti.

1.1 – Il motivo non può essere accolto.

Al di là della mera enunciazione della pretesa violazione di norme e dei generici rifermenti innanzi accennati nel ricorso non è affermato nulla di decisivo in ordine ai paventati vizi. In particolare va rilevato che il fondamento del motivo in esame consta di una generica argomentazione, invero stringata e di non immediata intellegibilità, laddove – con riferimento alla gravata decisione afferma testualmente che essa “non altrettanto si soffermava sulla eccepita violazione di legge in relazione alla domanda di nullità/inefficacia del contratto reo liminare dovuta ad incapacità naturale della N.”.

In tale modo, limitandosi inammissibilmente alla sola invocazione di un preteso errore, parte ricorrente nulla dice quanto alla consistenza dell’errore medesimo, salvo invocare – in sostanza – una rivalutazione in fatto della situazione di cui al certificato medico, meramente citato, del 10/6/2013 e criticare la valutazione dei giudici del merito. Questi ultimi hanno, nella sostanza, dato la prevalenza alla circostanza che l’atto di cui si chiede l’invalidità era stato rogato da notaio (con plausibile accertamento della capacità della N.) rispetto alla mera certificazione del 10/6/2013 di un semplice stato ansioso.

Ciò posto il ricorso non esplica, come avrebbe dovuto (Cass. n. 635/2015), quali norme o principi sarebbero stati così violati dalla decisione gravata.

Inoltre il motivo stesso è carente quanto ai previsti requisiti ex art. 360 c.p.c., comma 1.

Infatti – giova ricordare- “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione” (Cass. S.U. 24 luglio 2013, n. 17931, nonchè Cass. n. 20910/2017).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

2. – Con il secondo motivo del ricorso si prospetta un “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

2.1. – Il motivo è del tutto inammissibile in quanto pur enunciando una omessa valutazione di un fatto (che dovrebbe essere individuato esclusivamente in un dato o elemento del giudizio) non ne indica, in effetti, alcuno) riepilogando una serie di richieste istruttorie disattese, ma che non possono sostanziare il tipo di censura di cui al motivo qui in esame e in appropriatamente utilizzato.

Va, quindi, ritenuta l’inammissibilità del motivo.

3. – Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

4. – Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano così come da dispositivo.

5. – Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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