Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.12412 del 09/05/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5796/2014 proposto da:

Banca di Credito Cooperativo di Roma, s.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma Via Teodosio Macrobio 3, presso lo studio dell’avvocato Gabrielli Enrico che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Porraro Domenico, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore Dott. P.M.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Enotri 37, presso lo studio dell’avvocato Forastiere Paolo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giuliano Francesco, giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4221/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/12/2018 dal Cons. Dott. Paola VELLA.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha accolto l’appello proposto dal Fallimento ***** S.r.l. e, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dalla curatela nei confronti della Banca di Credito Cooperativo di Roma s.c. a r.l., condannandola al pagamento della somma di Euro 398.441,68 oltre interessi legali in relazione alle rimesse effettuate dalla società sul conto corrente n. ***** nel cd. periodo sospetto.

2. Il giudice d’appello ha ritenuto inopponibile al fallimento, in mancanza di data certa, “l’accordo tra Banca e correntista per far transitare tutte le operazioni di erogazione e di ripristino del credito concesso per “fido estero” sul conto corrente ***** invece che sul conto corrente ***** indicato nel contratto di concessione del “fido””, con la conseguenza che il conto in questione doveva “ritenersi affidato solo nei limiti dell’apertura di credito, da utilizzare come scoperto di conto, limitata a 200 milioni di Lire”, donde la revocabilità delle rimesse individuate a mezzo c.t.u., essendo stata provata dalla curatela la scientia decoctionis specie alla luce dei pertinenti bilanci di esercizio, che attestavano un progressivo incremento dell’indebitamento e delle rimanenze.

3. La curatela ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la banca ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo si lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 183 c.p.c. (…) nonchè dell’art. 2697 c.c.”, in quanto la curatela non avrebbe mai eccepito la mancanza di data certa delle note in data 6 maggio 1995 e 11 settembre 1995 limitandosi a dedurre in comparsa conclusionale l’irrilevanza ed ininfluenza delle stesse – e la relativa eccezione non potrebbe essere rilevata d’ufficio, trattandosi di eccezione in senso stretto.

5. Con il secondo mezzo – che in quanto connesso va esaminato unitamene al primo – si deduce altresì la “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 (…) in relazione alla pretesa revocabilità delle rimesse in conto corrente”, per avere la Corte d’appello, proprio sulla base della ritenuta inopponibilità al fallimento delle scritture datate 6 maggio 1996 e 5 settembre 1995, assunto che il conto corrente in questione fosse assistito da una sola apertura di credito per l’importo di duecento milioni di Lire.

5.1. La prima censura è palesemente infondata, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte in base alla quale “in tema di accertamento del passivo fallimentare, la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione, si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio dal giudice” (Sez. U, 4213/2013; ex mulitis Cass. 3404/2015, 27504/2017, 16404/2018).

5.2. Il rigetto della prima censura risulta assorbente rispetto alla seconda, che si basa sulla sua fondatezza, qui disconosciuta.

6. Con il terzo motivo si lamenta la “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e art. 67, comma 2 (…) in relazione alla pretesa soddisfazione dell’onere della prova della conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla BCC di Roma”, che il giudice d’appello avrebbe erroneamente fondato sulla conoscibilità, e non conoscenza, dello stato di insolvenza della correntista, sulla base di “presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con una motivazione illogica e contraddittoria”.

6.1. La censura risente di profili di inammissibilità e infondatezza.

6.2. In primo luogo, sebbene formalmente proposto come vizio di violazione di legge – peraltro con riferimento a parametri normativi in parte divergenti dalla contestazione – il motivo si risolve nella esplicita contestazione di un vizio motivazionale, formulato però senza rispettare i nuovi canoni dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – applicabili alle sentenze pubblicate, come quella impugnata, dopo l’11 settembre 2012 (Cass. Sez. U, 07/04/2014 n. 8053; cfr. ex multis Cass. 19761/2016, 27415/2018).

6.3. In secondo luogo, il motivo si risolve in una censura di merito sull’apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito, vizio però non denunciabile in cassazione, salvo che dia luogo ad un’anomalia motivazionale ridondante, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in violazione di legge costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (Sez. 1, 26/09/2018 n. 23153; Sez. 3, 10/06/2016 n. 11892), sia perchè la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione – nel caso di specie non censurata secondo il nuovo paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – sia perchè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto precluso in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 11863 del 2018, nn. 29404, 19547, 19011 e 9097 del 2017, n. 16056 del 2016), dal momento che spetta al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. 19547/2017, 962/2015, 26860/2014).

6.4. Non risulta fondata nemmeno la contestazione per cui il giudice d’appello si sarebbe fermato a rilevare la conoscibilità, piuttosto che la conoscenza, dello stato di insolvenza della società correntista, poichè a pag. 3 e s. della sentenza impugnata il giudice d’appello dà conto del collegamento alla banca convenuta degli elementi presuntivi valutati, con particolare riguardo alle risultanze dei bilanci del periodo di riferimento.

6.5. In ogni caso, la valutazione operata dal giudice a quo non risulta in contrasto con i principi affermati da questa Corte, per cui: i) “in tema di prova della scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare, non viola il divieto di praesumptio de praesumpto il giudice di merito il quale, ritenuta, in base alle circostanze, presuntivamente provata la conoscenza, da parte della banca creditrice, del bilancio della società debitrice, poi fallita, al momento del pagamento, ne evinca, altresì, la conoscenza dello stato di insolvenza palesato dal documento contabile, la quale costituisce una mera implicazione della ritenuta conoscenza del bilancio: sicchè si è al cospetto di un’unica presunzione, sia pure articolata su autonome circostanze di fatto” (Sez. 1, 03/05/2007 n. 10208); ii) ai fini della scientia decoctionis “deve tenersi conto della qualità del creditore e delle specifiche conoscenze tecniche a sua disposizione, soprattutto quando il creditore sia una banca, che, per il particolare servizio espletato, presta particolare attenzione al manifestarsi di segni di insolvenza da parte dei suoi correntisti ed ha una possibilità di informazione sulla situazione patrimoniale dei propri debitori certamente superiore a quella comune” (Sez. 1, 02/07/2007 n. 14978); iii) “in tema di azione revocatoria fallimentare, la qualità di operatore economico qualificato della banca convenuta, pur non integrando, da sola, la prova dell’effettiva conoscenza dei sintomi dell’insolvenza, impone di considerare la professionalità ed avvedutezza con cui normalmente gli istituti di credito esercitano la loro attività”, con la conseguenza che la scientia decoctionis non può escludersi nemmeno quando, in occasione della concessione o rinnovo di un fido o di dilazioni, la banca abbia valutato positivamente i bilanci della correntista poi fallita, “dovendosi, piuttosto, verificare – per scongiurare analisi funzionali non all’accertamento della solvibilità del cliente, ma alla protezione della stessa banca da eventuali revocatorie – se sia stato svolto un esame critico ed attento della effettività, della coerenza e della congruità delle singole voci esposte nei bilanci, e se i criteri di giudizio in concreto utilizzati corrispondano o meno alla prassi degli istituti nella concessione del credito” (Sez. 1, 29/07/2014 n. 17208; conf. Sez. 1, 02/11/2017 – n. 26061); iv) ai fini della prova di una effettiva e non meramente potenziale conoscenza dello stato di insolvenza, è sufficiente il riscontro di concreti elementi di collegamento con indizi connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, “dai quali possa desumersi che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza ed avvedutezza, ed anche in considerazione delle condizioni in cui si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito la situazione di dissesto in cui versava il debitore” (Sez. 1, 27/10/2017 n. 25635).

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472