LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Giovanni – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5621/2015 proposto da:
P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 25, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO CADELO;
– ricorrente –
contro
PO.AG., P.E., P.I., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATOFE 22 presso lo studio dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI SCIARRINO;
P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO, rappresentato e difeso dagli avvocati CALOGERO DONES, IVO FERRARA;
– controricorrenti –
e contro
PO.AN., L.M.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 238/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, dopositata il 20/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
PREMESSO che:
1. In data 23/5/2006 P.A. conveniva in giudizio i fratelli P.P., E., I., M.A. ed An., nonchè la madre L.P.M.C., chiedendo che venisse accertato il suo acquisto per usucapione della proprietà di una unità immobiliare facente parte di un complesso edilizio in comproprietà tra i germani. Il Tribunale di Palermo, con sentenza non definitiva n. 4194/2009, affermava il difetto di legittimazione passiva di L.P.M.C. e accoglieva la domanda di parte attrice, rimettendo la causa sul ruolo per la prosecuzione del processo relativamente alla divisione tra i comproprietari della restante parte del complesso edilizio.
2. Avverso tale decisione proponevano distinti appelli da un lato P.I., E. e M.A. e dall’altro lato P.P., lamentando tutti la mancata prova dell’interversione del titolo del possesso da parte della sorella P.A., nonchè il compimento di atti ricognitivi del diritto di comproprietà da parte di quest’ultima. Riunite le cause, con sentenza 20 febbraio 2014, n. 238, la Corte d’appello di Palermo, in accoglimento del gravame riformava la sentenza del Tribunale.
3. Contro la sentenza ricorre in cassazione P.A.. Resistono con distinti controricorsi P.P. da un lato e P.I., E. e M.A. dall’altro lato.
Gli intimati Po.An. e L.P.M.C. non hanno proposto difese.
La ricorrente e le controricorrenti P.I., E. e M.A. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
a) Il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza, motivazione omessa o apparente, violazione degli artt. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., comma 6, in quanto “dalla motivazione della sentenza impugnata non si riesce a cogliere il ragionamento seguito dalla Corte del riesame, se non liberamente interpretando alcuni passi della decisione”, il giudice d’appello avrebbe infatti omesso di dar conto delle circostanze ritenute idonee dal Tribunale a dimostrare il possesso esclusivo, continuato e indisturbato da parte della ricorrente per oltre 30 anni sull’immobile oggetto di domanda, avvalorando “in modo apodittico” la tesi contraria.
Il motivo è infondato. Il giudice d’appello, dopo aver condiviso i principi giuridici affermati dal primo giudice, ha ritenuto che tali principi non fossero stati correttamente applicati al caso di specie, dato che i comportamenti posti in essere dall’appellata/ricorrente comportamenti che il giudice ha analiticamente indicato – non sono univoci, potendo essi costituire anche manifestazione del diritto di comproprietà. La motivazione della sentenza impugnata non può quindi essere considerata – alla luce dell’orientamento espresso dalle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., n. 2053/2014, richiamata dalla stessa ricorrente, p. 8 del ricorso) – una motivazione omessa o apparente.
b) Il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,1163,1102,1165,2947,1141,1164,2944 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere il giudice d’appello ritenuto non sussistente il possesso esclusivo e continuato ultraventennale in capo alla ricorrente; il giudice avrebbe erroneamente ritenuto il possesso uti dominus incompatibile con la circostanza che ognuno dei comproprietari avesse abitato stabilmente una unità immobiliare del complesso in comunione, nonchè il fatto che la trasformazione del bene, la sua regolarizzazione edilizia, l’esborso degli oneri a ciò correlati, l’esecuzione di manutenzioni ordinarie e straordinarie sul bene a spese della ricorrente fossero espressione del suo diritto di comproprietà.
Il motivo è inammissibile. Esso, che formalmente denuncia violazione e falsa applicazione di numerose norme di diritto, si sostanzia in una critica all’accertamento in fatto operato dal giudice d’appello, accertamento che ha portato (supra sub a) ad escludere il possesso esclusivo dell’immobile in capo alla ricorrente, seguendo così l’orientamento di questa Corte che, in tema di usucapione del bene in comunione, sottolinea la necessità per il comproprietario di possedere in termini di esclusività, godendo “del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere uti dominus e non più come uti condominus” (così Cass. 23539/2011 e Cass. 12775/2008).
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore delle controricorrenti P.I., E. e M.A. che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonchè in favore del controricorrente P.P. che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 23 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019
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