Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.12429 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. MARGHERITA Maria Leone – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17981-2016 proposto da:

L.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato IROLLO GAETANO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCI MAURO, PULLI CLEMENTINA, CAPANNOLO EMANUELA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 182/2016 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 13/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO ADRIANA.

RILEVATO

Che:

Il Tribunale Napoli, con sentenza pubblicata il 13/1/2016, ha rigettato l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., comma 6, da L.M.G. contro le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva ritenuto insussistenti i requisiti sanitari per il riconoscimento della pensione di inabilità civile; a fondamento della decisione, il Tribunale ha ritenuto che la relazione peritale espletata nella fase pregressa meritava condivisione, considerato che le malattie da cui la L. era affetta (esiti di asportazione di carcinoma vaginale del 2007, recidiva loco-regionale nel 2008, con follow-up negativo dal 2012, confermato dalle attuali indagini strumentali di laboratorio) determinavano una percentuale di invalidità pari al 50%, insufficiente per il riconoscimento della prestazione richiesta;

la sentenza è stata impugnata dalla L. con ricorso per cassazione articolato su un unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, al quale resiste l’Inps con controricorso; la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

CONSIDERATO

Che:

il motivo di ricorso è incentrato sulla violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, della L. n. 118 del 1971, artt. 2, 12 e 13, D.Lgs. n. 509 del 1988, artt. 1, 2 e 3, nonchè del D. M. 5/2/1992, e con esso si assume che il giudice, condividendo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non avrebbe fatto applicazione delle tabelle di invalidità civile, indicando per ciascuna delle malattie la sua incidenza invalidante, il codice attribuito e i criteri adoperati per giungere alla valutazione finale nel caso di infermità plurime;

il motivo è nella sua intera articolazione inammissibile;

il vizio di violazione e falsa applicazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, non è ritualmente dedotto;

esso infatti richiede, a pena di inammissibilità giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo la indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche, e soprattutto, specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (in termini, da ultimo, Cass. n. 287/2016, che rinvia a Cass. n. 16760 del 2015; confotiiii: Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 1063 del 2005; Cass. n. 8106 del 2006);

nella sentenza in esame, oltre a non essere state espressamente indicate, non si riscontrano affermazioni in contrasto con le norme di legge citate: al contrario, il Tribunale ha fatto espressa e corretta applicazione delle tabelle ministeriali, escludendo che la malattia da cui la ricorrente è affetta – in ragione del follow-up negativo e delle buone risultanze delle indagini diagnostiche e strumentali a distanza di cinque anni dall’intervento – possa rientrare nel codice 9325, che si riferisce alle neoplasie a prognosi infausta o probabilmente sfavorevole, per le quali è prevista un’invalidità fissa del 100%;

quanto al vizio di motivazione, deve rilevarsi che, alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 , conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis al giudizio in esame, il motivo è inammissibile dal momento che la parte non specifica quale sarebbe il fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), che il giudice non avrebbe esaminato (cfr. Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053 e 8054 e altre successive);

il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito inammissibile (v. Cass., ord. 3 febbraio 2012, n. 1652);

il ricorso risulta così inammissibile;

nessuna pronuncia sulle spese va adottata in ragione della dichiarazione di esonero resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.;

sussistono invece presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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