LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3039/2014 proposto da:
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma Via XX Settembre 98/e presso lo studio dell’avvocato Cherchi Sabrina, rappresentata e difesa dall’avvocato Arlenghi Maddalena, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l., nella persona del curatore Avv. A.E., elettivamente domiciliato in Roma Via Frattina 119, presso lo studio dell’avvocato Venturi Daniele, rappresentato e difeso dall’avvocato Sangiorgi Gaetano, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma Via XX Settembre 98/e presso lo studio dell’avvocato Cherchi Sabrina, rappresentata e difesa dall’avvocato Arlenghi Maddalena, giusta procura in calce al ricorso
– controricorrente a ricorso incidentale avverso la sentenza n. 1677/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 11/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2018 dal cons. Dott. Paola VELLA.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Palermo ha respinto sia l’appello principale proposto da Intesa Sanpaolo S.p.a., sia l’appello incidentale proposto dal Fallimento ***** S.r.l., avverso la sentenza con cui il Tribunale di Palermo, all’esito di apposita c.t.u., aveva parzialmente accolto la domanda revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dalla curatela fallimentare, condannando la banca alla restituzione delle rimesse solutorie eseguite nell’anno anteriore al fallimento sul conto corrente affidato n. *****, per l’importo complessivo di Euro 1.086.115,78.
2. In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, i giudici d’appello hanno: i) rilevato che la stessa curatela aveva ammesso l’esistenza del fido; ii) escluso l’eccepita mutatio libelli per avere il fallimento chiesto in sede di precisazione delle conclusioni “la restituzione delle somme calcolate dal ctu”, dopo aver chiesto in citazione la revocatoria di n. 113 rimesse specificamente indicate, del valore (superiore) di Lire 1.620.802.971, dal momento che in citazione era stata anche chiesta la revoca “degli importi derivanti da quei maggiori o diversi pagamenti che, affluiti sul conto, saranno accertati nel corso del presente giudizio”; iii) ritenuta corretta l’applicazione del criterio del saldo disponibile e non del massimo scoperto, non applicandosi il novellato L. Fall., art. 67; iv) respinto la prospettazione delle partite bilanciate, trattandosi di questione tardivamente introdotta dalla banca e comunque non riscontrata dal c.t.u.; v) ritenuta provata la scientia decoctionis sulla base di plurimi indici, e non solo dei bilanci.
3. Avverso detta sentenza la banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso proponendo a sua volta tre motivi di ricorso incidentale, cui a sua volta la banca ha resistito con controricorso, corredato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 5, ed omesso esame della inammissibilità della modifica del petitum avversario in sede di precisazione delle conclusioni e, quindi, dell’accoglimento della domanda modificata (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, rilevandosi delle n. 113 rimesse originariamente indicate in citazione solo n. 72 (per un valore di Euro 485.867,04 sarebbero ricomprese nell’elenco delle n. 170 rimesse ritenute revocabili dal c.t.u.; “in estremo subordine” si rappresenta che (testualmente) “occorrerebbe determinare quali di tali pagamenti (…) non possa essere ritenuto solutorio e dunque revocabile, dovendo essere scomputato della ricostruzione in quanto si tratti di operazione bilanciata”, secondo le tre categorie descritte da pag. 25 a pag. 28 del ricorso.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Invero, la motivazione con cui il giudice d’appello ha escluso la ricorrenza di una inammissibile mutatio libelli risulta in linea con l’orientamento di questa Corte – cui si intende dare seguito, in quanto pienamente condivisibile – in base al quale: i) “In tema di revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, l’indicazione del numero di conto corrente sul quale sono stati effettuati i versamenti, della loro natura di pagamenti e del periodo sospetto da prendersi in considerazione è idonea a rendere il convenuto in revocatoria edotto della pretesa azionata e ad escludere, pertanto, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’oggetto, non risultando necessaria, ai fini dell’individuazione del “petitum” e della “causa petendi”, anche la specificazione delle singole rimesse da prendere in considerazione, che la banca è in grado di individuare agevolmente, essendo in possesso di tutta la documentazione relativa alle operazioni effettuate dal correntista” (Sez. 1, nn. 3955/2016, 1802/2013, 14552/2008, 7667/2006); ii) “Non è affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o della “causa petendi”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4 e art. 164 c.p.c., comma 4, la citazione contenente la domanda di revocatoria fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse in conto corrente bancario, benchè priva dell’indicazione dei singoli versamenti solutori, qualora (come nella specie) siano specificamente indicati i conti correnti e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato periodo di tempo (con indicazione anche dell’importo globale delle stesse), essendo sufficientemente specificati gli elementi idonei a consentire alla banca l’individuazione delle domande contro di essa proposte” (Sez. 6-1, 18/04/2018 n. 9610; cfr. Sez. 1, 10/07/2018 n. 18144, in tema di contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente in cui il cliente agisca nei confronti della banca per la ripetizione d’importi relativi ad interessi non dovuti, ove – specularmente – si afferma che, ai fini della prova dell’eccezione di prescrizione decennale dell’azione, “non è necessario che la banca indichi specificamente le rimesse prescritte, nè il relativo “dies a quo”, emergendo la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicchè la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione”.
4.2. Nel caso di specie va sottolineato che, per quanto risulta dalle conclusioni dell’atto di citazione trascritte a pag. 2 del controricorso, la curatela fallimentare aveva invocato la revocatoria “dei pagamenti – evidenziati in narrativa – effettuati dalla società fallita nel periodo 3.7.95-26.2.96 sul c/c rubricato al n. ***** presso la Filiale ***** dell’istituto convenuto, o comunque gli importi derivanti da quei maggiori o diversi pagamenti che, affluiti sul conto, saranno accertati nel corso del presente giudizio”, di talchè la richiesta formulata in sede di precisazione delle conclusioni ben poteva ritenersi ricompresa nell’iniziale petitum.
5. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67 degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., comma 2, nonchè dei principi generali in materia di presunzioni e di onere della prova circa un fatto decisivo sulla esclusione della sussistenza della conoscenza dello stato di insolvenza da parte della Banca quale punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)”.
5.1. La censura è inammissibile, poichè investe una valutazione del materiale probatorio incensurabile in questa sede.
5.2. Invero, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile ratione temporis ha declinato un nuovo tipo di vizio motivazionale denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, ai cui fini il ricorrente è onerato di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; esula dunque da tale paradigma, di per sè, l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico previamente individuato secondo i descritti canoni risulti preso in considerazione dal giudice, sebbene la decisione non dia conto espressamente di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014 n. 8053; conf. ex multis Sez. 2, 29/10/2018 n. 27415).
5.3. Con specifico riguardo all’attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie, occorre altresì distinguere l’errore di percezione – che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (i quali vietano di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti, o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, nonchè di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) dall’errore di valutazione, che, investendo invece l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Sez. L, 24/10/2018 n. 27033; Sez. 3, 12/04/2017 n. 9356).
5.4. Deve altresì ribadirsi il consolidato orientamento di questa Corte per cui le censure che formalmente prospettano violazioni di legge, ma sostanzialmente veicolano censure di merito sull’apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito, non sono denunciabili in cassazione – a meno che integrino un’anomalia motivazionale ridondante, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in violazione di legge costituzionalmente rilevante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – (Sez. 1, 26/09/2018 n. 23153; Sez. 3, 10/06/2016 n. 11892), poichè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto precluso in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 11863 del 2018, nn. 29404, 19547, 19011 e 9097 del 2017, n. 16056 del 2016); spetta infatti al solo giudice del merito, “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. 19547/2017, 962/2015, 26860/2014).
6. Parimenti da disattendere sono i tre motivi del ricorso incidentale, rubricati come di seguito indicato.
6.1. “Art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto che il richiamo iniziale al fido, fatto dalla Curatela con la citazione, costituisse riconoscimento della concreta esistenza del fido stesso e avere ignorato la totale mancanza di prova della esistenza del fido agli atti del procedimento”.
6.2. “Art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113 e 189 c.p.c. per non avere pronunciato su tutta la domanda proposta dalla Curatela e per avere ritenuto che la domanda relativa alla esistenza del fido in quanto proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni fosse tardiva e non ammissibile, pur in assenza di una contestazione di controparte o una dichiarazione di non accettazione del contraddittorio”.
6.3. “Art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Avere ignorato le risultanze della CTU sul punto, nella parte in cui il perito afferma testualmente: “Orbene, tra gli atti di causa non si è rinvenuto alcun contratto di apertura di credito”, circostanza rilevata dalla Curatela con l’appello incidentale e contestata da controparte”.
7. Le censure, che in quanto connesse possono essere esaminate congiuntamente, ripropongono un tema già esaminato e deciso in modo identico dai giudici di entrambi i gradi del giudizio di merito, i quali, esaminando gli atti di causa, hanno appurato che la circostanza dell’affidamento del conto costituiva un fatto pacifico e non contestato, in quanto riferito in citazione – in forma non dubitativa – dalla stessa curatela (che vi aveva fondato anche le proprie deduzioni in punto di scientia decoctionis), sicchè legittimamente la banca non si era curata di documentare l’esistenza del contratto di apertura di credito. Nè può assumere rilevanza alcuna il fatto che il c.t.u. abbia dato atto di non aver rinvenuto – tra gli atti di causa, si noti – il suddetto contratto, la cui mancata produzione era evidentemente giustificata da quanto appena rilevato. Anacronistici sono poi i datati riferimenti giurisprudenziali alla pretesa non rilevabilità d’ufficio e alla necessità di una esplicita non accettazione del contraddittorio con riguardo alla relativa mutatio libelli, dal momento che le nuove regole di rito – applicabili alla fattispecie concreta ratione temporis – prevedono che il giudice decida nei limiti delle conclusioni precisate dalle parti ai sensi dell’art. 183 c.p.c.
8. Seguono il rigetto di entrambi i ricorsi, con compensazione delle spese tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa le spese tra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019