Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.12607 del 10/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16589/2018 proposto da:

E.C., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Galeota, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 473/2018 della Corte di appello di Ancona depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/02/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. E.C., cittadino nigeriano, ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Ancona, raggiunta da istanza D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, ratione temporis vigente, confermava il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato in primo grado.

La Corte territoriale aveva disatteso la domanda di protezione internazionale e di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari nella ritenuta genericità e non credibilità del racconto del richiedente che, dedotto di essere cittadino nigeriano, di religione cattolica appartenente al gruppo degli *****, con provenienza da uno Stato in cui vi erano conflitti tra cristiani e musulmani, aveva riferito di una sua partecipazione “ad una festa durante la quale sarebbe stato scelto dagli “dei” per essere sacrificato e di essere riuscito a scappare con l’aiuto di un cacciatore che l’aveva consigliato di raggiungere il Borno State” da dove si era mosso per il Niger e quindi per l’Italia.

I giudici di appello avevano altresì ritenuto la mancanza di elementi di rischio personalizzato, legittimante la protezione sussidiaria, non rientrando la regione di provenienza del richiedente, inserita in un Paese, qual era quello di origine, di oltre 900 mila chilometri quadrati di superficie con più di 180 milioni di abitati, nell’area in cui era possibile ravvisare una situazione di violenza indiscriminata e diffusa, in uno Stato in cui, per il resto, anche gli attacchi terroristici, secondo notizie apprese dal sito della *****, erano concentrati nelle zone nord-orientali. La mancata deduzione di specifiche situazioni soggettive avrebbe precluso all’istante anche l’accesso alla protezione umanitaria.

L’Amministrazione convenuta non si è costituita.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Per l’impugnata sentenza sarebbe stata violata la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. a), sull’integrazione di atti persecutori di atti di violenza fisica e psichica compresa quella sessuale.

In violazione del canone della prova “attenuato”, la Corte territoriale non avrebbe apprezzato lo sforzo compiuto dal richiedente per circostanziare la domanda nè l’impossibilità per lo stesso di documentarla ed avrebbe formato il proprio convincimento, applicando il modo erroneo le norme di ispirazione convenzionale sulla formazione della prova, esclusivamente sulla credibilità del primo e sulla compatibilità del dedotto fumus persecutionis, in suo danno nel Paese d’origine senza procedere d’ufficio agli atti di istruzione necessari.

2. Con il secondo motivo si denuncia l’impugnata sentenza per carenza di motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nella mancata valutazione della situazione esistente in Nigeria, deducendosi in ricorso sulla erronea valutazione della protezione sussidiaria e dei presupposti di concedibilità di un permesso umanitario.

I motivi proposti sono inammissibili e si prestano a trattazione congiunta venendo per gli stessi in considerazione identiche valutazioni sulle tecniche di stesura delle critiche proposte.

3.1. Quanto al primo motivo, l’introdotta critica impropriamente denuncia una violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, là dove si allega in ricorso un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ipotesi esterna all’esatta interpretazione della norma che inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta come tale al sindacato di legittimità (Cass. 14/01/2019 n. 640).

3.1.1. Il motivo si presta ad una ulteriore valutazione in termini di inammissibilità perchè la pure dedotta violazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risente, in ragione della novellata disposizione ex D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012, di una errata formulazione della norma riportata nella intitolazione del motivo come “omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione.

La critica portata non riesce comunque, secondo corretto contenuto della norma in questione, ad individuare l’esame, omesso, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo e che, quindi, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

3.1.2. Inoltre lo scrutinio del motivo ne evidenzia una inammissibile diretta interlocuzione con la decisione della Commissione Territoriale e non con la sentenza di appello – per un raccordo tra motivi di impugnazione proposti e valutazioni condotte – ponendo dinanzi a questa Corte di legittimità questioni di squisito merito non mediate da una ragionata critica dell’impugnata sentenza.

3.1.3. Il motivo, nel sostenere la sussistenza di ragioni per accordare alla ricorrente protezione internazionale, richiama principi affermatisi nella giurisprudenza di legittimità (sull’onere di disporre accertamenti di ufficio) ed amministrativa (sull’onere della motivazione) e contenuti delle norme di disciplina del settore, dal rito camerale ex D.Lgs. n. 150 del 2011, ai contenuti della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla nozione di persecuzione, del tutto generici.

Si assiste nell’osservato metodo di composizione dei contenuti del ricorso ad un affastellamento di argomenti, ora di carattere ermeneutico, ora di richiamo ad espresse disposizioni di norme, sostanziali ed in rito, interne ordinarie e costituzionali e, ancora, convenzionali, che operando una impropria sovrapposizione di piani rende disordinata, non concludente e neppure comprensibile la critica proposta.

La critica sfugge al corretto confronto con la decisione di appello impugnata rispetto a norme definite nei loro contenuti dall’interpretazione offertane dalla giurisprudenza e non consente a questa Corte di legittimità di operare il controllo istituzionalmente rimessole.

Il richiamo, pure operato in ricorso, al carattere succinto della verbalizzazione delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo e quindi alla insufficienza della tecnica osservata a consentire lo scrutinio delle specifiche vicende portate in esame dal ricorrente, è tema introdotto senza meditata critica non indicandosi se, ed in quale misura, fosse stato già valorizzato dinanzi ai giudici di appello e per quali contenuti, mancati, per una prova di resistenza, la decisione sarebbe stata di accoglimento del ricorso.

3.2. Il secondo motivo condivide del primo le ragioni di inammissibilità non confrontandosi con la motivazione impugnata e lasciando in tal modo fuori fuoco la censura portata.

La critica deduce in modo cumulativo sulla protezione internazionale, principale e sussidiaria, e su quella umanitaria, richiama i principi affermati dalla Corte di cassazione e le fonti comunitarie, con incursioni sulla materia dell’onere della prova, sulla credibilità del dichiarante e sui poteri cooperazione ufficiosa del giudice, in una valutazione di principi nel tempo affermatisi e la cui assoluta genericità si lascia apprezzare, anche, per il richiamo, operato in ricorso, alle fattispecie, concrete, in relazione alle quali le decisioni riportate erano state assunte e rispetto alle quali nessun puntuale legame si evidenzia rispetto a quella scrutinata.

4. Il ricorso per cassazione è inammissibile, per genericità dei motivi, ove renda le ragioni dell’impugnazione incomprensibili a causa della tecnica espositiva osservata che, nel tradursi in un richiamo di norme e principi giurisprudenziali di disordinato svolgimento e non aderente all’ordito motivatorio osservato dai giudici di merito avverso cui si ricorra, si risolva in affermazioni di generale applicazione non aderenti alla fattispecie in esame e che sfuggono ad una lettura mediata dalla decisione oggetto di impugnazione.

Nulla sulla spese nella mancata costituzione dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019

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