LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Giovanni – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6333/2015 proposto da:
EDILNEMI DI L.F. S. E G. & C SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 60, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA ROMANA FRITTELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDRA MORA, MICHELA LUISON;
– ricorrente –
e contro
LE.DO.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 5364/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 04/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO che:
1. In data 10/3/1998 Le.Do., A.M. e S.G. convenivano in giudizio la società Edilnemi s.n.c. (costruttrice del complesso residenziale al cui interno si trovavano gli immobili di proprietà degli attori), chiedendo che quest’ultima venisse condannata alla realizzazione di opere idonee al regolare deflusso delle acque, deflusso deviato dalla realizzazione degli immobili, nonchè al risarcimento dei danni conseguiti a due allagamenti e al rimborso delle spese sostenute dagli attori per l’installazione di meccanismi di contenimento dell’acqua.
Il Tribunale di Velletri, affermato il “difetto di pertinenza al caso di specie della norma invocata (art. 913 c.c.) e di imputabilità del deflusso delle acque alla Edilnemi”, rigettava le domande degli attori con sentenza n. 1303/2007.
2. Avverso la sentenza proponeva appello Le.Do.. Con pronuncia n. 5364/2014 la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame, riformava la sentenza del Tribunale e, dichiarata obbligata la società Edilnemi “quantomeno come costruttrice della strada”, rigettava la domanda di condanna di esecuzione delle opere, affermava la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni causati dal primo allagamento e condannava al risarcimento dei danni causati dal secondo allagamento, quantificati in Euro 1.291,15 per la ripulitura dei locali e per l’apposizione di una sbarra metallica volta a contenere il deflusso delle acque, ed Euro 876 quale risarcimento del danno da lucro cessante per la mancata disponibilità del denaro.
3. Ricorre in cassazione contro la sentenza la società Edilnemi s.n.c..
L’intimato Le.Do. non ha proposto difese.
CONSIDERATO
che:
I. Il ricorso è articolato in tre motivi.
1. Il primo e il secondo motivo sono tra loro connessi:
a) Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., introduzione di domande nuove in appello: gli attori nel giudizio di primo grado avevano chiesto il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 913 c.c. e soltanto in sede di appello Le.Do. aveva ampliato la propria domanda, modificandola, chiedendo il risarcimento del danno alla società nella sua qualità di costruttrice della strada, così violando il disposto dell’art. 345 c.p.c..
b) Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la Corte d’appello ha proceduto a una nuova qualificazione giuridica della domanda giudiziale, configurando a carico della società Edilnemi una responsabilità extracontrattuale quale società realizzatrice della strada, senza dare però atto dei presupposti di fatto di tale affermazione, cosicchè “appare di tutta evidenza la omessa motivazione nonchè l’infondatezza dell’affermazione”.
I motivi sono entrambi infondati. Il giudice d’appello, chiarito che il richiamo da parte degli attori all’art. 913 c.c., non costituisce il titolo dedotto in giudizio, spettando al giudice la qualificazione del fatto dedotto come fonte di responsabilità, ha interpretato l’atto introduttivo del processo e ne ha argomentatamente dedotto la proposizione di una domanda di responsabilità extracontrattuale della convenuta, quale costruttrice del complesso immobiliare e del sistema di deflusso delle acque e in ogni caso della strada. D’altro canto, secondo l’orientamento di questa Corte “il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante” (così, da ultimo, Cass. 118/2016).
La denuncia, nel secondo motivo, del vizio di mancata, insufficiente e contraddittoria motivazione è inammissibile, facendo riferimento a un parametro non applicabile ratione temporis alla fattispecie (la sentenza impugnata è stata depositata il 4 settembre 2014, così che trova applicazione la formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012).
2. Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. La quantificazione dei danni operata dal giudice d’appello è, ad avviso della società ricorrente, “per diversi motivi contraddittoria e incomprensibile”: nell’atto di citazione di primo grado la richiesta di risarcimento era pari a Lire 2.000.000 per la ripulitura del garage e Lire 500.000 per la sbarra metallica e non si faceva riferimento al danno da lucro cessante; la Corte d’appello, invece, ha indicato Lire 5.000.000 per la sbarra metallica e ha condannato la ricorrente a pagare Euro 876 quale risarcimento del danno da lucro cessante.
Il motivo – inammissibile laddove invoca il parametro dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (supra sub 1) – è per il resto infondato. Se è vero che nella motivazione è indicata la somma di Lire 5.000.000, l’indicazione si rivela un mero errore materiale quando si considera il dispositivo: la ricorrente è infatti stata condannata a pagare Euro 1.291,15, somma che corrisponde a Lire 2.000.000 più 500.000. Quanto alla condanna al risarcimento del danno da lucro cessante, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicchè, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante (così Cass. 7193/2015).
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Nessuna statuizione viene adottata sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 23 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019