LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. CURZIO Pietro – Presidente di sez. –
Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3886-2018 proposto da:
MILANO TECHNOLOGY DI S.C. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN BERNARDO 101, presso lo studio dell’avvocato GENNARO TERRACCIANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIANNI’;
– ricorrente –
contro
ALER – AZIENDA LOMBARDA PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE DI *****, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo STUDIO LIPANI CATRICALA’
& PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati DAMIANO LIPANI, FRANCESCA SBRANA, GIORGIO MAZZONE e GIORGIO LEZZI;
– controricorrente –
e contro
FERCO S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4812/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 18/10/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 4812 del 2017 la Quinta Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato accoglieva l’appello proposto da Milano Technology s.a.s. avverso la sentenza di primo grado del TAR Lombardia – che aveva rigettato il ricorso riconoscendo la conformità al disciplinare di gara dell’operato della Commissione aggiudicatrice, che aveva aggiudicato alla società ricorrente il lotto ***** estratto, nonostante l’interesse manifestato per l’aggiudicazione del lotto *****, di valore significativamente maggiore, che veniva aggiudicato al raggruppamento RTI Ferco s.r.l. – DDB Ecologia s.r.l. che, nella graduatoria si trovava al terzo posto – con conseguente annullamento degli atti impugnati con il ricorso di primo grado, senza pronunciare sulle ulteriori domande.
A sostegno della decisione adottata i giudici di Palazzo Spada rilevavano che dalla combinazione delle regole della lex specialis di gara, alla luce dei principi del diritto Europeo, emergeva che il sistema di aggiudicazione elevava il sorteggio a criterio di selezione dell’aggiudicatario dei lotti nei quali era stato suddiviso l’appalto, ma era pur sempre necessaria una valutazione della Commissione sulla vantaggiosità economica dell’offerta, per non incorrere nella violazione del principio immanente di massima partecipazione, posto a garanzia della più ampia concorrenza tra le imprese. Concludevano che nessuna pronuncia poteva essere adottata sulle domande connesse alla domanda di annullamento, non riproposte con l’appello. Avverso tale sentenza la Milano Technology di Ing. S.C. s.a.s. propone ricorso ex art. 362 c.p.c., affidato a due motivi.
L’ALER ***** – Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale di Milano ha resistito con controricorso, rimasta intimata la FERCO s.r.l..
Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, D.L. n. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2), la causa è stata riservata in decisione.
In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la erroneità della sentenza impugnata per diniego di giurisdizione nella parte in cui il Consiglio di Stato pur non negando espressamente la propria giurisdizione, l’ha di fatto denegata a causa dell’ostacolo rappresentato dalla mancanza della domanda di subentro nel contratto, in violazione del contenuto positivo della giurisdizione ai sensi e per l’effetti degli artt. 1,7,29,121,122 e 124 c.p.c. e art. 133 c.p.c., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 8 e art. 113 Cost., nonchè art. 110 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 363 c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
Il sindacato delle Sezioni Unite della Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, è circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale, cui attengono invece gli errori in iudicando e in procedendo, i quali esorbitano dai confini dell’astratta valutazione di sussistenza degli indici definitori della materia ed investono l’accertamento della fondatezza o meno della domanda (tra le molte, Cass. Sez. Un. 18 gennaio 2005 n. 847; Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2009 n. 3688; Cass. Sez. Un. 23 luglio 2015 n. 15476; Cass. Sez. Un. 29 dicembre 2017 n. 31226; Cass. Sez. Un. 27 aprile 2018 n. 10264). E ciò quale che sia la gravità della violazione delle norme di riferimento, sostanziali o processuali, applicate (Corte Cost. sent. n. 6 del 2018).
In tale contesto, di diniego o rifiuto di giurisdizione si è parlato con riferimento alle ipotesi in cui il Consiglio di Stato neghi l’esercizio della suo potere giurisdizionale sul presupposto che la domanda non possa essere oggetto, in assoluto, di funzione giurisdizionale o che non rientri nell’ambito attribuito al medesimo organo, rientrando invece in quello riservato ad un altro ordine giudiziario (cfr., fra le altre, Cass. Sez. Un. 6 aprile 1963 n. 895; Cass. Sez. Un. 7 luglio 1967 n. 1673; Cass. Sez. Un. 28 settembre 1968 n. 2993; Cass. Sez. Un. 8 ottobre 1968 n. 3152; Cass. Sez. Un. 21 marzo 1970 n. 744; Cass. Sez. Un. 4 marzo 1974 n. 593; Cass. Sez. Un. 25 gennaio 1977 n. 359), fermo restando che anche la declaratoria di inammissibilità della domanda postula l’affermazione implicita del potere giurisdizionale dell’organo che l’ha emessa (per l’espressa enunciazione di tale principio v. Cass. Sez. Un. 24 ottobre 1977 n. 5453), sicchè non costituisce diniego di giurisdizione l’esclusione, ad esempio, della legittimazione ad agire (Cass. Sez. Un. 11 maggio 2006 n. 10828).
In questo quadro giurisprudenziale si colloca la questione specifica posta dalla ricorrente Milano Technology s.a.s., sintetizzabile nei seguenti termini: se, in relazione a ricorso al giudice amministrativo con cui era stata contestata la legittimità dell’aggiudicazione alla s.a.s. del lotto ***** estratto, nonostante l’interesse manifestato per l’aggiudicazione del lotto *****, di valore significativamente maggiore (aggiudicato al raggruppamento che si trovava al terzo posto), riconosciuta la violazione da parte della Commissione aggiudicatrice del principio immanente di massima partecipazione, l’omessa pronuncia sul conseguente subentro della ricorrente nel lotto auspicato, sicuramente connessa all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, sull’assunto della mancata proposizione della domanda medesima, integri gli estremi del diniego di giurisdizione da parte del Consiglio di Stato.
Può osservarsi che l’ordinamento impone al giudice di non passare all’esame del merito della lite tutte le volte che si verifichino situazioni ostative, quali il difetto di presupposti processuali o di condizioni dell’azione. Il difetto di giurisdizione è soltanto una di tali possibili situazioni e le questioni che impediscono l’esame del merito della lite (litis ingressum impedientes) non sono di per sè qualificabili come questioni attinenti alla giurisdizione, neppure nella nuova accezione funzionale di cui si è detto.
La Milano Technology censura la mancata pronuncia sugli effetti conseguenti all’accoglimento della domanda di annullamento, da parte del Consiglio di Stato, seppure sia pacifica l’assenza di una domanda in tal senso, per preclusione al relativo accertamento, che è cosa diversa dalla giurisdizione. Non viene, dunque, posta una questione di giurisdizione.
La ricorrente evidenzia il profilo in base al quale le sue censure sarebbero da considerare attinenti alla giurisdizione: la denuncia di quel radicale stravolgimento delle norme costituzionali come interpretate dalla stessa Corte delle leggi, incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale, che ridonda in rifiuto di giurisdizione.
Sotto tale profilo la censura potrebbe effettivamente ritenersi attinente alla giurisdizione sulla base del principio di diritto enunciato da Cass. Sez. Un. 2242 del 2015: “In tema di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione (che l’art. 111 Cost., u.c. affida alla Corte di cassazione) non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione Europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, comma 3 T.F.U.E. Tuttavia, è affetta da vizio di difetto di giurisdizione e per questo motivo va cassata la sentenza del Consiglio di Stato che, in sede di decisione su ricorso per cassazione, è riscontrata essere fondata su interpretazione delle norme incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo; accesso affermato con l’interpretazione della pertinente disposizione comunitaria elaborata dalla Corte di giustizia”.
Tuttavia va ricordato che in materia operano i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto a questa Corte, i quali restano invalicabili, quand’anche motivati per implicito, allorchè si censuri il concreto esercizio di un potere da parte del giudice amministrativo, non potendo siffatta modalità di esercizio integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale (tra le ultime: Cass. Sez. Un. 8 luglio 2016 n. 14042; Cass. Sez. Un. 29 marzo 2013 n. 7929).
Tale giurisprudenza maggioritaria merita convinta adesione, visto che le ulteriori estensioni predicate dalla concezione finalistica od evolutiva della giurisdizione comportano il non accettabile risultato di confondere la sua tradizionale struttura e funzione di potestà di affermare la regola da applicare al caso concreto con i risultati del relativo esercizio e quindi ricondurrebbero, ma senza alcuna base normativa o logica, ogni ipotesi di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ad una violazione del potere di sottoporre la fattispecie al relativo giudizio di fatto ed a quello di diritto. Ben al contrario, la giurisdizione rimane una potestà connotata da quel contenuto e da quella funzione, il cui concreto atteggiarsi dei risultati del suo esercizio ne deve restare distinto in quanto da quella ontologicamente diverso: sicchè va esclusa una violazione della giurisdizione ogni qual volta si predichi od alleghi un uso scorretto o illegittimo di quella potestà, tanto impingendo – a tutto concedere – in una violazione dei limiti interni della giurisdizione medesima.
Sulla base di tali premesse è evidente che non una delle questioni sviluppate col primo motivo attinge i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, giacchè il giudice amministrativo ha accertato la maturazione di preclusioni processuali, cui ha dato luogo la stessa ricorrente, e siffatta situazione non ha impedito alla parte di vedere tutelate, seppure in forma affievolita, le proprie ragioni, comportando l’annullamento dell’aggiudicazione comunque l’obbligo per l’amministrazione procedente di provvedere ad una nuova comparazione.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la erroneità della sentenza impugnata per diniego di giurisdizione nella parte in cui il Consiglio di Stato ha omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria in forma equivalente a causa dell’erronea percezione della sua mancata riproposizione in appello quando, al contrario, la richiesta di risarcimento del danno è presente nel mezzo di impugnazione, avendo la ricorrente riproposto nel giudizio di appello tutte le domande contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in violazione del contenuto positivo della giurisdizione ai sensi e per gli effetti degli artt. 1,7,30,121,122 e 124 c.p.a. e art. 133 c.p.a., comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 8 e art. 113 Cost., art. 110 c.p.c., artt. 101 e 112 c.p.c., art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c..
Anche la seconda censura è inammissibile per le medesime considerazione svolte con riferimento al primo mezzo, giacchè esula dall’ambito delle questioni di giurisdizione, le sole per cui l’art.. 362 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 8, consentono il ricorso alla Corte di legittimità avverso le sentenze dei giudici speciali.
Il senso complessivo della censura, infatti, è che il giudice amministrativo di appello avrebbe dovuto procedere a liquidare il danno lamentato in forma equivalente, avendo per erronea percezione della sua domanda ritenuto non riproposta in appello la domanda di risarcimento.
E dunque nella fattispecie (cui è estranea ogni questione di riparto) l’esattezza o meno della soluzione opposta, seppure basandosi la sentenza impugnata su un preteso errore (v. art. 122 c.p.a.), pone una questione (non già di giurisdizione, ma) di error in procedendo, non denunciabile in questa sede.
La circostanza che il giudice amministrativo abbia omesso di pronunciarsi sulla pretesa azionata, ritenendo di non dover provvedere per intervenuta preclusione, non significa, poi, che risulti pregiudicato il diritto stesso della parte privata alla tutela giurisdizionale. Sia pure nella loro accezione evolutiva (affermata da queste Sez. Un. a partire dalla sentenza n. 30254 del 2008 cit.), i limiti esterni della giurisdizione sono violati unicamente se il giudice non rispetti il contenuto essenziale delle norme attributive del suo potere, non anche allorchè egli interpreti ogni altra norma (d’azione o di relazione che sia) in maniera dissonante rispetto a quella che si assume esserne l’esatta esegesi.
Deve pertanto pronunciarsi la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità che liquida in favore della controricorrente in Euro 10.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione, il 23 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019
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