LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4631/-2015 proposto da:
G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELLE QUATTRO FONTANE, 20, presso lo studio dell’avvocato DECIO NICOLA MATTEI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELLA COVINO;
– ricorrente –
contro
L.G., L.R., L.E., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO VITTORIO LEMME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO LEMME;
C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE VENTUNO APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato ENNIO PIZZINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO PIZZINO;
– controricorrenti –
e contro
C.D., C.C.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 3417/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/03/2019 dal Presidente Dott. LORENZO ORILIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Massimo PANETTA con delega depositata in udienza dell’Avvocato Decio Nicola MATTEI, difensore della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PIZZINO Ennio difensore della resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LEMME Fabrizio Vittorio, difensore dei resistenti LEZOCHE, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 22.5.2014, per quanto ancora interessa in questa sede, ha respinto il gravame proposto da G.E. contro la sentenza di primo grado (n. 6232/2007 del locale Tribunale) che, decidendo nel giudizio divisionale tra gli eredi di G.H. (deceduto a *****) aveva attribuito, sempre per quanto di stretto interesse in questa sede, l’appartamento di ***** alla condividente G.I. (e per essa ai suoi eredi), l’appartamento di via del ***** alla condividente A.R. e il terreno in ***** ad essa condividente G.E..
Per giungere a tale soluzione, la Corte d’Appello ha osservato:
– che l’istanza di attribuzione dell’appartamento di via ***** formulata per la prima volta in appello, era non solo inammissibile (perchè proposta per la prima volta in appello), ma anche infondata nel merito, sussistendo evidenti ragioni di opportunità per derogare al criterio preferenziale di attribuzione al maggior quotista previsto dall’art. 720 c.c.;
– che, in mancanza di adeguate censure contro la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rilevato la formulazione, da parte dell’appellante, di una istanza di attribuzione del terreno di Tivoli, rimaneva assorbita la questione della divisibilità del fondo, posto che a fronte dell’istanza di attribuzione di quest’ultima, gli altri non avevano formulato istanze contrapposte.
2 Contro tale decisione G.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro censure, contrastate con separati controricorsi da C.F. (erede di G.A.R.) e da L.E., R. e G. (eredi dell’altra condividente G.I.).
Le altre eredi di G.A.R. non hanno svolto difese.
Con ordinanza interlocutoria dell’8.11.2018 il Collegio ha disposto la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
Le parti hanno fatto pervenire memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Col primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., per avere la Corte d’Appello affermato che la domanda di assegnazione di un bene nell’ambito del giudizio di divisione non possa essere spiegata per la prima volta in appello.
2 Con un secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 720c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello, in assenza di gravi motivi concernenti l’interesse comune dei condividenti, ha attribuito l’immobile di via ***** all’erede avente la minore quota sul bene.
Il primo motivo è infondato, anche se si rende opportuno correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..
Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione di beni determinati non costituisce domanda nuova e può essere proposta per la prima volta in appello, salvo che non sia stata già formulata, nel corso del giudizio di primo grado, da uno dei condividenti, restando in tal caso preclusa la possibilità, per gli altri, atteso che, diversamente, il diritto a conseguire l’attribuzione verrebbe a dipendere dalla mera impugnazione della sentenza con cui si sia disposto al riguardo e non dalla proposizione della domanda (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 10856 del 25/05/2016 Rv. 639962; Sez. 2, Sentenza n. 10624 del 03/05/2010 Rv. 612757 e più di recente v. altresì Sez. 6-2, Ordinanza n. 22161 del 2018 in motivazione).
Nel caso in esame, dalla sentenza impugnata risulta che l’unica condividente ad aver richiesto in primo grado l’attribuzione dell’appartamento di via ***** era A.R. (v. pag. 8) e quindi si rivela corretta la soluzione dell’inammissibilità della richiesta avanzata da E. in appello.
Le osservazioni che precedono assorbono logicamente l’esame del secondo motivo, incentrato sulla critica dell’altra ratio decidendi utilizzata dalla Corte territoriale per rigettare nel merito la pretesa.
3 Con una terza doglianza la ricorrente denunzia omessa motivazione nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto privo di specificità quindi inammissibile il motivo di gravame con cui si era chiesto di riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva assegnato all’odierna ricorrente il terreno di *****. Si osserva in particolare che il giudice di appello non ha fornito adeguato supporto motivazionale all’affermazione di mancata impugnazione di una delle rationes decidendi della sentenza di primo grado e si evidenzia la mancata proposizione di una domanda di assegnazione del terreno, che invece le è stato assegnato con un atto di imperio.
Il motivo è inammissibile.
Dall’esame della sentenza impugnata risulta palese che la Corte d’Appello ha considerato priva di specificità la censura di G.E. contro la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto la formulazione della domanda di attribuzione del terreno di *****. E per questa ragione ha ritenuto inammissibile il relativo motivo di appello facendo applicazione dell’art. 342 c.p.c. (v. pagg. 14 e 15 sentenza impugnata).
La Corte d’Appello, dunque, non ha assolutamente affrontato il merito della doglianza ad essa sottoposta (assegnazione “di imperio” di un terreno in assenza di richiesta di assegnazione), ma ha adottato una pronuncia “in rito” e quindi la ricorrente avrebbe dovuto denunziare un error in procedendo (tecnicamente la violazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Le sezioni unite (v. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268), dirimendo un contrasto creatosi nella giurisprudenza di legittimità, hanno chiarito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
In altre parole, l’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non deve essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, nè di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di altri testi normativi, comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato.
Il principio, affermato in una ipotesi in cui si discuteva del vizio di omessa pronunzia, vale logicamente per qualunque error in procedendo che comporti la nullità della sentenza e quindi anche nel caso in esame, in cui viene attaccata la pronuncia di inammissibilità di un motivo di appello.
Ebbene, nel caso di specie la critica è tutta incentrata sulla violazione di legge (art. 720 c.c.) e sul vizio di motivazione, senza alcun riferimento alla nullità della sentenza derivante dalla erronea pronuncia di inammissibilità del motivo di appello e quindi è inevitabile anche l’inammissibilità del motivo di ricorso.
4 Resta da esaminare il quarto ed ultimo motivo, con cui la ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la divisibilità del terreno di *****.
Il motivo è infondato.
Come chiarito dalle sezioni unite con la citata sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831, l’omesso esame deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): nel caso di specie il fatto ritenuto decisivo dalla ricorrente (cioè il tema della divisibilità del fondo di *****) è stato tenuto presente dalla Corte di merito, ma reputato irrilevante (in tal senso dovendosi ovviamente intendere l’espressione “assorbito”), una volta confermata la statuizione del primo giudice secondo cui la appellante ne aveva fatto domanda di attribuzione in assenza di altre contrapposte richieste (v. pag. 15 sentenza C.A.). Il dedotto vizio, quindi non sussiste, e il problema si sposta sulla congruità della motivazione adottata, cioè su un vizio ormai non più censurabile in cassazione (v. art. 360, comma 1, n. 5, nella formulazione attualmente in vigore ed applicabile alla presente fattispecie).
Piuttosto, è da osservare che ai fini della comoda divisibilità, non ci si può basare esclusivamente sulla natura e sulla destinazione degli immobili, ma – e soprattutto – bisogna tener conto dell’intera massa dei beni da dividere, in rapporto al numero delle quote e dei condividenti (v. Sez. 2, Sentenza n. 2117 del 29/07/1966 Rv. 324127; Sez. 2, Sentenza n. 160 del 22/01/1968 Rv. 331016) e nel caso che ci occupa dalla sentenza impugnata risulta l’indivisibilità dei cespiti (v. pag. 6 ove viene riportata la decisione di primo grado, e pagg. 10 e ss. sulla indivisibilità degli appartamenti). Perde quindi di rilievo la censura sulla divisibilità del solo terreno.
In conclusione, il ricorso va respinto, con conseguente addebito di spese alla parte soccombente secondo il valore della lite.
Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, per ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro. 8.200,00 di cui Euro. 200,00 per esborsi oltre accessori di legge nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019
Codice Civile > Articolo 720 - Immobili non divisibili | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 342 - Forma dell'appello | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 345 - Domande ed eccezioni nuove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 366 - Contenuto del ricorso | Codice Procedura Civile