Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.13712 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32480-2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA CONCETTA LA DELFA;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. V.G. 467/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositato il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con decreto depositato il 26/7/2018, pronunciato in un giudizio promosso da F.M., padre della minore F.A., nata a Catania il 25/09/2014, da una stabile relazione con P.C., al fine di sentire statuire sulle modalità di frequentazione della minore, in prevalenza collocata presso la madre, e sul contributo a suo carico per il mantenimento della figlia, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, quanto alle modalità di visita della minore da parte del padre, confermando, invece, la statuizione in ordine all’entità dell’assegno di mantenimento della minore, a carico del padre, di Euro 250 mensili, ma elevando la percentuale di contributo, a carico del suddetto, per le spese straordinarie (dal 50% al 70%).

La Corte d’appello, per quanto in questa sede ancora interessa, ha ritenuto ragionevole confermare la misura dell’assegno di mantenimento della figlia fissata dal Tribunale, “avuto riguardo all’età ed alle esigenze della minore, nonchè al reddito del resistente – che si aggira attorno ad Euro 1.300,00 mensili “, considerato che il medesimo F. risulta onerato, oltre che del canone della casa di locazione dove vive a Torino, anche delle spese per visitare la figlia i fine settimana (ovvero delle spese che la minore, a partire dal 2018, dovrà affrontare per recarsi a Torino con il padre); tuttavia, considerato lo squilibrio economico tra i genitori, appariva congruo ripartire il carico delle spese straordinarie nell’interesse della figlia, nella misura del 70% per il F. e del 30% per la P..

Avverso il suddetto decreto, notificato il 3/9/2018, P.C. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di F.M. (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. La ricorre ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo ed il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 116 c.p.c., denunciando che vi sarebbe stata un’erronea valutazione delle risultanze documentali (buste paga e certificazione unica relativa all’anno 2017) ovvero un travisamento della prova, atteso che l’obbligato (autista della Azienda pubblica di Trasporti di Torino) percepisce in realtà, non Euro 1.300,00 mensili, come ritenuto dalla Corte d’appello, ma ” Euro 1.745,86" al mese; 2) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 148, 147, 155 c.c. e del D.Lgs. n. 154 del 2013, non avendo, a causa dell’erronea valutazione delle risultanze documentali, determinato l’assegno di mantenimento della figlia, secondo il principio di proporzionalità; 3) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 91 c.p.c., avendo la Corte d’appello, compensate per la metà le spese processuali, addossato la residua metà ad essa P., pur risultata vittoriosa sia con riferimento alla modifica del diritto di visita della minore sia con riferimento alla richiesta di imposizione a carico del F. del 70 % delle spese straordinarie nell’interesse della minore.

2. Le prime due censure sono inammissibili.

Questa Corte, con orientamento consolidato (Cass.13960/2014), ha chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", con conseguente “inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

In sostanza, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27000/2016; Cass. 23940/2017) La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 26965/2007) ed ormai, nei limiti della attuale formulazione del suddetto vizio (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti).

Nella specie, viene invece dedotto un vizio di violazione dell’art. 116 c.p.c., con riferimento all’asserita erronea valutazione delle risultanze probatorie.

3. Il terzo motivo è assorbito, in quanto esclusivamente correlato ad un’asserita erronea valutazione delle risultanze documentali, da parte della Corte d’appello.

4. Il quarto motivo è invece fondato.

La Corte d’appello, stante la soltanto parziale fondatezza del reclamo della P. (in punto di riparto delle spese straordinarie e di calendarizzazione dei tempi di permanenza della minore presso il genitore non collocatario), ha compensato le spese tra le parti, ponendo il residuo un mezzo a carico della reclamante.

Ma come chiarito da questa Corte (Cass. 1572/2018; Cass. 26918/2018; conf. Cass. 5820/2016; Cass. 19122/2015) “Nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla L. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poichè tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa”.

La Corte d’appello, in seguito al parziale accoglimento del reclamo, non ha considerato che, in base all’accoglimento solo parziale della domanda (la reclamante aveva chiesto anche la rideterminazione dell’assegno di mantenimento per la figlia minore), poteva sì disporre la totale o parziale compensazione delle spese (condannando, in quest’ultimo caso, il parziale soccombente -nel caso di specie il resistente-alla residua parte delle spese sostenute dalla reclamante), ma giammai condannare la reclamante, parzialmente vittoriosa, al pagamento di parte delle spese sostenute dal resistente.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del solo quarto motivo di ricorso (inammissibili i primi due, assorbito il terzo), va cassato il decreto impugnato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va condannato il resistente F. al pagamento della residua metà delle spese relative alla fase di reclamo, come liquidate dalla Corte d’ appello.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e va disposto che il relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 133, essendo stata la ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato. L’istanza proposta dal difensore della stessa ricorrente, di liquidazione, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 83, del compenso per l’attività prestata nel presente procedimento, è inammissibile, in quanto sull’istanza deve provvedere la Corte d’appello che ha proceduto (cfr. Cass. 13806/2018).

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, inammissibili i primi due, assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il resistente F. al pagamento della residua metà delle spese della fase di reclamo, come liquidate, dalla Corte d’appello; condanna altresì il controricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200.00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito. Dispone che il relativo pagamento sia eseguito a favore dello Stato.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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